Federigo Verdinois
Federigo Verdinois (1844 – 1927), giornalista, scrittore e traduttore italiano.
Citazioni di Federigo Verdinois
modifica- Il Morelli è gentile di modi come di animo, nonostante la ruvida scorza e la brusca apparenza. Parla con una certa nervosità quasi dispettosa, con una concentrazione assidua del pensiero, muovendo la mano destra come se questo pensiero gli stesse davanti e ch'ei lo martellasse e lo tenesse fermo a quel posto. Ha nella voce quelle note profonde, qualche volta sorde che sono proprie di tutti quelli che pensano molto e che sono avvezzi a ragionare fra se. Lotta col pensiero ribelle, lo piega, lo rivolge, lo spezza a sua posta, lo vuole schiavo. Quando non lo soccorre pronta la parola italiana, si serve senza scrupolo del dialetto; e così il suo linguaggio è caldo, colorito, efficace, con quei guizzi di luce e con quelle ombre paurose, che hanno anche i suoi dipinti. Anche parlando dipinge.[1]
- Non si direbbe, ma è un fatto che il Morelli è stato tintore di seggiole, prete, soldato, meccanico, e facchino. Finalmente è venuto fuori l'artista. Fanciullo, orfano del padre, la madre lo tirava su per gli ordini sacri; ma né il fanciullo voleva, né i danari bastavano. Allora disse la madre, dissero i parenti: – Diamogli un mestiere lucrativo. – [...].
Aveva dentro di sé tutto un mondo di linee, di colori, di forme. Troppa roba per metterla in ordine sotto la guida di un maestro. Un giorno disse: – Voglio esser pittore. – E il fatto è che questo voglio l'ha detto sempre. Quel che è ora, ha voluto essere: ha lottato, ha vinto, ha la coscienza di questa vittoria. Gli si legge la volontà sicura e ostinata nelle ciglia aggrottate e in quel solco profondo che le divide.[2]
- Se la fotografia avesse potuto far commercio dell'ignoranza napoletana, da un pezzo l'ignoranza nostra farebbe artistica mostra di sé nelle vetrine dei cartolai e girerebbe mezzo mondo in compagnia del lazzarone, del ladruncolo di fazzoletti e dei mangiatori di maccheroni.
Più tempo passa, meno codesta fotografia è possibile. L'ignoranza perde, giorno per giorno, contorni e colore e si va sciogliendo anch'essa in nebbia di leggenda.
Citazioni
modifica- Napoli ha otto Biblioteche con circa due milioni di volumi; i quali volumi, pare impossibile, son letti, poiché coteste Biblioteche danno un movimento quotidiano di 3000 lettori: un milione di lettori all'anno. (p. 157)
- L'Università, quella fondata da Federigo II, ha iscritto per l'anno 1900-1 non meno di 6000 studenti, i quali, benché spesso facciano dimostrazioni, son più diligenti dei loro professori. D'altra parte, le dimostrazioni, più o meno politiche, dimostrano soprattutto che gli studenti son giovani e non impediscono che appunto dalla nostra Università siano usciti i più chiari ingegni del nostro mondo scientifico e letterario: Vito Fornari, Cardarelli, Capasso, Pessina, Zumbini, D'Ovidio, De Renzi, Bianchi, Lebano, Arcoleo, Gianturco, Gallozzi, Miraglia, Palmieri, ecc.
Si è anzi trovato che l'Università è insufficiente agli studi, epperò una Università nuova sorgerà al centro del Corso Re d'Italia. fu già messa la prima pietra e pronunciato in quell'occasione più d'un discorso. Per ora i discorsi se li è portati il vento e sul posto non si vedono che molte pietre; ma con un po' di pazienza e di proposito, la si vedrà sorgere, a dispetto dei piagnoni, l'Università nuova, ed accogliere gran numero di studenti, i quali, come quelli di oggi, siano rigogliosi di gioventù, dicano più o meno tumultuariamente il loro modo di vedere sulle questioni politiche e scolastiche e seguitino a fare onore al buon nome napoletano. (pp. 157-158.) - Nello stesso anno 1899, sopra 3504 matrimoni celebrati, solo 623 atti non furono sottoscritti: il che vuol dire che l'analfabetismo coniugale è in una proporzione decrescente; né si starà molto a vederlo affatto sparire.
