Gian Luigi Rondi

critico cinematografico italiano (1921-2016)

Gian Luigi Rondi (1921 – 2016), critico cinematografico italiano.

Gian Luigi Rondi nel 2005

Citazioni di Gian Luigi Rondi

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  • [Su In nome del popolo sovrano] Anche se Magni non sta dalla sua parte, quel Papa Re in fuga più vincitore che vinto è uno dei segnali della vitalità del suo film. Nel rispetto onesto delle ragioni degli altri.[1]
  • [Su Once Were Warriors - Una volta erano guerrieri] Certo, il cinema americano storie così ce ne ha raccontate con frequenza, in cornici non dissimili, con personaggi egualmente ai limiti della norma, ma il tocco neozelandese del film trapela da tutti i suoi contesti (si veda, per un esempio, il rilievo dato ai tatuaggi), in cifre che, nel diverso modo di guardare e di rappresentare, nel gusto del colore, nella vitalità degli snodi narrativi, raggiungono subito una originalità tutta speciale.[2]
  • [Su Grazie zia] Il cinema italiano è una vera fucina di maudits. Ormai non c'è giovane che vi esordisca senza puntare almeno sull'incesto. Su cosa punterebbe, del resto? Con i tempi che corrono l'incesto è ancora uno dei pochi temi che, almeno in teoria, riesca a fare un po' di chiasso.
    Per fare un po' di chiasso, così, e nella speranza di scandalizzare il colto e l'inclita, Salvatore Samperi, l'esordiente di turno, ignaro probabilmente dell'autorevole ombra di Stendhal, ha messo su, con ambiziosa imperizia, una serie di "giochi proibiti” tra zia e nipote.[3]
  • [Su Lolita] Il film di Kubrick capovolge [rispetto al romanzo] i termini del rapporto e si occupa soprattutto di Humbert Humbert, l'uomo ancora giovane ma non più giovanissimo che si lascia sedurre da Lolita, concepisce per lei una passione folle e si trova a dover presto lottare con una bestiola incosciente e viziosa che non afferra l'importanza dei sentimenti suscitati. [...] L'accento del film, perciò, cade sul dramma di Humbert e su un carattere che, pur nella sua immoralità, persegue con tenacia dei principi morali, coltivando la speranza di un ordine da ristabilire. Evocandoci questo dramma, Kubrick è riuscito a tenere lontano il personaggio dall'erotismo scoperto per immergerlo, invece, in un'atmosfera di quasi tragica grandezza. [...] Certo tutto questo non è più Nabokov, ma francamente non dispiace. Il romanzo era decisamente più aggressivo del film dal punto di vista del sesso ed era, dal punto di vista del linguaggio, meno disinvolto e scorrevole. Probabilmente qua e là, in certe caricature, Kubrick ha superato un po' qualche limite e, pur imponendosi sempre con molte preziosità di stile, in qualche pagina ha forse sfiorato la calligrafia (per di più un po' barocca), ma sono difetti che non sminuiscono il rigore, l'impegno e anche la dignità di un'opera che, una volta tanto, migliora e non peggiora il testo cui si è ispirata. Gli interpreti sono la giovanissima Sue Lyon, un misto quasi perfetto di sensualità e di finto candore, di perfidia e di incoscienza, James Mason, un Humbert Humbert forse più felice nei momenti caricaturali del suo carattere che non in quelli drammatici, Peter Sellers, colorito e istrionico in modo sapientissimo nei panni del commediografo, Shelley Winters, una madre che, pur con sottili intenzioni satiriche, sa spesso vibrare di commozione.[4]
  • [Su La dolce vita] Il film — uno dei più terribili, più alti, e a modo suo più tragici che ci sia accaduto di vedere su uno schermo — è la sagra di tutte le falsità, le mistificazioni, le corruzioni della nostra epoca, è il ritratto funebre di una società in apparenza ancora giovane e sana che, come nei dipinti medievali, balla con la Morte e non la vede, è la "commedia umana" di una crisi che, come nei disegni di Goya o nei racconti di Kafka, sta mutando gli uomini in mostri senza che gli uomini facciano in tempo ad accorgersene. [...] Polemica, simbolo, allegoria, atto d'accusa? Niente di tutto questo, Fellini si è volutamente tenuto lontano dall'opera "a tesi", ha evitato rigorosamente le intonazioni programmatiche, retoriche, moralistiche e ha preferito descrivere ai contemporanei i "mostri" di oggi [...]. E lo fa con una potenza drammatica, un impeto, una novità di linguaggio che, nonostante le riserve per la debolezza di taluni episodi (quando troppo insistiti, troppo scoperti o sgradevoli), iscrivono certamente il suo film tra le più "moderne" opere dell'arte del cinema.[5]
