Karen Blixen

scrittrice e pittrice danese
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Karen Blixen, pseudonimo di Karen Christence Dinesen (1885 – 1962), scrittrice danese.

Karen Blixen nel 1903 circa

Citazioni di Karen Blixen

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  • Boris aveva ricordato l'antica ballata della figlia del gigante che trova un uomo nella foresta, e sorpresa e deliziata se lo porta a casa per trastullarsi; ma il gigante le ordina di lasciarlo andare, perché tanto non farebbe che mandarlo a pezzi.[1]
  • Che cosa è l'uomo, se ci pensate bene, se non un'ingegnosa macchina minuziosamente congegnata, per trasformare il vino di Shiraz in orina?[2]
  • I giorni furono difficili, ma le notti furono dolci.[3]

Attribuite

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  • Ogni pena può essere sopportata se la si narra, o se ne fa una storia.[4]
La citazione è tratta dall'intervista di Bent Mohn, Talk With Isak Dinesen[5], The New York Times Book Review, 3 novembre 1957, p. 284; l'autrice riporta, tuttavia, il pensiero di un amico: «I am not a novelist, really not even a writer; I am a storyteller. One of my friends said about me that I think all sorrows can be borne if you put them into a story or tell a story about them, and perhaps this is not entirely untrue. To me, the explanation of life seems to be its melody, its pattern. And I feel in life such an infinite, truly inconceivable fantasy».

La mia Africa

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In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. A centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l'equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo.

[Karen Blixen, La mia Africa, traduzione di Lucia Drudi Demby, Feltrinelli, 1989.]

Citazioni

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  • Amare la donna e la femminilità è proprio del maschio, come amare l'uomo e la virilità è proprio della donna; allo stesso modo la gente del nord è attratta dai paesi e dalle razze del sud. (p. 20)
  • Arrivati per la prima volta a Roma e a Firenze, gli antichi pittori, filosofi e poeti tedeschi e scandinavi si inginocchiarono per adorare il sud. (p. 20)
  • L'amore della guerra è una passione come un'altra, si amano i soldati come si amano le belle ragazze: fino alla pazzia. (p. 21)
  • Sempre mi è parso
    nobile l'indigeno
    e insulso l'immigrato
    . (p. 24)
  • Chi di notte, dormendo, sogna, conosce un genere di felicità ignota al mondo della veglia: una placida estasi e un riposo del cuore che sono come il miele sulla lingua. Sa anche che la vera bellezza dei sogni è la loro atmosfera di libertà infinita: non la libertà del dittatore che vuole imporre la sua volontà, ma la libertà dell'artista privo di volontà, libero dal volere. Il piacere del vero sognatore non dipende dalla sostanza del sogno, ma da questo: tutto quello che accade nel sogno, non accade solo senza il suo intervento, ma fuori del suo controllo. Si creano spontaneamente paesaggi, vedute splendide e infinite, colori ricchi e delicati, strade, case che non ha mai visto e di cui non ha mai sentito parlare. Compaiono degli sconosciuti che sono amici o nemici, benché chi sta sognando non abbia mai fatto nulla per loro né contro di loro. L'idea della fuga e l'idea dell'inseguimento tornano sempre, nei sogni, entrambe egualmente estasianti. Tutti dicono cose piene d'intelligenza e spiritose. È vero che, cercando di ricordarle durante il giorno, paiono sbiadite e senza senso perché appartengono a un'esistenza diversa; ma appena il sognatore si sdraia, la notte, il circuito si riallaccia e i sogni tornano a sembrargli stupendi. (p. 74)

[Karen Blixen, La mia Africa, traduzione di Lucia Drudi Demby, Garzanti, 1966.]

Ehrengard

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  • Nella vita di Herr Cazotte trascorrere la prima notte di luglio all'aperto era una specie di rito. Ad esso fedele, anche il primo luglio di quell'anno, subito dopo che la Corte e tutti gli abitanti di Rosenbad si erano ritirati per la notte, egli uscì sotto le stelle pallide in un cielo terso, in un mondo rorido di rugiada e colmo di fragranza. A tutta prima camminò rapidamente per allontanarsi, poi rallentò il passo per guardarsi intorno. E men­tre così faceva sentì che il suo cuore traboccava di gratitudine. Si tolse il cappello. "Quale tremendo, insondabile potere di immaginazione" si disse "ha formato ognuno dei più piccoli oggetti che ho d'intorno, e li ha combinati in una possente unità! Io non sono una persona modesta, ho una notevole considerazione per i miei talenti, e oso cred­ere che avrei anche potuto immaginare l'una o l'altra delle cose che mi circondano. Avrei potuto inventare i lunghi fili d'erba, ma sarei stato capace di inventare la rugiada? Avrei potuto inventare l'oscurità, ma sarei stato capace di inventare le stelle? Di una cosa sono sicuro" disse tra sé mentre rimaneva perfettamente immobile e ascoltava "che non sarei mai stato capace d'inventare l'usignolo".
    "I fiori del castagno" continuò "si tengono dritti come i ceri degli altari. I fiori del lillà sembrano erompere in tutte le direzioni dal tronco e dai rami, dando a tutto l'arbusto l'aspetto di un lussureggiante bouquet e i fiori del cìtiso si inchinano penduli come do­rati ghiaccioli estivi nell'aria di un pallido azzurro. Ma i fiori del biancospino si spandono lungo i rami come fragili strati di neve bianca e rosea. Non è possibile che una varietà così infinita sia necessaria all'economia della Natura, dev'essere per forza la manifestazione di uno spirito universale, inventivo, ottimista e giocondo all'estremo, incapace di trattenere i suoi scherzosi torrenti di felicità. E davvero, davvero: Domine, non sum dignus ". Si aggirò a lungo per i boschi. "Stanotte" pensò "sto rendendo omaggio al grande dio Pan".

