Maitrī Upaniṣad

Maitrī Upaniṣad, o anche Maitrāyaṇya Upaniṣad, Upaniṣad del saggio Maitrī.

Citazioni

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  • Con l'ascesa si consegue la virtù; dalla virtù proviene la conoscenza discriminante; dalla conoscenza discriminante, in verità, si ha nozione dell'Anima[1] e, avendone avuto nozione, non si torna più indietro[2]. (IV, 3; 1999)
  • In verità all'inizio esistevano solo le Tenebre nell'Essere supremo; mosse dall'Essere supremo, esse si diversificarono; e ciò fu l'Attività; questa Attività, invero, messa in moto si diversificò: divenne Luce. Questa Luce fu messa in moto anch'essa e ne derivò l'Assaporamento. Questo Assaporamento, fatto d'intelligenza, si trova in ogni essere umano, conosce il corpo, ed è caratterizzato dalla decisione, dalla riflessione e dall'egotismo. (V, 2; 1999)
In verità, in principio, vi era, unica, questa oscurità (tamas). Essa era nel Supremo (Brahmā). Quella, indotta dal Supremo, si mosse verso la diversità (viṣama). Quella formatura, invero, è il rajas. Quel rajas, certamente, stimolato, si mosse verso la diversità. Questa, invero, è la forma-natura del sattva. [...]. (V, 2; 2010)
  • "In verità vi sono due forme del brahman: quella materiale e quella immateriale. La forma materiale è l'irreale, la forma immateriale è il reale". (V, 3; 2007)
  • Ora c'è ancora dell'altro da conoscere. Esiste un'ulteriore modificazione di questo sacrificio al Sé, e precisamente quella che riguarda il cibo e il consumatore di cibo. Questa è l'ulteriore spiegazione: la Persona è in mezzo alla materia. Egli è fruitore, poiché gode del cibo della natura. (VI, 10; 2001)
  • Ora altrove è stato detto: quella forma del Signore benedetto che è chiamata «il Sostegno di tutte le cose» non è altro che cibo. Poiché il respiro vitale è l'essenza del cibo, la mente lo è della vita, la conoscenza della mente, la beatitudine della conoscenza. L'Uomo che riconosce ciò verrà in possesso di cibo, vita, mente, conoscenza e beatitudine. Riconoscendo ciò egli mangerà il cibo di tutte le creature che qui sulla terra si nutrono di cibo, poiché egli dimorerà in loro.
    Poiché il cibo, sicuramente, previene la decadenza; | il cibo è degno di venerazione, così dicono. | Il cibo è la vita degli animali, supremo; | il cibo è guaritore, così dicono. (VI, 13; 2001)
  • Esistono, noi sosteniamo, due forme di Brahman: il tempo e il senza-tempo. Ciò che è precedente al sole è il senza-tempo; esso non ha parti. Ciò che comincia col sole, tuttavia, è il tempo e questo ha parti. (VI, 15; 2001)
  • In principio questo era Brahman, Uno e infinito, infinito a est, infinito a sud, infinito a ovest, infinito a nord, infinito sopra e sotto, infinito in ogni direzione. Per lui non ci sono, naturalmente, direzioni come est e così via, né attraverso, né sopra o sotto.
    Inconcepibile è questo supremo ātman, incommensurabile, non nato, imperscrutabile, impensabile, il cui Sé è spazio [infinito]. Solo lui rimane sveglio quando l'universo è dissolto, e fuori da questo spazio egli [di nuovo] risveglia il mondo che consiste di pensiero. Per mezzo di lui solo tutto questo è pensato perché sia e in lui di nuovo si dissolve. La sua forma splendente è quella che arde nel sole; è la luce multiforme che risplende nel fuoco privo di fumo ed è ciò che digerisce il cibo nel corpo. Poiché così è stato detto:
    Colui che dimora nel fuoco, | colui che dimora nel cuore, | colui che dimora nel sole, | egli è Uno. | L'Uomo che conosce questo, | in verità ottiene | l'unità dell'Uno. (VI, 17; 2001)
  • Grazie a oṃ il suono fugge verso l'alto e si riassorbe nel non suono. Ecco invero la via: ecco l'immortalità, ecco l'unione <suprema>, ecco la beatitudine. (VI, 22; 2007)
  • Ora, altrove è stato detto anche questo: se un uomo ha i sensi ritratti, come nel sonno, e un cuore perfettamente puro, egli vede come in sogno nel vuoto dei sensi il praṇava [Oṁ], la guida la cui forma è luce, che è al di là del sonno, della vecchiaia, della morte e del dolore. Allora egli stesso diviene quello che è chiamato praṇava, la guida la cui forma è luce, che è al di là del sonno, della vecchiaia, della morte e del dolore. Così è detto:
    Quando lo yogin unisce il suo respiro con Oṁ | o è unito al tutto in molteplici modi, | questo è chiamato yoga. | Tale unità di respiro, mente e sensi, | la rinuncia a tutta l'esistenza – questo è chiamato yoga. (VI, 25; 2001)
  • Si cerchi con estremo impegno di purificare la mente che, invero, è il saṃsāra stesso. Si diviene ciò che si pensa. Questo è l'eterno mistero. (VI, 34, 3; 2010)
  • La beatitudine che sorge nello stato di supremo assorbimento, quando la mente purificata si è acquietata nel Sé, non può mai essere espressa a parole! La si deve esprimere direttamente, da sé, nel proprio intimo essere. (VI, 34, 9; 2001)
  • La mente soltanto è la causa della schiavitù o della liberazione dell'uomo: essa conduce alla schiavitù quando è attaccata agli oggetti di senso, e alla liberazione quando è liberata da essi. Così si insegna. (VI, 34, 11; 2001)
  • Il mondo, smarrito a causa degli stratagemmi d'un insegnamento negatore dello spirito, a causa di esempi e di ragionamenti falsi, non sa più quale è la differenza tra sapere e ignoranza. (VII, 8; 1999)
"Il mondo, trovandosi smarrito a causa di dottrine che negano l'ātman e di argomentazioni ingannevoli e illusorie, non riconosce quella che è la distinzione tra veda e vidyā[3]." (VII, 8; 2010)
  1. Ātman
  2. Nel senso che non ci si reincarna più.
  3. Fra la conoscenza intellettuale delle scritture, cioè i Veda, e la conoscenza profonda del Sé.

Bibliografia

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  • La saggezza indiana, a cura di Gabriele Mandel, Rusconi, 1999.
  • Raimon Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001.
  • Upaniṣad, a cura e traduzione di Raphael, Bompiani, 2010.

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