  • [Su Liam] Il ritratto della miseria inglese nel Trenta è efficace, proposto spesso anche con modi risentiti, figurativamente ispirati a un realismo solido. L'occhio del bambino, però, che osserva soprattutto le repressioni a scuola e quelle, quasi caricaturali, in chiesa, deforma a tal segno le vere prospettive da far pensare che Frears abbia voluto addirittura cimentarsi con l'humour nero. Senza equilibrio, però, e in più momenti con scarse motivazioni narrative. Approdando a una cronache che rischia a tratti di scivolare nel libello. Priva, alla fine, anche di vere conclusioni.[6]
  • [Su Don Bosco] Leandro Castellani, sorretto da una storia costruita in questo modo, senza molte increspature ma con climi intensi, l'ha rappresentata evitando a sua volta ogni sentimentalismo insistito, attento alla ricostruzione storica dell'epoca ma anche dei modi di vita di quei ragazzi all'inizio abbandonati e sbandati, qui con bozzetti dal vivo, là con pagine meditate e nitide, senza cedere mai ai trionfalismi dei successi né all'iterazione degli ostacoli: con quella figura al centro permeata in egual misura di umanità e di santità. Ottenendo, sia sul piano del racconto sia su quello delle emozioni, dei risultati molto degni. Favoriti da una fotografia (di Renato Tafuri) tutta colori effusi, con dominanti giallo oro, e da una musica (di Stelvio Cipriani) in equilibrio fine tra il profano ed il sacro. Cui va aggiunta, ma non certo per ultima, l'interpretazione di Ben Gazzara come Don Bosco: così somigliante, schietta e concreta da suggerire la preghiera.[7]
  • Miracolo a Milano è una favola. Una favola, però, che sotto le sue bonarie apparenze, nasconde una polemica di natura sottilmente classista [...]. De Sica dichiara volentieri di servire solo l'arte e di non fare politica; se questo, però, era appena sostenibile per Ladri di biciclette, non lo è molto per Miracolo a Milano. [...] I poveri di De Sica sono tra virgolette e occultano forse quella polemica che, con la parvenza di certe rivendicazioni proletarie, sostiene invece rivendicazioni di natura più decisamente politica.[8]
  • [Su Whore (puttana)] Nei panni di Liz, Theresa Russell trova impeti e calori straordinari per costruirsi un personaggio che domina la storia dal principio alla fine soprattutto con una voce che, nella versione originale, mutava toni, accenti ed espressioni ad ogni momento.[9]
  • [Su Umberto D.] Nonostante i suoi richiami a una nota contingenza sociale, nonostante la sua quasi realistica cornice romana, i suoi personaggi attuali, il suo clima a volte addirittura cronistico, questa vicenda – come ognun vede – ha una sua esatta destinazione letteraria, evoca, con lucida e quasi livida analisi, quei mondi angosciosi e irreali che, così spesso, ci descrivono i sogni, che così acutamente ci hanno narrato certi scrittori anteguerra del Mitteleuropa.[10]
  • [Su Punto di non ritorno] Quello però che infastidisce di più e che fa sconfinare del tutto la fantascienza nell'horror giustificato solo di rado è l'eccesso di particolari raccapriccianti spinti intenzionalmente oltre ogni limite: sia quando ci si compiace di intrattenerci quasi in primo piano su occhi enucleati dalle loro orbite, sia quando la regia dell'oriundo inglese Paul Anderson spinge al diapason il tasto della violenza; con accenti compiaciuti sul sangue versato o, peggio, sputato a fiumi. Ottenendo, immediato, l'effetto nausea. Fra gli astronauti, Laurence Fishburne, Joely Richardson, Kathleen Quinlan, Jack Noseworthy. Dimentichiamoli.[11]
  • [Su Charles Boyer] Recatosi a Hollywood nel 1934, vi interpretò da quel giorno personaggi europei che, col passar degli anni, si andarono spostando dal giovane fatale e un po' gigolo al giovinotto brizzolato ed equivoco, cui si addicono vicende più tranquille o più perverse.[12]
