Francesco Cataluccio

scrittore e saggista italiano (1955-)

Francesco Matteo Cataluccio (1955 – vivente), scrittore e saggista italiano.

Cataluccio nel 2016

Citazioni di Francesco Cataluccio

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  • Un grande porto (voluto, agli inizi dell'Ottocento dal generale di origine spagnola José de Ribas/Osip Deribas) brulicante di navi e merci; una bella scalinata (costruita nel 1841 dall'architetto italiano Franz Boffo) talmente scenografica da sembrare fatta apposta per girarci un film come La corazzata Potëmkin, con la famosa e inquietante carrozzina che scende giù; le centinaia di maestose acacie, importate da Vienna nei primi dell'Ottocento, che ornano i grandi boulevard. Questi tre aspetti erano e, nonostante tutto sono, le caratteristiche più evidenti di Odessa. La "perla del Mar Nero" è, come la vicina Istanbul, un ponte verso l'Oriente. Appoggiata col suo porto su un mare che è chiuso come un grande lago, tranquillo ma che si agita improvvisamente facendo perdere facilmente la Trebisonda. Odessa ha alle spalle le immense distese di grano dell'Ucraina e oltre, più a est, le distese dell'Asia. Città di importanza capitale per i commerci, gli scambi, i passaggi delle genti. Odessa è letteratura pura, eleganza oggi decaduta, e quindi malinconicamente ancora più bella [...].[1]
  • Un paese di foreste e boschi immensi, verdi laghi e pianure a perdita d'occhio, lagune che sembrano mare, dune altissime e un mare grigio che si confonde col cielo. Ci ha pensato l'esuberante natura a garantire una continuità, quasi metafisica, con il passato. In Lituania sopravvive tra gli abitanti l'antico culto degli alberi e delle foreste, accanto a un forte culto dei morti. Un'immagine del cosmo incantata dal mistero delle fertilità, della vita che non ha parole, di una terra-madre che genera e accoglie un'immensa fratellanza umano-animale-vegetale. Le foreste come luogo di culto per eccellenza: sacre, ovvero intangibili, perché divinamente abitate in ogni anfratto. Nelle foreste abitava Medeina, dea di tutto ciò che cresce. La Lituania è stata l'ultimo stato europeo ad abbandonare (di malavoglia) il paganesimo per il cristianesimo (1387). L'ostinata sopravvivenza del paganesimo, fino ai nostri giorni, è una delle chiavi per comprendere la Lituania.[2]

Intervista di Barbara Bertoncin e Bettina Foa, gariwo.net, marzo 2022.

