Giuseppe Ferrari

storico, filosofo e politico italiano (1811-1876)
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Giuseppe Ferrari (1811 – 1876), filosofo e politico italiano.

Giuseppe Ferrari

Citazioni di Giuseppe Ferrari

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  • [Sui Fatti di Pontelandolfo e Casalduni] Io ho dovuto intraprendere un viaggio per verificare il fatto cogli occhi miei. Ma io non potrò mai esprimere i sentimenti che mi agitarono in presenza di quella città incendiata. Mi avanzo con pochi amici, e non vedo alcuno; pochi paesani ci guardano incerti; sopravviene il sindaco; sorprendiamo qualche abitante incatenato alla sua casa rovinata dall'amore della terra, e ci inoltriamo in mezzo a vie abbandonate. A destra, a sinistra le mura erano vuote e annerite, si era dato il fuoco ai mobili ammucchiati nelle stanze terrene e la fiamma aveva divorato il tetto; dalle finestre vedevasi il cielo. Qua e là incontravasi un mucchio di sassi crollati; poi mi fu vietato il progredire; gli edifizi puntellati minacciavano di cadere ad ogni istante. Ricevetti l'ospitalità in una delle tre case risparmiate per ordine superiore; ma in faccia sorgeva la casa o quasi il palazzo Gogliotti incendiato, rovinato. Tutto un museo di abiti e di medaglie antico era scomparso nelle fiamme, tutte le gioie erano perdute nelle macerie. Chi può dire i dolori di quella città! E quando volli vedere più addentro lo spettacolo celato delle afflizioni domestiche, mi trassero dinanzi il signor Rinaldi, e fui atterrito. Pallido era, alto e distinto della persona, nobile il volto; ma gli occhi semispenti lo rivelavano colpito da calamità superiore ad ogni umana consolazione. Appena osai mormorare che non cosi s'intendeva da noi la libertà italiana. Nulla io chiedo, disse egli, e noi ammutimmo tutti. Aveva due figli, l'uno avvocato, l'altro negoziante, ed entrambi avevano vagheggiato da lontano la libertà del Piemonte, ed all'udire che approssimavansi i Piemontesi, che così chiamasi nel paese la truppa italiana, correvano ad incontrarli. Mentre la truppa procede militarmente, i saccomanni la seguono, la straripano, l'oltrepassano, e i due Rinaldi sono presi, forzati a riscattarsi, poi, dopo tolto il danaro, condannati ad istantanea fucilazione. L'uno di essi cade morto; l'altro viveva ancora con nove palle nel corpo; e un capitano gittavasi a ginocchio dinanzi ai fucilatori per implorare pietà; ma il Dio della guerra non ascoltava parole umane e l'infelice periva sotto il decimo colpo tirato alla baionetta. Rinaldi possedeva due case, e l'una di esse spariva tra le fiamme, e appena gli ufficiali potevano spegnere l'incendio che divorava l'altra casa. Rinaldi possedeva altre ricchezze, e gli erano rapite; aveva altro... e qui devo tacermi, come tacevano dinanzi a lui tutti i suoi conterranei.
    Quante scene d'orrore! Qui due vecchie periscono nell'incendio; là alcuni sono fucilati, giustamente, se volete, ma sono fucilati; gli orecchini sono strappati alle donne; i saccomanni frugano ogni angolo; il generale, l'uffiziale non possono essere dappertutto: si è in mezzo alle fiamme, si sente la voce terribile: piastre! piastre![1], e da lontano si vede l'incendio di Casalduni, come se l'orizzonte dell'esterminazione non dovesse avere limite alcuno.
    Mai non dimenticherò il 14 agosto, mi diceva un garibaldino di Pontelandolfo.[2]
  • Per riassumermi, mi limiterò a trasmettervi l'impressione che reco da Napoli, da me prima non vagheggiata se non ne' sogni o ammirata se non ne' libri suoi. Ho visto una città colossale, ricca, potente: innumerevoli sono i suoi palazzi, costrutti con titanica negligenza sulle colline, sulle alture, nei vichi, nelle piazze, quasi che indifferente fosse la scelta del luogo in una terra da per tutto incantevole. Ho visto strade meglio selciate che a Parigi, monumenti più splendidi che nelle prime capitali d'Europa, abitanti fratellevoli, intelligenti, rapidi nel concepire, nel rispondere, nel sociare, nel agire. Napoli è la più grande capitale italiana, e quando domina i fuochi del Vesuvio e le ruine di Pompei sembra l'eterna regina della natura e delle nazioni.[3]
  • Io, lo confesso, aveva vagheggiato un'altra Italia, nella quale il diritto di grazia cedesse il posto ad un nuovo diritto, per cui le nostre insurrezioni avessero un altro senso, e potessero raggiungere la meta in modo più diretto e più immediato. Io sperava che il voto universale potesse esprimere il voto della nazione redenta dal giogo dell'autorità; io sperava che le nostre discussioni, sciolte dai vincoli d'una religione dominante, potessero svolgersi chiedendo le conseguenze dei principii proclamati nel 1789, e che le attuali nostre agitazioni, ancora incerte e ondeggianti tra il mondo antico e il moderno, fossero i preludi d'una èra novella reclamata dalla scienza e non più soggetta né al rogo di Bruno, né ai tormenti di Galileo.[4]
  • I reazionarii delle due Sicilie si battono sotto un vessillo Nazionale, voi potete chiamarli Briganti, ma i padri e gli Avoli di questi hanno per ben due volte ristabiliti i Borboni sul Trono di Napoli, ed ogni qual volta la Dinastia legittima è stata colla violenza cacciata, il Napoletano ha dato tanti briganti, da stancare l'usurpatore e farlo convincere che, nel Regno delle Due Sicilie, l'unico Sovrano che possa governare, dev'essere della Dinastia BORBONICA, perché in questa Famiglia Reale soltanto si ha fede, e non in altri. Dicano quel che vogliano i nemici dei Borboni, ma la mia convinzione è questa, ed è basata sull'esperienza del passato e sui fatti che attualmente si compiono.[5]
  • Non potete negare che intere famiglie vengono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono, in quelle province, degli uomini assolti dai giudici e che sono ancora in carcere. Si è introdotta una nuova legge in base alla quale ogni uomo preso con le armi in pugno viene fucilato. Questa si chiama guerra barbarica, guerra senza quartiere. Se la vostra coscienza non vi dice che state sguazzando nel sangue, non so più come esprimermi.[6]