  • [Su Appassionatamente] Si deve tuttavia alla linda e precisa regia di Gentilomo se almeno la sua cornice rivela un certo decoro [...].[13]
  • [Su Michèle Morgan] Si impose grazie alla sua interpretazione in Quai des brumes, di M. Carné; in seguito, il "tipo" che le riuscì di creare, dotato di un fascino languido e sostenuto a un tempo, ravvivato da due grandissimi occhi chiari, ma volutamente tenuto su linee di costante, severa compostezza venne ripetuto, più o meno, con immutato successo, in una numerosa serie di film, in Francia, in Italia, negli S. U. A. che hanno fatto della M. se non un'attrice molto apprezzata per le sue doti artistiche, certo una delle dive più significative e meno esteriori della cinematografia internazionale.[14]
  • [Su Il messia] Tutto quello che vi si vede e che si riferisce al Messia e agli apostoli è vero, asciutto, immediato, con sapore di pane, di polvere, di terra. La cifra visiva che nasce con logica precisa dalla cornice palestinese, ricreata soprattutto in Tunisia, è quella del sottoproletariato arabo-semita, con le sue cornici di oggi, i suoi costumi. Una cronaca del Terzo Mondo che non si scontra mai con la Sacra rappresentazione, perché la seconda nasce dalla prima.[15]
  • [Su State buoni se potete] Un San Filippo Neri in chiave di ballatella romanesca raccontato da un Luigi Magni non più anticlericale ma sempre fedele ai limiti del suo bozzettismo semplice. Il titolo lo dice subito: riferendosi ad una esortazione di San Filippo Neri ai bambini turbolenti che catechizzava nel suo Oratorio, suona la nota di un umanesimo comprensivo e alla buona da contrapporsi, nella Roma cinquecentesca della Controriforma, al rigore dell'insegnamento di Sant'Ignazio di Loyola e dei suoi esigenti ed inflessibili Esercizi Spirituali.[16]
  • [Su Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)] Una farsa un po' amarognola, con sfumature di "grottesco", in chiave tutta caricaturale. [...] Age e Scarpelli, che hanno scritto il testo, e Ettore Scola, che lo ha diretto, hanno svolto l'azione come se uscisse fuori dalle testimonianze del processo subito intentato a Oreste dopo il suo "folle gesto" e l'hanno perciò colorita con tutte le interpretazioni polemiche, distorte e soggettive, dei singoli protagonisti traendone spesso qualche occasione di satira: quei personaggi, ad esempio, che parlano tutti come nei "fumetti", loro unica lettura quotidiana, quei comunisti alla Guareschi, che si deridono da soli; quei grandi amori da feuilletons naufragati fra i cavoli e le verze dei Mercati Generali, in climi da tranches de vie popolaresche, sorretti in genere da beffe, lazzi e strambotti.[17]
  1. Da Il Tempo; citato in In nome del popolo sovrano, cinematografo.it.
  2. Da Il Tempo, 16 gennaio 1995; citato in Once Were Warriors - Una volta erano guerrieri, cinematografo.it.
  3. Da Il Tempo, 8 maggio 1968; citato in Grazie, zia, mymovies.it.
  4. 21 dicembre 1962; in Kurosawa, Bergman e gli altri..., parte I, Le Monnier, 2000; citato in Lolita, cinematografo.it.
  5. Da Il Tempo, 5 febbraio 1960; citato in Claudio G. Fava, I film di Federico Fellini, Volume 1 di Effetto cinema, Gremese Editore, 1995, pp. 95-96. ISBN 8876059318
  6. Da Il Tempo, 15 marzo 2001; citato in Liam, comingsoon.it.
  7. Da Il Tempo, 1º ottobre 1988; citato in Don Bosco, cinematografo.it.
  8. Da Il Tempo, 1951; citato in Miracolo a Milano, cinematografo.it.
  9. Da Il Tempo; citato in Whore - Puttana, cinematografo.it.
  10. Da Umberto D., Bianco e nero, gennaio 1952, p. 81.
  11. Da Il Tempo, 24 gennaio 1998; citato in Punto di non ritorno, cinematografo.it.
  12. Da BOYER, Charles, in Enciclopedia Italiana, II Appendice, 1948.
  13. Da Il Tempo, 22 gennaio 1955; citato in Appassionatamente, cinematografo.it.
  14. Da MORGAN, Michèle, in Enciclopedia Italiana, III Appendice, 1961.
  15. Da Il Tempo; citato in Stefano Masi, Enrico Lancia, I film di Roberto Rossellini, Gremese Editore, 1987, p. 133. ISBN 887605281X
  16. Da Il Tempo, 9 aprile 1983; citato in State buoni se potete, mymovies.it.
  17. Da Il Tempo, 1º maggio 1970; in Prima Delle "Prime": Film Italiani, 1947-1997, Bulzoni, 1998, p. 367. ISBN 8883191811

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