  • [...] i paesi dell'Est, anche alla luce della debolezza della dirigenza Gorbaciov, immaginavano (giustamente col senno del poi) che una volta che la Russia si fosse ripresa da quella che Putin ha definito "la più grossa catastrofe del Ventesimo secolo", cioè la fine dell'Unione sovietica, avrebbe tentato di riprendersi quei territori in nome di una tradizione imperiale alla quale non ha mai rinunciato.
  • [...] a partire dal 1924, l'Unione sovietica diventa una sorta di maschera dell'imperialismo russo. La Russia, cioè, approfitta di questa grande scenografia in cui molti hanno creduto, per la quale molti sono morti, per farne una perfetta copertura per la propria politica imperialista.
  • Il patto Molotov-Ribbentrop non aveva nulla a che fare con il comunismo, era un patto politico-diplomatico che serviva alla Russia. Proprio perché serviva alla Russia, tutti i partiti comunisti dovevano assoggettarvisi. Questa sorta di inganno, per cui la Russia è la portatrice e la garanzia del comunismo (e non invece una delle due grandi potenze che si sono spartite il mondo, come i comunisti greci e i combattenti nella guerra civile spagnola sapevano benissimo) finisce nel 1989. Ecco, all'indomani del crollo del Muro, questi paesi sanno che molto velocemente la Russia tornerà sui propri passi e farà di tutto per riprendersi il controllo su quelli che storicamente considera paesi a lei affiliati.
  • [...] la Russia si espande dove non c'è una presenza americana. Basti pensare alla Siria: quando l'America ha deciso di non intervenire, si è creato un vuoto immediatamente riempito dalla Russia, con il risultato che oggi la Siria è di fatto un suo protettorato.
  • Insomma, l'appartenenza alla Nato non è una cosa tutta rose e fiori. Detto questo, in una situazione di confronto che non è mai finito, perché poi negli anni Sessanta viene costruito il muro di Berlino, c'è il '68 in Cecoslovacchia; ecco, in una situazione del genere, appartenere alla Nato dà delle garanzie, come del resto riconobbe anche Enrico Berlinguer in una famosa intervista al "Corriere della Sera" che fece molto scalpore; io allora militavo nel Pci e ricordo che si rischiarono scissioni... Quella sua frase -io mi sento più sicuro sotto i missili della Nato che non nel Patto di Varsavia- che era una verità quasi banale, per le tante persone che continuavano a credere che il comunismo e l'Unione sovietica fossero la stessa cosa rappresentò un grande scandalo.
  • [...] la Russia sostiene che proprio la presenza di missili e basi costituisce un pericolo; al con- tempo le basi sono esattamente la garanzia per questi paesi che, una volta che si fosse eventualmente mangiata l'Ucraina, la Russia non si riprenda i paesi baltici, in particolare la Lettonia, dove la teoria romantica secondo la quale dove c'è uno che parla la mia lingua lì c'è il mio paese, che è una delle più grandi disgrazie dell'Europa, potrebbe scatenare nuovi disordini...
  • [...] se si diffonde questa idea che dove si parla una lingua lì io posso avanzare delle pretese, per cui visto che in Transilvania si parla ungherese, non mi importa che ora si chiami Romania; o, ancora, visto che in Alto-Adige si parla tedesco... Insomma, questo introduce un elemento di instabilità terribile. Oggi Putin, da buon ultimo, ripropone questo criterio, per cui dove si parla russo è Russia.
  • [Sulla lingua russa in Ucraina] "Per noi la fine dell'Unione sovietica non è stata indolore; nel giro di pochi anni se andavo alla posta e parlavo russo, l'impiegato faceva finta di non capire: 'Parli ucraino, questa è la lingua del nostro paese'". Molte delle signore ucraine con cui ho parlato denunciavano le difficoltà e le angherie subite. E tuttavia aggiungevano: tra stare in un paese democratico com'è l'Ucraina, con tutti i suoi problemi, la corruzione... e stare sotto la Russia, beh, cento volte meglio stare con l'Ucraina!
