Giuseppe Giusti

poeta italiano

Giuseppe Giusti (1809 – 1850), poeta italiano.

Giuseppe Giusti

Citazioni di Giuseppe Giusti

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  • A battesimo suoni o a funerale, | muore un Brigante e nasce un Liberale.[1]
  • Ah sì! lunge da noi, fuor della sfera | oltre la qual non cerchia uman compasso, | vive una vita che non è men vera | perché comprender non si può qui basso.[2]
  • Briaco di gazzette improvvisate, | Pazzi assiomi di governo sputa | Sulle attonite zucche, erbe d'estate | Che il verno muta.[3]
  • Che i più tirano i meno è verità, | posto che sia nei più senno e virtù; | ma i meno, caro mio, tirano i più, | se i più trattiene inerzia o asinità.[4]
  • Contenta ai comodi | che Dio le fece, | può dirsi il Diogene | della sua spece. | Per prender aria | non passa l'uscio; | nelle abitudini | del proprio guscio | sta persuasa, | e non intasa: || viva la Chiocciola | bestia da casa.[5]
  • Così di mese in mese e d'anno in anno, | amandosi e vivendo lemme lemme, | è certo, cara mia, che camperanno | a dieci doppi di Matusalemme: | e noi col nostro amore agro e indigesto, | invecchieremo, creperemo e presto.[6]
  • È settentrional spada di ladri | tòrta in corona.[7]
  • Eroi, eroi, | che fate voi?[8]
  • Gino mio, l'ingegno umano | partorì cose stupende, | quando l'uomo ebbe tra mano | meno libri e più faccende.[9]
  • I figli, dicono, | non basta farli; | v'è la seccaggine | dell'educarli.[10]
  • Il Buonsenso, che già fu caposcuola, | ora in parecchie scuole è morto affatto; | la Scienza sua figliuola | l'uccise, per veder com'era fatto.[11]
  • Il fare un libro è meno che niente, | se il libro fatto non rifà la gente.[12]
  • [Su Leopoldo II] Il toscano Morfeo vien lemme lemme, | di papaveri cinto e di lattuga, | che, per la smania d'eternarsi, asciuga | tasche e maremme. | Co' tribunali e co' catasti annaspa; | e benché snervi i popoli col sonno, | quando si sogna d'imitare il nonno, | qualcosa raspa.[13]
  • Le favole d'Esopo, i Saggi di Michele Montaigne, sono scritti semplicemente, anzi con un certo garbo di trascuratezza che te gli rende più maneschi [alla mano].[14]
  • Liberamente il forte | apre al dolor le porte | del cor, come all'amico.[15]
  • Più dell'essere | conta il parere.[16]
  • Prete Pero è un buon cristiano, | lieto, semplice, alla mano; | vive e lascia vivere.[17]
  • Quel tu alla quacquera | di primo acchito! | Virt di vergine | labbro, in quegli anni, | che poi, stuprandosi | co' disinganni, | Mentisce armato | d'un lei gelato![18]
  • Stretto per l'andito | sfila il bon ton; | si stroppia, e brontola | pardon, pardon.[19]
  • Una sola preoccupazione terrà l'animo mio, ed è questa: che io credo al bene piuttosto che al male; credo molti i buoni e pochi i tristi; credo più nel buon senso che nella dottrina; credo che le vittime vere sieno i persecutori. Queste credenze parranno strane e saranno strane per uno oramai pervenuto agli ultimi anni della gioventù; strane a chi sa che io mi sono, dilettato no, (ché il mordere in fondo non diletta neppure il cane) ma dato a pungere i vizi, gli errori e le storture del tempo.[20]
  • Viva le maschere | d'ogni paese.[21]

