Gabriele Salvatores
regista italiano (1950-)
Gabriele Salvatores (1950 – vivente), attore, regista e sceneggiatore italiano.

Premi Oscar vinti:
Miglior film straniero (1992)
MediterraneoCitazioni di Gabriele Salvatores
modifica- Arrivai [alla facoltà di Giurisprudenza della Statale di Milano] nel Sessantotto, a 18 anni, incontrai quello che è stato per tanti di noi un fratello maggiore: Mario Capanna, allora capo indiscusso del Movimento studentesco. Era più grande, aveva un modo di fare protettivo e rassicurante. Mio padre aveva perso la sua sfida: avevo i capelli così lunghi e mi vestivo così strano che lui, se dovevamo uscire insieme, sceglieva di camminare sul marciapiede opposto, non ce la faceva a starmi vicino. La musica di Jimi Hendrix, vera reincarnazione di Mozart, Frank Zappa e i film di allora, dal Laureato a Il pane e le rose, insieme all’immensa energia umana che ti trasmetteva il movimento, mi portarono verso la politica rivoluzionaria, verso un estremismo anche esistenziale. È stato un passaggio breve, ma forte: per un soffio, tanti di noi, mi metto io per primo, non sono finiti nella lotta armata, nel terrorismo o nell’eroina.È un caso, un destino, un rimescolamento di carte: il confine era sottilissimo. Forse, mi hanno salvato proprio il rock, la chitarra elettrica, gli spettacolini che organizzavamo fra noi.[1]
- La cosa che più mi colpisce è il continuo confronto forte che in altri posti faccio fatica a trovare, tra l'antico, la tradizione, ed il nuovo che si esprime anche a livello tecnologico. Per dirla con un'immagine sola, la vicinanza tra i computer e le reti dei pescatori. Ciò che trovo stimolante a Napoli è che mentre altre città hanno sacrificato completamente le proprie radici all'innovazione tecnologica, qui ancora si trova un incontro tra le radici profonde della cultura ed una visibile voglia di innovazione. Tanto che sarebbe uno scenario adatto ad un film di fantascienza.[2]
- Non bisognerebbe mai tornare nei posti dove si è stati bene. Confesso, mi fa paura perché, a differenza che nel cinema, nella vita non esiste il replay.[3][4]
- [Sulla Basilicata.] Prendere l'autostrada Napoli-Bari, uscire a Candela e puntare verso Sud. E s'incontreranno colline di grano a perdita d'occhio. È il luogo dell'anima. Il profondo sud d'Italia, la Magna Grecia, un'Italia spesso dimenticata, dove ancora resistono le suggestioni del mondo poetico-contadino.[5]
Intervista di Gabriella Mancini, La Gazzetta dello Sport, 19 aprile 1998
- Era il 1956 [...] ero appena arrivato a Milano con i miei genitori e nella mia classe erano tutti interisti e milanisti. Impossibile tifare per il Napoli in quella classe lì, rischiavi le botte; così arrivai al bivio: scelsi l'Inter perché aveva un po' d'azzurro come il mio Napoli.
- [«Se potesse far recitare un calciatore [...], chi sceglierebbe?»] Una faccia intensa... Iván Zamorano. Ha una grinta che puo' adattarsi ai miei film. Una faccia india che trasmette energia e sofferenza.
- [«L'Inter al cinema: quale titolo avrebbe?»] Brivido caldo. L'Inter è una contraddizione che non ti fa stare mai tranquillo, un thriller con suspense infinita. È come entrare in un ottovolante che non sai quando si ferma. Emozionante.