  • [Fëdor Dostoevskij] è un grande scrittore, profondo, però è portatore di una visione reazionaria della vita, con un aspetto misticheggiante, ma non solo. Il libro che Dostoevskij scrive di ritorno dal suo viaggio in Europa, intitolato Note invernali su impressioni estive, tradotto anche in italiano, è il manifesto dell'anti-occidentalismo. Lui ha fatto un viaggio in Europa, ha giocato nei principali casinò, ha perso tutti i soldi che aveva, la sua amante parigina non l'ha aspettato, è tornato in Russia arrabbiatissimo e ha scritto questa cosa qua, che è la descrizione di un mondo decadente, senza futuro. Sono temi che riprende lo stesso Solgenitsin, che negli ultimi anni scrive: "Noi siamo la spiritualità, voi siete la decadenza". Non è un caso che Putin, o chi gli scrive i discorsi, lo citi spessissimo. Tanto il fatto che sia stato nel Gulag lo si dimentica, non è importante; lui viene citato in quanto portatore di un'ideologia russa.
  • [...] l'Ucraina negli anni Trenta viene massacrata dall'Unione sovietica. Questo spiega perché quando nel 1941 arriveranno i tedeschi, loro sì, almeno inizialmente, verranno accolti con il pane e il sale; ci sono dei documentari che mostrano come i tedeschi venissero salutati come una sorta di liberatori, perfino dagli ebrei, che speravano fosse finito questo incubo; non immaginavano che per loro iniziava un incubo peggiore. Ci misero poco a capirlo. Questo passato drammatico spiega dunque perché in Ucraina ci siano stati fenomeni di collaborazionismo con il nazismo. [...] Detto tutto questo, identificare queste frange con il popolo ucraino è veramente una bestialità, soprattutto se a farlo siamo noi italiani che non è che non abbiamo collaborato, non è che non abbiamo fatto delle porcherie insieme ai tedeschi... ma, ad ogni modo, identificare un popolo intero con una frangia di criminali è un'operazione propagandistica inaccettabile.
  • La figura di Bandera, che viene sempre tirata in ballo, è quella di un personaggio estremamente controverso: inizialmente aveva combattuto i tedeschi, poi aveva capito come andavano le cose quindi aveva cominciato a combattere i russi... Un personaggio alla Jabotinski, che aveva studiato vicino ad Anzio con il fascismo, perché il fascismo trattava gli ebrei sionisti come alleati contro il nemico comune che era l'Inghilterra... ecco Bandera dopo la guerra continua questa lotta e viene poi ammazzato a Monaco di Baviera, tra l'altro dal controspionaggio russo. Resta il fatto che in Ucraina c'è stata una guerra civile che è durata fino al '56-'57, di cui noi non sappiamo nulla, perché la propaganda ha sempre detto che erano tutti fascisti (se combattevano contro l'Unione sovietica dovevano essere tutti fascisti, tutti antisemiti, ma non è così). Questo per dire che interpretare il fatto, come fa Putin, che in molte piazze dell'Ucraina, al posto di Lenin, si sia messa la statua di Bandera come un segno che quello sarebbe un paese nazista, è veramente antistorico.
  • [...] l'Ucraina nasce molto prima della Russia. Agli inizi dell'anno Mille, quando al Cremlino c'era un bosco e una capanna di legno, l'Ucraina era un posto dove si costruivano delle chiese meravigliose che i russi si guarderanno bene dall'abbattere. È lì che nasce poi la Russia, infatti si chiama la Russia di Kiev, la Rus' di Kiev. Quindi anche questo negare che esista una nazione Ucraina... l'Ucraina esiste da prima della Russia! La Russia esiste dal 1400, metà del 1300, prima c'era l'Ucraina.
  • Tutte le persone con cui ho parlato nel mio recente viaggio in Polonia dicono molto chiaramente che loro non intendono muoversi di lì perché vogliono essere pronte a rientrare in Ucraina. Trattano la Polonia come una sorta di bunker temporaneo, dove metti al riparo la famiglia, ma sei anche pronto a tornare a casa appena possibile. E alla mia domanda: "Ma se la tua casa non c'è più?", rispondono: "Non importa, la ricostruiremo". Insomma, gli ucraini vogliono tornare in Ucraina. Una famiglia di afghani che si presenta al confine bielorusso in fuga dalla guerra, dalle ingiustizie, dalla povertà ha come obiettivo di trovare un lavoro e vivere decentemente in Germania, in Svezia, in Italia... Gli ucraini non vogliono rimanere in Polonia e attualmente vengono anche trattati come dei "temporanei". Se però questo fenomeno temporaneo diventa, diciamo, endemico, beh, allora c'è di che preoccuparsi.