Epistolario

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  • Ti sia sempre nella mente che compiacersi dei mali dei nostri simili è crudeltà; rilevarne i difetti è malignità; riportare i fatti o i discorsi dell'amico per nuocergli è perfidia. (a Giovannino Piacentini, 7 dicembre 1840; vol. I, n. 59, p. 264)
  • Vorrei che i libri si scrivessero per insegnare, invece si scrivono per mostra di sapere. (dalla lettera a Tommaso Grossi; vol. I, n. 121, p. 370)
  • Nella gioia l'uomo è sbadato, imprevidente, infecondo: le belle qualità dell'animo e della mente o non sono, o non si palesano negli uomini felici: una sventura le fa scintillare come l'acciaio la pietra focaia. (dalla lettera a Giuseppe Vaselli, novembre 1843; vol. I, n. 126, p. 386)
  • Voi sapete che Montaigne ha scritto di tutto un po' là alla bella libera, parlando continuamente del suo Signor sè come se non fosse suo fatto, palesando i suoi difetti, come fa l'uomo che sa di valere qualcosa, protestando di saper poco nel tempo medesimo che fa vedere di saper molto, e soprattutto presumendo di non aver presunzione. Senza piano, senza seguire un dato filo, anzi uscendo sempre di carreggiata e battendo la campagna, è riuscito, che buon pro gli faccia, a mettere insieme un libro pieno zeppo di mille cose bellissime, un libro che si può leggere tanto di proposito che a tempo avanzato, un libro finalmente che è stato ed è una specie di pozzo di San Patrizio, ove tutti attingono senza che si vuoti mai. Per uno sfaticato come me, nemico giurato d'ogni lungaggine, si tratti pure di una lezione o d'un desinare, contrario alle cose fatte colle seste alla mano, figuratevi che scoperta fu un libro che si può prendere e lasciare, leggere a digiuno e a corpo pieno. Dalle prime linee n'andai così matto che mancò poco che non facessi l'arfasatteria d’Archimede quando, per l'allegria d'una scoperta, scappò fuori di casa nudo come Dio l'aveva fatto. (dalla lettera a Giovan Pietro Vieusseux, autunno 1844; vol. I, n. 165, pp. 458-59)
  • Montaigne è scrittore ardito, avventato, da fare inalberare i cervelli soliti a andare avanti colle seste; uomo che parlando di sé e d’altri, dice troppo, come se avesse paura di non dir tutto. In quel suo fare rotto, fantastico e molte volte arruffato, a taluni può parere un cinico pieno di sé, ad altri uno che si vuol mostrare al pubblico tal quale,

    Intero e saldo e colle sue radici,

    a qualunque costo, pur di dire il vero. Io lo credo uno degli scrittori più forti, più pieni, più liberi da ogni pastoia che possa vantare la sapienza pratica, buona per le spese minute della vita, e uno dei più grandi poeti che abbia la prosa. (dalla lettera a Giovan Pietro Vieusseux, autunno 1844; vol. I, n. 166, pp. 459-60)
  • [A proposito di Tacito] Quell'anima ardita e maschile, quello stile che va nelle viscere dell'uomo come una lama infuocata, quelle alte e tremende virtù e quelle spaventose turpitudini che scolpisce nel diaspro [...]. (dalla lettera ad Atto Vannucci; vol. II, n. 174, p. 3)
  • [Commento su di un articolo di giornale che critica un suo scritto su Giuseppe Parini] [...] mi ripiglia sulla scelta dello stile di quel lavoro, quasi che lo stile si scegliesse come il panno per farsi una giubba, o piuttosto uno non se lo trovasse addosso bell'e cucito dalla madre natura. (dalla lettera ad Alessandro Manzoni; vol. II, n. 282, p. 219)
  • [Nello scrivere] Tenetevi tutti lontani da ogni eccesso e di stile e di passione, e farete cosa utilissima e onestissima. (dalla lettera a Matteo Trenta, Firenze, 14 febbraio 1848; vol. II, n. 329, p. 312)
  • [...] quando il pianto non è avvelenato dalla vergogna, il dolore fa bello e fortifica. (dalla lettera a Giacinto Collegno, 10 dicembre 1847; vol. II, n. 323, p. 303)

Gingillino

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  • Io credo nella Zecca onnipotente | e nel figliuolo suo detto Zecchino. (III, 32)
  • Oh le vecchie, le vecchie, amico mio, | portano chi le porta; e lo so io. (III, 18)
  • Se mai nasce uno scandalo, un diverbio, | un tafferuglio in quella casa là, | acqua in bocca, e rammentati il proverbio: | molto sa chi non sa, se tacer sa. (in Versi editi ed inediti)
  • Sotto la gramola | del pedagogo | cùrvati, schiàcciati, | rompiti al giogo. (I, 5)
  • Tibi quoque, tibi quoque | è concessa facoltà | di potere in jure utroque | gingillar l'umanità. (P. I, 37)
  • Un gran proverbio, | caro al Potere, | dice che l'essere | sta nell'avere. (I, 32)