Intervista di Donatella Ferrario, stpauls.it, 2013
- [Su Educazione siberiana] È la prima volta che mi capita di girare un film che non parta da una mia idea: io non conoscevo il libro, i produttori di Cattleya ne avevano comprato i diritti e me l'hanno proposto. Non appena l'ho letto, ciò che mi ha colpito di più è stato il racconto di questo universo, un mondo molto particolare che, per certi versi, mi ha ricordato le tribù degli indiani d'America, o qualsiasi tipo di comunità che, in qualche modo, per motivi culturali, di tradizione, di legami con i cicli della natura, si opponga, se non al progresso, all'omologazione, alla globalizzazione. Questa è stata la prima cosa che mi ha colpito. Poi sono venuti i personaggi, che in Lilin non sono così delineati e andavano più caratterizzati, per ricavarne una vera e propria storia che si potesse raccontare, con un inizio e una fine.
- Non posso dire di essere ateo, direi che sono agnostico, nel senso che non riesco a figurarmi bene che cosa c'è dopo o cosa c'è oltre. Mi piacerebbe molto che se non fosse proprio il Dio così come è rappresentato nell'iconografia cristiana classica, almeno ci fosse il concetto di divino, che possiamo poi essere tutti noi. Che la vita non sia solo materia: a volte ho paura che sia proprio così, spesso uno è portato a credere che sia così... Sono in attesa di qualche risposta. Certo, pervade il sentimento di essere buttati a caso nella mischia.
- [...] da parecchi anni viviamo in un mondo in cui si è completamente spostata la logica naturale delle cose. Faccio un solo esempio, che secondo me spiega tutto: una volta il denaro era il mezzo per ottenere dei benefici, dei beni o per soddisfare dei bisogni. Adesso il denaro è diventato un fine, non un mezzo: e questo è già pazzesco, è malato, c'è qualcosa che non va. In più il mercato sposta continuamente i desideri sempre più avanti: i buddhisti e gli induisti definiscono tutto questo maya, cioè illusione, il che la dice lunga... Dunque la felicità è molto difficile da conquistare in un contesto in cui ti fanno desiderare sempre cose che non hai. La responsabilità del mercato e della cultura in questo momento è molto forte.
- No, non credo che necessariamente i bambini siano innocenti. Anzi, a volte noi li consideriamo innocenti e loro non lo sono per niente. Parlando in termini più scientifici, il cervello umano si sviluppa nei primi otto anni, le possibilità di apprendimento nei primi tre anni sono praticamente al massimo rispetto a quelle che avrai dopo... C'è una forza vitale impressionante, una grande energia: se un bambino cade non si fa male, pare di gomma... In particolare, tutto questo, nell'adolescenza, o meglio nel passaggio tra l'infanzia e l'adolescenza, viene profondamente messo in crisi, viene messo a dura prova: in quel periodo dentro di noi c'è un "superpotere" che non sappiamo bene come gestire. I bambini, ma anche gli adolescenti e i giovani, per certi versi, sono profondamente controllabili, puoi iniettargli di tutto, per incanalare la loro energia o per governarla... Quindi da una parte fanno paura, perché sfuggono a qualsiasi regola; dall'altra sono soggetti facilmente manipolabili, proprio perché disponibili ad assorbire come le spugne. Chi ti guida e ti indica una strada – il genitore, l'insegnante, il pastore – è fondamentale. Ma può essere molto pericoloso, molto dannoso. È un momento della vita che trovo particolarmente affascinante.
Intervista di Emilia Iuliano, bestmovie.it, 1 febbraio 2013
[Su Educazione siberiana]
- Nel libro di Educazione siberiana il personaggio di Gagarin compare poco, mentre il film si concentra sulla relazione tra lui e Kolima. La storia è quella di due ragazzini che crescono in una comunità criminale siberiana. A un certo punto il personaggio di Gagarin viene arrestato e trascorre sette anni in riformatorio e quando si rivede con l'amico Kolima i due sono diventati persone diverse. Ho cercato di mostrarlo anche puntando sulle iniziali difficoltà tra due attori così diversi come Arnas Fedaravicius che interpreta Kolima e Vilius Tumalavicius che interpreta Gagarin di andare d'accordo. Qualche loro attrito iniziale era quello in cui speravo
- Quello in cui speravo è che scattasse qualcosa tra i due attori – la storia parla di due amici che si allontanano e che hanno preso due strade diverse. Quando Kolima e Gagarin si ritrovano è proprio questo che si deve vedere, i quartieri differenti e il loro modo di prendere la vita altrettanto diverso.