  • [...] il famoso ricatto atomico "Se mi fate arrabbiare pigio il bottone" non esiste, perché chiunque sa che se pigi il bottone due minuti dopo non ci sei più neanche tu. In Russia il bottone ce l'hanno tre persone: Putin, il ministro della difesa che è un generale, e il comandante in capo delle forze armate. Quindi due militari e Putin. Beh, su quei due militari io ci scommetterei la testa che quel bottone non lo pigerebbero mai.
  • Una delle cose più terribili che un giorno dovrà essere imputata a Putin è che gli ucraini, al di là di tutto, amavano i russi. Tra russi e ucraini ci sono tante cose in comune. I più grandi scrittori, Bulgakov, Babel, Gogol sono ucraini. Gli ucraini con cui ho parlato mi dicevano: "Io i russi non li odio, non capisco perché ci facciano questo...". Ecco, tra le tante conseguenze di questa guerra ci sarà che per centocinquant'anni un popolo di trenta-quaranta milioni di persone odierà i russi, mentre prima non li odiava.
  • L'altra sera Lilli Gruber riportava i dati di un'agenzia indipendente, tra virgolette, che diceva che il 70% dei russi sono a favore della guerra; Lucio Caracciolo confermava la serietà dell'istituto. Non so, è difficile immaginare cosa significhi per un russo ricevere una telefonata o essere fermato per strada da uno che ti chiede: "Scusi, ma lei cosa pensa di Putin?". Siamo così ingenui da pensare che qualcuno possa serenamente rispondere dicendo quello che pensa veramente? Ho molti dubbi... Un russo, la prima cosa che pensa di uno che gli telefona o gli fa una domanda per strada è che sia un agente provocatore. Parlare di sondaggi d'opinione in un regime totalitario, come di fatto è la Russia, è ridicolo.
  • Nel mio ultimo viaggio a Varsavia ho incontrato una giovane giornalista russa, appartenente sicuramente alla classe dell'élite, quindi una privilegiata; lei viveva a Mosca e fortunatamente è riuscita ad avere il permesso di andare a Varsavia dove ora fa la corrispondente. È una ragazza di 28 anni e mi raccontava: "Voi non potete nemmeno immaginare cosa significa ritrovarsi senza internet, costretti a ripristinare i telefoni fissi perché i cellulari non funzionano più, con i risparmi trasformati in carta straccia, con tutto il mondo che ti guarda male, con il tuo paese che viene tagliato fuori dal consesso globale... per noi giovani è la fine di tutto". Ecco, è come ritrovarsi prigionieri di un incubo in cui una macchina del tempo ti riporta indietro di ottant'anni. Queste cose peseranno.
  • Pietro il Grande desiderava che la Russia fosse Europa, tanto che arrivò a spostare la capitale da Mosca a San Pietroburgo; un'impresa utopistica che solo all'epoca dell'Illuminismo poteva essere immaginata; lui voleva stare vicino all'Europa. Ecco, oggi stiamo assistendo a un movimento in senso contrario: le città più importanti della Russia sono Novosibirsk, in mezzo alla Siberia, Vladivostok, in fondo alla Transiberiana... Alcuni studiosi russi con cui abbiamo fatto un colloquio in streaming, storici legati anche al dissenso, dicevano che questo è forse il processo più importante, al di là degli esiti della guerra. Cioè che comunque la Russia si sposterà dalla parte della Cina. Proprio uno spostamento geopolitico. Con una battuta è stato detto che la gente andrà a San Pietroburgo come oggi si va a Venezia. Andrai all'Hermitage come a vedere una bella città con i canali, però San Pietroburgo non conterà più niente, sarà solo una bella città da visitare; anche Mosca perderà sempre più la sua importanza; tutti i commerci d'affari, ma anche la cultura, tutto si sposterà… Il rischio è che il grande vincitore di questa partita sia la Cina. Che l'asse si sposti tutto verso Oriente, con la Cina, con l'India, e una Russia europea sempre più marginale, sul confine. Che poi dobbiamo sempre ricordare che la parola Ucraina significa "al confine". Il loro destino sta già nel nome. Questa è la marca che impatta come una sorta di muraglia cinese verso l'Occidente. La domanda è se questa marca sia essa stessa parte dell'Occidente, come vorrebbero gli ucraini, oppure se costituisca quel margine oltre al quale c'è l'Occidente, ma del quale non farebbe parte...