Il Mementomo

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  • Dietro l'avello | di Machiavello | dorme lo scheletro | di Stenterello. (2)
  • Non crepa un asino | che sia padrone | d'andare al diavolo | senza iscrizione. (2)
  • Lasciate il prossimo | morire in pace, | o parolai, | o epigrafai, | o vendi-lacrime | sciupa-solai. (9)

La terra dei morti

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  • Ah! d'una gente morta | non si giova la storia.
  • Difatto, dopo morto | è più vivo di prima. (6)
  • Ma il libro di natura | ha l'entrata e l'uscita: | tocca a loro la vita, | e a noi la sepoltura. (12)
  • Tra i salmi dell'Uffizio | c'è anco il Dies irae: | o che non ha a venire | il giorno del giudizio? (15)

La vestizione

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  • L'illustre bindolo | a capo basso | parea Don Bartolo | fatto di sasso. (I, 49)
  • Vendevi zénzero | per pepe bono. (61)
  • O in oggi ha credito | lo sbarazzino, | o Santo Stefano | tira al quattrino. (72)

Raccolta dei proverbi toscani

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  • Per proverbio intendo quel dettato che chiude una sentenza, un precetto, un avvertimento qualunque, ed escludo da questa raccolta certi altri detti come sarebbero – Conoscere i polliMettere il becco in molleScorgere il pelo nell'ovoStringere i panni addosso; – questi e altri diecimila che si dicono proverbi e che i raccoglitori registrano per proverbi, mi pare a tutto rigore che debbano chiamarsi modi di dire o modi proverbiali. (p. 1)
  • Ho domandato mille volte alla gente cosa significasse un tal proverbio, e così staccato, non me l'hanno saputo dire; ma appena ho chiesto a che proposito lo dicessero, me n'hanno resa subito perfetta ragione; per la qual cosa si può dire che versano dalle labbra una sapienza che non sanno di possedere, come uno si dà a un lavoro, a una fatica, senza avvertire la capacità delle proprie braccia. (p. 13)
  • Una sera a Firenze, in una delle poche case, a grave danno del Faraone tuttavia rallegrate da quella gaia ma ora inelegantissima regola dei giochi di pegno, mi trovai al gioco dei Proverbi che si fa tutti mettendosi in cerchio, donne e uomini, e buttandosi uno coll'altro un fazzoletto colla canzoncina «Uccellin volò, volò, su di me non si posò, si posò su un tale e disse...» qui tirano il fazzoletto sulle ginocchia della persona nominata e dicono un proverbio, e bisogna dirlo presto, e che non sia detto avanti da nessuno, altrimenti si mette pegno. Io che sono nato in provincia e che son sempre malato grazie a Dio delle prime impressioni, udendo quel diluvio di proverbi, e con quanta prontezza quelle fanciulle vispe e argute trovavano il modo di punzecchiarsi tra loro, di burlare gli innamorati, di canzonare i grulli e di mettere in ridicolo la cuffia di questo o la parrucca di quello, confesso il vero che c'ebbi un gusto matto, e posso dire che fino da allora mi detti a questa raccolta, perché tornato a casa segnai tutti i proverbi che mi ricorsero alla memoria. (pp. 13-14)
  • Chi sa quante centinaja di proverbi girano tuttora inavvertiti per la bocca del popolo? La nostra lingua n'è tanto ricca, che tutti quelli che da buoni e onesti paesani non si vergognano di saperla parlare, non riescono a dire tre parole senza incastrarci un proverbio. Io di certo non ho potuto raccoglierli tutti, perché è quasi impossibile che uno solo possa trovarsi a udirli quanti sono. (p. 15)
  • Il sapersi adattare è una gran virtù! Risparmia infinite molestie, e concilia la benevolenza degli altri. (p. 402)

Incipit di alcune opere

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Il Brindisi di Girella

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(DEDICATO AL SIGNOR DI TALLEYRAND BUON'ANIMA SUA)

  • Girella (emerito | di molto merito), | sbrigliando a tavola | l'umor faceto, | perdé la bussola | e l'alfabeto; | e nel trincare | cantando un brindisi, | della sua cronaca | particolare | gli uscì di bocca | la filastrocca: | Viva Arlecchini | e burattini, | grandi e piccini, | viva le maschere | d'ogni paese.

Il re travicello

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  • Al Re travicello | piovuto ai ranocchi, | mi levo il cappello | e piego i ginocchi; | lo predico anch'io | cascato da Dio: | oh comodo, oh bello | un Re travicello. || Calò nel suo regno | con molto fracasso; | le teste di legno | fan sempre del chiasso: | ma subito tacque, | e al sommo dell'acque | rimase un corbello | il Re travicello.

