Paul Henri Thiry d'Holbach

filosofo e enciclopedista tedesco
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Paul Henri Thiry d'Holbach, nome francesizzato di Paul Heinrich Dietrich, barone di (von) Holbach (1723 – 1789), filosofo, enciclopedista, traduttore e divulgatore scientifico tedesco naturalizzato francese.

Paul Henri Thiry d'Holbach nel 1785

Citazioni di Paul Henri Thiry d'Holbach

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  • La saggezza non è nulla se non conduce alla felicità.[1]
  • Preti. In tutte le religioni del mondo sono uomini divini che Dio stesso ha collocato in terra ad esercitare un mestiere utilissimo, consistente nella distribuzione gratuita di paure, onde avere poi il piacere di distribuire successivamente speranze in cambio di danaro. È un punto fondamentale su cui tutti i preti del mondo sono stati perfettamente d’accordo.[2]

Il buon senso

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  • In breve, chiunque accetterà di consultare il buon senso sulle credenze religiose, e dedicherà a questo esame l'attenzione che di solito si dedica agli argomenti che si ritengono interessanti, si accorgerà facilmente che tali credenze non hanno alcun solido fondamento; che ogni religione è un castello in aria; che la teologia non è che l'ignoranza delle cause naturali ridotta a sistema, nient'altro che un vasto tessuto di chimere e di contraddizioni. (prefazione, pp. 3-4)
  • Per mettere in chiaro i veri princìpi della morale, gli uomini non hanno bisogno né di teologia, né di rivelazione, né di divinità: hanno bisogno solamente del buon senso. (prefazione, p. 8)
  • C'è una scienza che ha per oggetto solamente cose incomprensibili. Al contrario di tutte le altre scienze, essa non si occupa che di ciò che non può essere percepito dai sensi. Hobbes la chiama «il regno delle tenebre»[3]. È un regno in cui tutto dipende da leggi opposte a quelle che gli uomini sono in grado di conoscere nel mondo che abitano. In questa strana regione, la luce non è altro che buio; l'evidente diviene dubbio o falso; l'impossibile diviene credibile; la ragione è una guida infedele, e il buon senso si trasforma in delirio. Questa scienza si chiama teologia, e questa teologia è un insulto continuo alla ragione umana. (§ 2, pp. 12-13)
  • Ignoranza e paura, ecco i due sostegni di tutte le religioni. L'incertezza in cui l'uomo si trova in rapporto al proprio Dio è precisamente il motivo che lo tiene aggrappato alla sua religione. (§ 10, p. 16)
  • In fatto di religione, gli uomini non sono che dei grandi bambini. Più una religione è assurda e piena di stranezze, più acquista diritti su di loro. Il devoto si crede obbligato a non porre alcun limite alla propria credulità: più le cose sono inconcepibili, più gli sembrano divine; più sono incredibili, più egli s'immagina che il credervi sia un merito. (§ 13, p. 17)
  • In verità, adorare Dio significa adorare le finzioni del proprio cervello, o, meglio ancora, non adorare nulla. (§ 28, p. 24)
  • La religione passa dai padri ai figli, come i beni di famiglia coi loro gravami. Ben pochi, nel mondo, avrebbero un Dio, se qualcuno non si fosse preso cura di darglielo. (§ 32, p. 26)
  • La natura, voi dite, è del tutto inesplicabile senza un Dio. In altri termini, per spiegare ciò che capite ben poco, avete bisogno di una causa che non capite affatto. (§ 38, p. 29)
  • L'intelligenza dell'uomo non dimostra l'intelligenza di Dio più di quanto la malvagità dell'uomo non dimostri la malvagità di quel Dio di cui si pretende che l'uomo sia una creatura. Da qualsiasi lato la teologia affronti la questione, Dio sarà sempre una causa contraddetta dai suoi effetti, o di cui è impossibile dare un giudizio in base alle sue opere. (§ 42, p. 33)
  • Se Dio è dappertutto, è anche in me, agisce con me, sbaglia con me, offende Dio con me, combatte con me l'esistenza di Dio. (§ 45, p. 36)
  • La religione ci parla d'un «inferno», cioè d'una dimora spaventosa nella quale, nonostante la sua bontà, Dio riserva tormenti infiniti alla maggioranza degli uomini. Così, dopo aver reso i mortali infelicissimi in questo mondo, la religione fa intraveder loro che Dio potrà renderli ancora più infelici in un altro mondo! Se la sbrigano dicendo che, in quel caso, la bontà di Dio cederà dinanzi alla sua giustizia. (§ 61, p. 51)