gariwo.net, 24 febbraio 2023.

  • Ricordo bene la mattina di giovedì 24 febbraio di un anno fa. Ero a Roma per lavoro. Fui svegliato all'alba dalla telefonata concitata di un'amica giornalista di Varsavia che continuava a ripetermi "i russi sono entrati". Ci eravamo sentiti alcuni giorni prima: lei era certa che i russi avrebbero attaccato con un esercito regolare l'Ucraina, io le avevo baldanzosamente detto che non sarebbe successo, perché non era logico, e che esagerava.
  • Ero stato tante volte in Ucraina, sopratutto quando stavo scrivendo il libro su Chernobyl o per gli incontri sullo scrittore Bruno Schulz nel suo paesino natale con le botteghe color cannella, circondato dai campi di girasoli enormi. Mi ha sempre incantato il verde di quelle immense pianure, a perdita d'occhio fino a toccare il cielo all'orizzonte, e il biancore candido della chiese dalle cupole dorate. Un luogo dove la Storia ha quasi sempre picchiato molto duramente, senza confini certi e sicuri che si chiama appunto "Sul confine". Una precarietà e incertezza secolari, bagnate dal sangue, dai massacri, dalla fame. Periodicamente, per quei popoli, e in particolare per gli ebrei (che costituivano la più grande comunità della diaspora), l'Ucraina e i paesi limitrofi hanno subito qualcosa di simile a un diluvio che sommerge, senza scampo, tutto.
  • [...] mentre in Ucraina passavano giorni sempre più tragici ma la resistenza di quel popolo fermava e poi respingeva in parte l'"operazione speciale", è iniziato un orrendo carosello mediatico. Come era già successo durante il Covid, quando chiunque, senza nemmeno un briciolo di competenza o buon senso, si metteva in mostra e diceva la sua, il "dibattito sulla guerra" si è fatto acceso. Quello che anche in questa occasione interessava (e interessa), soprattutto alle televisioni, non è spiegare ma la rissa come intrattenimento (a prescindere dai contenuti). Ci è toccato vedere personaggi improbabili messi in piazza in nome della "pluralità delle idee". Come quello dall'aria indifesa che confessava candidamente di non conoscere la Russia, il russo, né tantomeno l'Ucraina, ma pretendeva di essere uno dei più lucidi e freddi osservatori della politica internazionale. Consigliava caldamente agli ucraini di arrendersi per il bene di noi tutti, tanto non avrebbero mai potuto vincere contro una gigantesca potenza, dotata di armi atomiche. Così è quasi riuscito a farsi contrattualizzare dalla televisione pubblica come "esperto" e ideale deuteragonista nei dibattiti serali. Oppure la filosofa, anche lei totalmente ignara della storia russa e ucraina, che si raccomandava sospirando di non infastidire troppo i russi, di rispettare il loro presidente e tenere conto del punto di vista degli invasori.
  • Tra la gente c'è chi si è bevuto, più o meno consapevolmente, la propaganda russa e la teoria che l'intervento fosse dovuto alla necessità di difendere i russofoni (che, tra l'altro, si sono dimostrati in maggioranza poco filorussi, preferendo una democrazia a una dittatura!) e per "denazificare" un paese schieratosi sulle posizioni più nazionaliste, come quelle del "famigerato" Stepan Andrijovič Bandera (ucciso dai servizi segreti sovietici, il 15 ottobre 1959, a Monaco di Baviera). Qualcuno, anche tra i giornalisti più seri, per semplificare, ha sostenuto che tutti gli ucraini sono antisemiti (a cominciare dal presidente, ebreo e russofono, Volodymyr Oleksandrovyč Zelens'kyj), e quindi non meritano solidarietà. Se avessero letto almeno qualche pagina dei romanzi di Vasilij Grossman avrebbero compreso di che pasta sia l'antisemitismo russo. [...] Anche in questa occasione una parte della Sinistra ha mostrato di non essersi ancora liberata da un profondo sentimento antistatunitense e quindi ostile alla NATO. Si avverte ancora un legame con la Russia (meglio quando era Unione Sovietica) che non ha mai fatto i conti criticamente con la storia e gli orrori del comunismo. Da una parte si è considerata la lotta difensiva degli ucraini come una "guerra americana per procura" (un ex conduttore televisivo, che si vanta di esser stato su un ponte di Belgrado mentre la città veniva bombardata per fermare i massacri di Milosevic, la chiama "la guerra di Biden"). Putin non avrebbe colpe, se non quella di esser stato attirato in una trappola per espandere il dominio dell'Occidente. C'è chi pensa che il PD abbia preso una deriva filoamericana, come anche il suo giornale di riferimento, che infatti è stato abbandonato da diversi suoi lettori insofferenti verso le eccessive critiche a Putin e il troppo spazio dato agli intellettuali russi dissidenti. Consapevoli di questo "disagio" i Cinquestelle, nel tentativo di portarsi a casa una parte dell'elettorato di sinistra, hanno adeguato la loro politica prendendo posizione contro l'invio di armi agli ucraini e per "una politica che favorisca la pace". [...] Fanno tornare alla memoria gli anni cinquanta quando questo nobile concetto venne sporcato da movimenti filosovietici che intendevano la pace solo in funzione antistatunitense.
  • I pacifisti hanno soprattutto paura che i russi usino la bomba atomica (evento assai improbabile) e quindi sostengono di fatto che gli ucraini dovrebbero smetterla di difendersi, cedere parti consistenti del proprio territorio e far finta che i russi non mirino, prima o poi, a riprendersi tutta l'Ucraina compiendo orribili massacri di civili e distruzioni a tappeto di città e paesi. Perché torni la Pace bisogna, secondo loro, che gli ucraini non ricevano più armi anche se questo li esporrebbe alla devastazioni degli eserciti mercenari russi e ceceni. I governi occidentali dovrebbero chiudere i rubinetti degli aiuti agli ucraini costringendoli a piegarsi a Putin e alle sue richieste. Ma non si ha il coraggio di ammettere che questa pace sarebbe, come già diceva Tacito, il deserto che ne seguirebbe.

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