- Ho imparato molto girando Educazione siberiana: il modello di cinema che me ne ha fatto innamorare da bambino è quello delle grandi storie: non di quelle minimaliste, ma quelle che si svolgono lungo svariati anni e contengono tutto: amore, morte, odio, amicizia. E poi tecnicamente è un'altra cosa, mi sono trovato a girare con mezzi non direi faraonici ma senz'altro su un'altra scala rispetto alla dimensione del cinema che ero abituato a fare. Ci sono fiumi che straripano, risse tra bande, la guerra in Cecenia, avanti e indietro nel tempo tra l'epoca anteriore alla caduta del blocco sovietico e successiva. Ho imparato cose nuove anche a livello tecnico, l'importanza delle persone che ti lavorano intorno, come lo stunt specializzato nella guida e negli inseguimenti in macchina, che in Italia è uno stunt qualsiasi ma che sul set di Educazione siberiana era uno specialista. Mi ha fatto capire che in auto con gente come lui non ci voglio più salire!
Intervista di Federico Gironi, comingsoon.it, 22 febbraio 2013
[Su Educazione siberiana]
- [...] tra quelli che ho fatto finora questo è il film che preferisco. Forse perché è quello durante il quale imparato di più, perché è stato il più difficile, perché è stato un film di prime volte. Ci stiamo provando in molti in Italia ad aprire una piccola breccia nel sistema produttivo e a pensare a un cinema di dimensione europea: speriamo di riuscirci. A chi mi chiede perché non ci siano film italiani candidati all'Oscar non rispondo, se non così: l'Oscar in fin dei conti è un premio dell'industria americana, non è un obiettivo a cui mirare. Preoccupiamoci piuttosto di raccontare storie che siano universalmente comprensibili.
- Il libro ha una quantità enorme di personaggi e di aneddoti, che il film non poteva contenere. Io, per esempio, ero innamorato del personaggio di un ragazzino strambo chiamato Il Ferroviere, ma ho dovuto rinunciarvi. Avevamo bisogno di una linea narrativa precisa, che Rulli e Petraglia hanno rintracciato con sapienza.
- Posso solo dire Sergio Leone è un regista che amo molto. Io ho studiato teatro, il mio unico maestro di cinema si chiama Nino Baragli ed è un montatore che ha lavorato con gente come Pasolini, Fellini e lo stesso Leone: si vede che qualcosa mi avrà lasciato dentro.
Intervista di Laura C., screenweek.it, 9 marzo 2013
[Su Educazione siberiana]
- Credo [...] che il film sia piuttosto adatto a un pubblico giovane, in quanto i protagonisti sono due ragazzi che seguiamo dai 10 ai 20 anni, così come a un pubblico più vasto, perché tocca temi che ci riguardano direttamente. Certo, parla di un mondo molto lontano da quello a cui siamo abituati, ma forse anche per questo è in grado di mostrarci riflessi nuovi sulla nostra quotidianità e la nostra vita.
- Naturalmente ci siamo basati sul romanzo di Nicolai Lilin, che però è molto particolare perché non c'è una vera e propria storia, ma una serie di personaggi e di aneddoti. Noi li abbiamo usati per riempire il racconto inventato per il film, sempre in collaborazione con Lilin che ha lavorato con noi sin dall'inizio, sia per la sceneggiatura, sia per i tatuaggi e anche le armi, di cui personalmente non sono molto esperto. Lilin ci ha perciò aiutato a ricostruire le ambientazioni descritte dal romanzo, ma per il resto lo abbiamo un po' sognato, questo luogo lontano. Specialmente nella prima parte del film, quando i protagonisti sono ancora bambini e il racconto ha la dimensione di una favola.