  • Non c'è dunque alcuna vera differenza tra la religione naturale e la superstizione più cupa e servile. Se il teista non vede Dio che dal lato buono, il superstizioso lo vede dal lato più ripugnante. La follia dell'uno è lieta, la follia dell'altro è lugubre, ma tutti e due sono egualmente deliranti. (§ 64, p. 53)
  • Le concezioni irreali e soprannaturali della teologia sono riuscite talmente a sconvolgere nella mente umana le idee più semplici, più chiare, più naturali, che i devoti, incapaci di accusare Dio di malvagità, si abituano a considerare i più duri colpi della sorte come prove indubbie della bontà celeste. Se sono immersi nel dolore, si ordina loro di credere che Dio li ama, che Dio li protegge, che Dio vuol metterli alla prova. Così la religione è arrivata a mutare il male in bene! Un incredulo diceva giustamente: «Se il buon Dio tratta così quelli che ama, lo prego con tutto il cuore di non pensare a me»[4]. (§ 78, p. 65)
  • È assolutamente impossibile far accettare i migliori argomenti a uomini fortemente interessati all'errore, prevenuti, non disposti a riflettere; ma è più che mai necessario che la verità disinganni le anime oneste che la cercano in buona fede. (§ 82, p. 71)
  • Altrettanto si può dire dell'uomo: questo beniamino della Provvidenza corre rischi ben più grandi di tutti gli altri animali; dopo avere sofferto tanto in questo mondo, si crede in pericolo di soffrire eternamente nell'altro! (§ 94, p. 83)
  • La bestia non è impressionata dagli stessi oggetti che fanno colpo sull'uomo. Non ha né gli stessi bisogni, né gli stessi desideri, né le stesse fantasie. Giunge molto rapidamente a maturità, mentre nulla accade più di rado che vedere lo spirito umano godere pienamente delle sue facoltà, esercitarle liberamente, farne un uso conveniente per la propria felicità. (§ 95, p. 84)
  • Nella specie umana ci sono individui così diversi gli uni dagli altri quanto è diverso l'uomo da un cavallo o da un cane. (§ 96, p. 85)
  • Le sragionevolezze umane, a chi le esamini con gli occhi della ragione, fanno dileguare ben presto la superiorità che, tanto arbitrariamente, l'uomo si arroga sugli altri animali. Quanti animali mostrano più bontà, riflessione e ragionevolezza dell'animale che si considera ragionevole per eccellenza! Tra gli uomini, così spesso schiavi e oppressi, vi sono delle società così ben organizzate come quelle delle formiche, delle api o dei castori? Si sono mai viste delle bestie feroci della stessa specie darsi appuntamento nelle pianure per sbranarsi e distruggersi senza alcun vantaggio? Si son viste scoppiare guerre di religione tra le bestie? La crudeltà delle bestie contro quelle appartenenti ad altre specie ha per motivo la fame, il bisogno di nutrimento; la crudeltà dell'uomo contro l'uomo ha per unico motivo la vanità dei suoi capi e la follìa dei suoi assurdi pregiudizi. (§ 97, p. 86)
  • Filosofi accecati dai loro pregiudizi teologici, per trarsi d'imbarazzo, hanno spinto la loro follìa fino a sostenere che le bestie non sono esseri senzienti!
    Gli uomini non rinunceranno mai, dunque, alle loro assurde pretese? Non riconosceranno mai che la natura non è minimamente fatta per loro? Non vedranno che la natura ha stabilito un trattamento eguale per tutti gli esseri che produce? Non si accorgeranno che tutti gli esseri viventi sono egualmente fatti per nascere e per morire, per gioire e per soffrire? Infine, invece d'inorgoglirsi, male a proposito, per le loro facoltà mentali, non saranno costretti ad ammettere che spesso quelle facoltà li rendono più infelici delle bestie, nelle quali non troviamo né le credenze, né i pregiudizi, né le vanità, né le follìe che mettono continuamente a dura prova il benessere dell'uomo? (§ 99, pp. 89-90)
  • Chi combatte la religione e i suoi fantasmi con le armi della ragione somiglia a uno che si serva d'una spada per uccidere dei moscerini; subito dopo che il fendente è stato vibrato, i moscerini e le chimere ricominciano a volteggiare, e riprendono nelle menti il posto da cui si credeva di averli eliminati. (§ 109, p. 99)
  • La devozione è una malattia dell'immaginazione, contratta fin dall'infanzia; il devoto è un ipocondriaco che, a forza di medicine, non fa che aggravare il suo male. (§ 115, p. 105)