Sant'Ambrogio

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  • Vostra eccellenza, che mi sta in cagnesco | per que' pochi scherzucci di dozzina, | e mi gabella per antitedesco | perché metto le birbe alla berlina, | o senta il caso avvenuto di fresco, | a me che girellando una mattina, | capito in Sant'Ambrogio di Milano, | in quello vecchio là, fuori di mano.
  • M'era compagno il figlio giovinetto | d'un di que' capi un po' pericolosi, | di quel tal Sandro, autor d'un romanzetto | ove si tratta di promessi sposi... | Che fa il nesci, Eccellenza? o non l'ha letto? | Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi, | in tutt'altre faccende affaccendato, | a questa roba è morto e sotterrato.

L'amor pacifico

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  • Gran disgrazia, mia cara, avere i nervi | troppo scoperti e sempre in convulsione, | e beati color, Dio li conservi, | che gli hanno, si può dire, in un coltrone, | in un coltrone di grasso coi fiocchi, | che ripara le nebbie e gli scirocchi.

Citazioni su Giuseppe Giusti

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  • Chi avesse voluto fargli un brutto tiro avrebbe dovuto pregarlo a leggere o a recitare qualche sua poesia; scappava via come un fulmine, o quando non poteva scappare, allora si rifiutava con una ostinazione quasi rabbiosa; e tutto ciò perché non sapeva leggere le cose sue. Per lui non c'erano né flessioni, né punti, né virgole, né ammirativi, né interrogativi; tirava giù come se fosse tutto liscio. Dei difettucci ne aveva, povero Beppe! Per esempio era avaro al massimo grado, e più volte io e Gino Capponi ne lo riprendemmo amichevolmente. S'immagini; spingeva tant'oltre la spilorceria, che quando doveva per un giorno andare da Pescia a Firenze e non aveva voglia d'invitarsi da Gino o da me, per non spendere del trattore si portava seco quattro o cinque uova sode, e del prosciutto del Casentino. (Silvestro Centofanti)
  • Come vedi, la mia Musa sta molto sul positivo, ama i dettagli della vita pratica, e o trascura o sdegna i voli lirici e sentimentali dei poeti Pratajuoli: credo d'aver scelto la via se non più brillante almeno più utile. E poi mi sta dinnanzi quel grande esemplare del Giusti che m'insegna il modo d'adoperarsi perché il verseggiare non sia un'inutilità sociale. (Ippolito Nievo)
  1. Da Il "Delenda Cartago", 2.
  2. Da Il Sospiro dell'anima.
  3. Da Alli spettri del 4 settembre 1847, in Le poesie di Giuseppe Giusti, Firenze, 1860.
  4. Da I più tirano i meno.
  5. Da La Chiocciola, vv. 13-24.
  6. Da L'amor pacifico, 26.
  7. Da L'incoronazione, 22. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 465.
  8. Da Il poeta e gli eroi da poltrona. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 748.
  9. epigramma a Gino Capponi. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 149.
  10. Da Preterito più che perfetto del verbo pensare, in Versi editi ed inediti.
  11. Dagli Epigrammi.
  12. Dagli Epigrammi.
  13. Da L'incoronazione, 7. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 506.
  14. Gino Capponi (a cura di), Giuseppe Giusti (compilato da), Raccolta di proverbi toscani nuovamente ampliata e pubblicate da Gino Capponi, successori Le Monnier, Firenze, 1871, p. 405.
  15. Da Al medico Ghinozzi contro l'abuso dell'etere solforico, str. 5. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, U. Hoepli, Milano, 1921, p. 428.
  16. Da Le memorie di Pisa, 7.
  17. Da Il Papato di Prete Pero, 1.
  18. Da Le memorie di Pisa, 6.
  19. Da Il ballo, 13.
  20. Da Cronaca dei fatti di Toscana.
  21. Dal Brindisi di Girella. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 536.

Bibliografia

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  • Giuseppe Giusti, Epistolario, volume 1, Felice Le Monnier, Firenze, 1863.
  • Giuseppe Giusti, Epistolario, volume 2, Felice Le Monnier, Firenze, 1859.
  • Giuseppe Giusti, Gino Capponi (a cura di), Raccolta dei proverbi toscani, F. Le Monnier, Firenze, 1853.

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