Incipit di alcune opere

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Filosofia della Rivoluzione

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Lo stesso procedimento che ci promette la certezza ci conduce al dubbio.
Noi c'inganniamo ad ogni istante: l'errore è sempre immanente al nostro pensiero; siam condannati a diffidare delle nostre idee, dei nostri sensi, della nostra mente siamo costretti a verificare ogni nostro giudizio. Si verificano i nostri giudizi sottomettendoli all'impero della logica. La logica ci promette la certezza con le tre forme dell'identità, dell'equazione e del sillogismo. L'identità ci assicura che una cosa è quella che è; dubitare dell'identità è negare ciò che si afferma, è un affermare ciò che si nega, è rendere impossibile perfino il discorso. L'equazione spiega una cosa per mezzo di un'altra che le è uguale: anche qui se X è uguale a B, X è conosciuta e non è se non che B sotto un'altra forma: contestarlo sarebbe contestare B che viene affermato.

La mente di Pietro Giannone

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Signori.

La dignità dei popoli è varia e comprovata dai titoli diversi coi quali conquistano il loro posto nel campo della storia. Gli uni si fondano sulle armi e vivono combattendo, gli altri propugnano la libertà e vincono i regni colle republiche. Hannovi terre, come l'India e l'Arabia, fertili di profeti e di redentori, altre terre nutrono nazioni positive dedite all'industria ed al commercio, e se volessimo figurarci tutti gli stati riuniti in una grande assemblea del genere umano noi vedremmo le forze della loro sovranità tratte dalle fonti più opposte in quel modo stesso che a Vestfaglia nel 1649 o a Vienna nel 1815 ogni stato sanzionava il suo diritto a nome della chiesa o della riforma, della rivoluzione o della reazione.

Storia delle Rivoluzioni d'Italia

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Dov'è adunque l'Italia? In che consiste? Qual legame unisce le repubbliche, i signori, i papi, gli imperatori, le invasioni? Qual rapporto tra gli uomini e le moltitudini, tra le sette e le guerre, tra le guerre e le rivoluzioni? L'erudizione non giova ad illuminarci: lungi dal guidarci essa attesta il caos, conta le invasioni, le guerre, le rivoluzioni, le catastrofi, i personaggi dualizzati, gli eroi contraddittori. i fenomeni strani, i problemi da sciogliersi.