  • Le credenze religiose degli uomini di ogni paese sono antichi e durevoli relitti dell'ignoranza, della credulità, dei terrori e della ferocia dei loro antenati. (§ 120, p. 110)
  • In materia di religione, gli uomini, per la maggior parte, sono rimasti nella loro barbarie primitiva. Le religioni moderne non sono altro che follìe antiche ringiovanite o presentate sotto qualche nuova forma. (§ 120, p. 110)
  • Gli adepti dei diversi culti che vediamo praticati in questo mondo si accusano reciprocamente di superstizione e di empietà. I cristiani hanno orrore della superstizione pagana, cinese, maomettana. I cattolici romani trattano da empi i cristiani protestanti; questi a loro volta declamano senza posa contro la superstizione cattolica. Hanno tutti ragione. Essere empio significa avere opinioni ingiuriose verso il proprio Dio; essere superstizioso significa averne idee errate. Accusandosi volta a volta di superstizione, i diversi religionisti[5] somigliano a dei gobbi che si rinfacciano l'un l'altro la loro deformità. (§ 127, pp. 118-119)
  • La religione sembra fatta apposta per esaltare i prìncipi al di sopra dei popoli e abbandonare i popoli al loro arbitrio. (§ 146, p. 141)
  • Tra i più funesti doni che la religione abbia fatto al mondo bisogna soprattutto annoverare questi monarchi devoti e bigotti, i quali, illudendosi di affaccendarsi per la salvezza dei loro sudditi, si sono fatti un sacrosanto dovere di tormentare, perseguitare, mandare a morte quelli che, in coscienza, la pensavano diversamente da loro. (§ 149, p. 144)
  • Lo spirito si confonde e la ragione rimane interdetta alla vista delle pratiche ridicole e dei riti avvilenti che i ministri degli dèi hanno inventato nei vari paesi per purificare le anime e per rendere il Cielo favorevole ai popoli. (§ 153, p. 148)
  • L'idea di un Dio terribile, raffigurato come un despota, ha dovuto rendere inevitabilmente malvagi i suoi sudditi. La paura non crea che schiavi; e gli schiavi sono vili, abietti, crudeli, e credono che tutto sia lecito quando si tratta o di guadagnarsi la benevolenza del loro Signore, o di sottrarsi ai suoi temuti castighi. La nozione di un Dio-tiranno non può farne che degli schiavi meschini, infelici, rissosi, intolleranti. (§ 155, p. 150)
  • La religione, per la sua stessa essenza, è la nemica della gioia e del benessere degli uomini. «Beati i poveri! Beati quelli che piangono! Beati quelli che soffrono!»<ref>Matteo, 5, 3-5 (nel «Sermone della Montagna»): si noti che i «poveri di spirito» sono diventati, nella parafrasi di Holbach, semplicemente «i poveri» (economicamente), come in Luca, 6, 20.</ref>. Maledetti coloro che si trovano nell'agiatezza e nella gioia! Tali sono le singolari scoperte annunziate dal cristianesimo! (§ 161, p. 157)
  • La religione è un freno soltanto per coloro che sono stati già ridotti alla ragione o dal loro temperamento o dalle circostanze della vita. Il timor di Dio non impedisce di peccare se non a quelli che non hanno una forte volontà di peccare, o che non sono più in grado di farlo. (§ 166, p. 162)
  • Dio non è mai così in collera come quando si attenta ai diritti divini, ai privilegi, alle proprietà, alle immunità dei suoi preti. (§ 173, p. 171)
  • È sempre il carattere dell'uomo che stabilisce il carattere del suo Dio; ciascuno si foggia un Dio per suo uso e in base a se stesso. (§ 185, p. 183)
  • Il popolo, diciamo la verità, non capisce nulla della propria religione. Ciò che esso chiama religione è soltanto un cieco attaccamento a credenze oscure e a pratiche misteriose. In realtà, togliere la religione al popolo significa non togliergli nulla. (§ 197, p. 197)
  • La superstizione assorbe quasi sempre le attenzioni, l'ammirazione e le finanze dei popoli. Essi hanno una religione molto costosa; ma non hanno denaro, né istruzione, né virtù, né felicità. (§ 203, p. 204)
  • La religione, in ogni epoca, non ha fatto che riempire lo spirito umano di tenebre, e mantenerlo nell'ignoranza dei suoi veri rapporti, dei suoi veri doveri, dei suoi veri interessi. Solo mettendo in fuga le sue nebbie e i suoi fantasmi scopriremo le fonti della verità, della ragione, della morale, e i motivi reali che devono condurci alla virtù. (§ 206, p. 207)