- [...] bisognerebbe definire il concetto di criminale, però questo è di sicuro uno dei temi del film. L'arrivo della globalizzazione, del consumismo, il mito del denaro facile e del successo a ogni costo non ha influito solo sulla società civile normale, ma anche sugli ambienti della malavita. Lo abbiamo visto anche qui in Italia, in quei gruppi di malviventi che in qualche modo avevano un loro codice etico e morale, poi completamente stravolto. L'ambientazione di Educazione Siberiana è interessante proprio per questo: la storia potrebbe essere trasferita in qualsiasi contesto "normale", ma il fatto che alcuni principi, anche molto apprezzabili, vengano enunciati da una comunità di criminali, suona piuttosto insolito. Prendiamo ad esempio la frase "Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare": non mi sembra di aver mai sentito un nostro politico dire qualcosa del genere.
Intervista di Pierpaolo Festa, film.it, 7 giugno 2013
[Su Educazione siberiana]
- [«Hai mai pensato di girarlo direttamente in russo?»] C'è stato un momento in cui io e John Malkovich lo abbiamo proposto. Forse sarebbe stata la scelta più giusta. Alla fine la produzione ha insistito per l'inglese per rivolgersi a un pubblico più vasto. A quel punto volevo che i personaggi parlassero senza un accento particolare. Anche la produzione ha imposto l'accento russo. In un certo senso è stato come se mi avessero tolto una parte di controllo. È stato faticoso.
- Mi è capitato di partecipare a proiezioni con un pubblico tedesco e inglese: loro vedono i siberiani un po' come gli indiani Pellerossa, come una cultura destinata a sparire. Sicuramente la Russia ha dei lati oscuri, ma non mi sento certamente vicino ai pregiudizi di un certo tipo di letteratura americana degli anni Cinquanta e Sessanta. E nemmeno vicino a un tipo di cinema made in USA che descrive i russi come cattivi.
- Certamente il '68 ha provocato diversi drammi, ma sono fiero di averne fatto parte. In quel periodo non eravamo soli: sapevo bene che se facevo teatro in uno scantinato di Milano, c'era qualcun altro che faceva la stessa cosa a Parigi e perfino a Mosca. Oggi mi spiace molto vedere che i giovani sono più solitari e meno integrati. Credo però che ancora una volta toccherà alle nuove generazioni provvedere per il cambiamento. Non certo a gente della mia età che rimane attaccata alla poltrona...
Citazioni su Gabriele Salvatores
modifica- Io amo quest'uomo, a mio avviso è uno dei più importanti e talentuosi registi italiani che hanno fatto la storia del cinema italiano. (Nicolai Lilin)
Note
modifica- ↑ Dall'intervista di Barbara Palombelli, Salvatores, da Lotta Continua all'Oscar, corriere.it, 30 aprile 2005.
- ↑ Citato in Enzo Marzano e Antonella Ciancio (a cura di), Napoli. Voci per una città, Adriano Gallina Editore, Napoli, stampa 1994, p. 93.
- ↑ Dall'intervista di Cesare Martinetti, Salvatores, una vacanza da copione, La Stampa, 20 luglio 1992, p. 15.
- ↑ La citazione è simile alla risposta che Eugen Dollmann diede a Enzo Biagi quando gli chiese "perché non torna più in Italia?", "non bisogna mai tornare dove si è stati felici" (Cfr. Un giorno ancora). Altrove, lo stesso Biagi l'attribuisce a Walter Reder (La condanna del ricordo, Corriere della sera, 8 luglio 2002).
- ↑ Citato in Basilicata in scena, APT Basilicata.
Filmografia
modificaRegia
modifica- Marrakech Express (1989)
- Turné (1990)
- Mediterraneo (1991)
- Puerto Escondido (1992)
- Nirvana (1997)
- Quo vadis, baby? (2005)
- Happy Family (2010)
- Educazione siberiana (2013)
Sceneggiatura
modifica- Turné (1990)
- Nirvana (1997)
- Quo vadis, baby? (2005)
- Happy Family (2010)
- Educazione siberiana (2013)
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