Capricci del destino

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Il pescatore di perle

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  • Rialzandosi, ella disse, gravemente: «Spererò sempre che tu venga. Perché senza speranza non si può danzare.»
  • «Chiunque sia nemico degli angeli è nemico di Dio, e chiunque sia nemico di Dio non ha più speranza. Io non ho speranza, e senza speranza non si può volare. Ecco perché non ho pace.»
  • Le perle sono come le favole dei poeti: un malanno trasformato in bellezza, e allo stesso tempo trasparente e opaco, segreti dal profondo portati alla luce per piacere alle giovani donne, che vi riconoscono i più profondi segreti racchiusi nel proprio cuore.
  • La luna in cielo era piena, le lunghe onde grigie venivano avanti una alla volta, e tutto quanto era attorno a me sembrava deciso a serbare un segreto.
  • Come può raggiungere l'equilibrio una creatura la quale non voglia rinunciare all'idea della speranza e del rischio?

L'anello

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  • Aveva smesso da poco tempo di giocare con le bambole; ora che si acconciava i capelli da sola, soprintendeva personalmente a far stirare la propria biancheria e a sistemare i fiori nei vasi, viveva un'esperienza incantevole e amatissima: far tutto con gravità e sollecitudine, e sapere sempre che è un gioco.
  • Allora fu come se vedesse sé stessa con gli occhi dell'animale selvaggio rifugiato nel proprio nascondiglio buio: la silenziosa figura bianca che si avvicinava poteva significare la morte.
  • «Con quest'anello» – lasciato cadere da una parte e allontanato con un calcio dall'altra – «con quest'anello io m'unisco a te in matrimonio». Con quell'anello perduto lei s'era unita in matrimonio a qualcosa. A che cosa? Alla miseria, alla persecuzione, alla solitudine assoluta. Ai dolori e all'iniquità della terra. «E ciò che Dio ha unito l'uomo non può dividere.»

Incipit di Il pranzo di Babette

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In Norvegia c'è un fiordo – un braccio di mare lungo e chiuso tra alte montagne – che si chiama Berlevaag Fjord. Ai piedi di quelle montagne il paese di Berlevaag sembra un paese in miniatura, composto da casine di grigio, di giallo, di rosa e di tanti altri colori.
Settantacinque anni fa, in una delle casine gialle, vivevano due anziane signore. A quell'epoca altre signore portavano il busto, e le due sorelle avrebbero potuto portarlo con altrettanta grazia, perché erano alte e flessuose. Ma non avevano mai posseduto un oggetto di moda, e per tutta la vita si erano vestite dimessamente, di grigio o di nero. Erano state battezzate col nome di Martina e Filippa, in onore di Lutero e del suo amico Filippo Melantone.

Il matrimonio moderno

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  • Oggi diciamo: è impossibile come volare sulla luna. Ma se non possiamo volare sulla luna, è perché non ne abbiamo voglia, perché in realtà non lo desideriamo ardentemente. I segreti dell'universo non sono celati con particolare rigore agli abitanti della Terra; se ci sono ignoti è solo perché gli uomini non vogliono ancora conoscerli veramente.
  • Non c'è sforzo, né pericolo, né sofferenza che a lungo andare riesca ad arrestare l'umanità in cammino verso la realizzazione di un ideale; tuttavia l'ora di quell'ideale è segnata non appena qualcuno chiede: a che cosa serve?
  • Succede spesso che di una istituzione venerabile resti in vita soltanto il nome, perché per molte persone la parola ha più sostanza dell'idea. Che il contenuto sia andato in fumo, e il guscio riesca però a reggere, è a volte una situazione che soddisfa tutti, e forse la proposta di abolire il nome susciterebbe indignazione in un'epoca in cui l'idea e la cosa si sono dissolte come polvere nella tomba. Il guscio vuoto di solito riesce a reggere finché esistono i figli di chi credeva davvero; loro hanno assimilato questa idea dai genitori, che erano in vita quando il contenuto esisteva veramente. E magari finché esistono i figli di coloro che ancora ricordano il rispetto provato dai loro genitori quando la parola veniva pronunciata.
  • Pensando a come si sovvertono i valori morali, dobbiamo aspettarci che le generazioni future non saranno assolutamente in grado di comprendere il codice morale dei nostri giorni.
  • Quando un'istituzione viene chiamata santa di per sé, senza il sostegno di un'idea o di una qualsiasi motivazione, allora è veramente giunta l'ora di aprire gli occhi e di esprimere un giudizio obiettivo.
  1. Da Sette storie gotiche.
  2. Da Sette storie gotiche.
  3. Citato in Vanni Beltrami, Breviario per nomadi, Voland.
  4. Citato in Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, a cura di Alessandro Dal Lago, Bompiani, 2012.
  5. Uno degli pseudonimi di Karen Blixen.

Bibliografia

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  • Karen Blixen, La mia Africa, traduzione di Lucia Drudi Demby, Garzanti, 1966.
  • Karen Blixen, La mia Africa, traduzione di Lucia Drudi Demby, Feltrinelli, 1989.
  • Karen Blixen, Capricci del destino (Anecdotes of destiny), traduzione dall'inglese di Paola Ojetti, Feltrinelli, Milano, 1984.
  • Karen Blixen, Ehrengard (1963) Adelphi, 1979.
  • Karen Blixen, Il pranzo di Babette, traduzione di Paola Ojetti, I Racconti di Repubblica, n. 23.
  • Karen Blixen, Sette storie gotiche, traduzione di Alessandra Scalerò, Adriana Motti, Adelphi, 1978.
  • Karen Blixen, Il matrimonio moderno, traduzione di Anna Cambieri, Adelphi, 1986.

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