Sistema della natura

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  • L'uomo è un essere puramente fisico. (tomo I, cap. I)
  • La natura non è affatto un'opera: essa è sempre esistita di per se stessa; è nel suo seno che tutto avviene, è un'officina immensa, fornita di materiali e che costruisce gli strumenti di cui si serve per agire. (tomo II, cap. III)
  • Se l'ignoranza della natura dette origine agli dèi, la conoscenza della natura è fatta per distruggerli. (tomo I, cap. XVIII)

Citazioni su Paul Henri Thiry d'Holbach

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  • Colui che al discoperto e senza téma | Venne contro l'Eterno ad accamparse; | E ne sfidò la folgore suprema, | Secondo Capaneo, sotto lo scudo | D'un gran delirio ch'ei chiamò sistema. (Vincenzo Monti)
  • Mi vien detto che l'origine del sistema filosofico del Barone e del suo calore in sostenerlo venga originalmente dall'aver veduto morire la prima sua moglie [...] fra gli orrori di un'eternità di tormenti… D'allora in poi è divenuto ateista furiosissimo... (Alessandro Verri)
  1. Da Saggio sui pregiudizi, a cura di Domenico di Iasio, Guerini e Associati, Milano, 1993; citato in Franca Rosti, Tra virgolette. Dizionario di citazioni, Zanichelli, Bologna, 1995, p. 385. ISBN 88-08-09982-2.
  2. Da Teologia portatile ovvero Piccolo dizionario della religione cristiana, a cura di Tomaso Cavallo, Gammarò, Sestri Levante, 2015. ISBN 9788896647165
  3. Of the Kingdom of Darkness («Del regno delle tenebre») è il titolo della parte IV del Leviatano di Hobbes.
  4. Annota Jean Deprun: «Questo incredulo sarebbe Holbach stesso?». Il tono, fa notare Timpanaro, pur nella sua amarezza di fondo, sembra troppo leggero e scanzonato per provenire direttamente da Holbach.
  5. Religioniste: sostenitore fazioso di una religione, proclamata come l'unica vera; vocabolo, a quanto pare, coniato da Holbach.

Bibliografia

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  • Paul Thiry d'Holbach, Il buon senso, a cura di Sebastiano Timpanaro, Garzanti, Milano, 1985.
  • Paul-Henry Thiry d'Holbach, Sistema della natura, a cura di Antimo Negri, UTET, Novara, 2013. ISBN 978-88-418-9393-7

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