Teoria dei periodi politici

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Finché la nostra previsione abbraccia il corso abituale delle cose si procede con sicurezza; il mercante può contare sulla catena delle offerte e delle domande, il banchiere sul giuoco del credito, il soldato, il marinaio, l'impiegato non sono delusi nelle loro aspettative, e l'indomani accorda sempre un premio ad ogni lavoro. Istessamente finché si considera la società sotto l'aspetto tecnico se ne indovina facilmente l'avvenire, e il legislatore diminuirà il numero dei delitti, l'economista spargerà il ben essere, il finanziere conoscerà l'anno prossimo, le sue entrate, le sue uscite, i chilometri delle ferrovie da tracciarsi, il numero dei vapori da lanciare, delle fabbriche da fondare: si valuta il tempo necessario per creare un esercito, per fortificare una città, per distruggerla; si trasportano le capitali a giusto prezzo; si conta, si misura tutto, perfino l'aria e lo spazio accordati alla stampa.
Ma quando si tratta degli avvenimenti più decisivi, che s'inoltrano colla forza dei secoli, rivoluzioni o reazioni, i calcoli preventivi mancano e la società si lascia sorprendere da Napoleone come da Robespierre, da Lutero quanto da Wallenstein; non ha accademie, non scuole per le grandi cause della libertà e della religione, non vuole averne, si fa un dovere dell'imprevidenza e chiede solo fede, azione, decisione, al bisogno il martirio. Machiavelli non vede più lontano di Platone, gli scrittori di apocalissi si guardano dal contare le settimane di Daniele e le profezie politiche ondeggiano tra l'ora ed il secolo.

Citazioni su Giuseppe Ferrari

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  • Ferrari, incompreso e incomprensibile alla Camera, raro e interrotto sulla cattedra, non pensa ch'egli solo o per primo almeno potrebbe fondare «la scuola critica italiana» che non ha da noi né sistema, né maestri, né cultori, né cattedre, né giornali, il che torna a dire che il pensiero soccombe o tiraneggia senza esame, senza discussione, senza tace. (Giuseppe Guerzoni)
  • Ferrari rimproverò tanto a Gioberti, quanto a Mazzini il concetto di «missione italiana», concetto da lui giudicato privo di realtà storica nel mondo contemporaneo e dannoso in quanto tendeva a isolare l'Italia dalle correnti più vive della cultura e della politica le quali avevano il loro centro in Francia. L'Italia poteva sfuggire alla sua arretratezza solo inserendosi nel movimento rivoluzionario europeo e abbandonando il vagheggiamento di «missioni» irrealizzabili. (Massimo Luigi Salvadori)
  • I due santoni del federalismo, Cattaneo e Ferrari. (Indro Montanelli e Marco Nozza)
  • In Giuseppe Ferrari (1811-76) riviveva, con l'eredità del Romagnosi, lo spirito più ardente del secolo XVIII, l'ansia di liberazione che aveva animato, non solo i dottrinari, ma gli uomini d'azione dell'89. Anche il Ferrari combatteva la lotta per il rinnovamento d'Italia, ma, col Cattaneo, egli metteva al di sopra dell'indipendenza il problema della giustizia nella libertà, il problema di una riforma sociale e politica che impiantasse il nuovo Stato su una coscienza operosa dello Stato stesso. (Eugenio Garin)
  • L'uomo che si oppose a Mazzini nel modo più netto dal punto di vista programmatico e che fece nel 1851 il più notevole tentativo per organizzare un partito repubblicano-federalista e democratico-sociale fu Giuseppe Ferrari. (Giorgio Candeloro)
  1. Soldi! soldi!
  2. Dal discorso pronunciato alla Camera dei deputati nella tornata del 2 dicembre 1861. In Atti del Parlamento italiano: sessione del 1861: 2° periodo – dal 20 novembre 1861 al 12 aprile 1862 – VIII Legislatura, Eredi Botta, Tipografi della Camera dei Deputati, Torino, 18622, p. 84.
  3. Dalla tornata dell'8 ottobre 1860 della Camera dei Deputati; consultabile nel resoconto stenografico, p. 936
  4. In Atti del Parlmanento italiano (1861), Atti del parlamento italiano (1861)/8.
  5. Citato in Teodoro Salzillo, Roma e le menzogne parlamentari, Malta, 1863, p. 34.
  6. Citato in Patrick Keyes O'Clery, La rivoluzione italiana. Come fu fatta l'Unità della nazione, Ares, Milano, 2000. p. 528. ISBN 88-8155-194-2

Bibliografia

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