Il fenomeno è notevolissimo, chi consideri che fra tutte le città italiane Napoli è la più folta di plebe. Via via, dal '60 in qua, cotesta plebe s'è andata sollevando a dignità di popolo, vincendo pregiudizi, abitudini, miseria, ostacoli d'ogni sorta: il che non è poco merito. Il classico paese del dolce far niente ha dunque fatto qualche cosa più che starsene al sole. I piccoli popolani della generazione che vien su san leggere quasi tutti, e non solo le insegne delle botteghe ma i giornali; sanno scrivere, e non solo il proprio nome; spesso sanno disegnare e non senza gusto. A ciò han contribuito in varia misura l'istruzione obbligatoria, i Ricreatori festivi, i teatri popolari, le officine, l'esercito, la partecipazione alla vita politica e amministrativa, la stampa, e soprattutto un sentimento sempre più dirozzato di individualità e di esistenza intellettuale e morale. (p. 159) - Uno dei pregiudizi più stolti è che il nostro così detto gran mondo viva soltanto di futilità e non sia informato di niente. È vero che [Napoli non ha l'Hôtel Rambouillet, ma non l'ha oggi nemmeno Parigi, la ville lumière. a Napoli, invece, un'accademia di dotti come la Pontaniana, si onora di contar fra' suoi membri effettivi due duchesse, la Ravaschieri e la Carafa D'Andria, che tengono il loro stallo accanto a Matilde Serao. Il duca Gualtieri ha scritto della costituzione inglese; il principe Pignatelli-Strongoli ha volgarizzato l'Eneide; il duca Caianiello è professore di Università; il principe Filangieri ha fondato il Museo artistico industriale; e non serve dire di altri. Sono ritrovo di artisti e di scienziati i saloni della duchessa D'Andria, della principessa di Tricase. Con ciò non si nega che vi siano dei nobili ignoranti, allo stesso modo che ve ne sono di borghesi e popolani; ma, su per giù, la cosa si riscontra dapertutto e in proporzioni non diverse. (pp. 161- 162)
- Pronti a riconoscere ed ammirare i meriti dei nostri fratelli di oltre Tronto, e anche a rallegrarcene, noi siamo parchi di lode pel valore indigeno e modesto. Epperò, siamo i primi a stupire, e in perfetta buona fede, quando ci accade di udir decantare all'estero un ingegno di casa nostra. Ed è così, lo si può affermare senza esagerazione, che ci si è accorti, dopo le consacrazioni francesi, tedesche, russe, perfino americane, che Napoli ha dato al romanzo Matilde Serao, alla lirica Gabriele d'Annunzio, agli studi sociali e giuridici Raffaele Garofalo, al nostro teatro Achille Torelli, Roberto Bracco, Salvatore di Giacomo, alla poesia popolare lo stesso di Giacomo e Ferdinando Russo, al giornalismo Peppino Turco, e alla storia, all'archeologia, alla linguistica, alle scienze esatte, agli studi politici tutta una falange di cultori insigni, la cui azione civilizzatrice è più efficace che non si creda e il cui valore tanto meno si può disconoscere quanto più volentieri lasciamo agli stranieri la cura di esaltarlo. (p. 162)
Profili letterari e ricordi giornalistici
modifica- [Francesco De Sanctis] Incomincia con singolare acume e pazienza a ricostruire l'uomo e lo scrittore; ne cerca i particolari della vita; ne sfoglia pagina per pagina tutti gli scritti; fruga nelle più riposte pieghe dell'anima del morto, lo fa muovere e parlare, gli spira un secondo soffio di vita. Qualche volta questo soffio è micidiale e riammazza un cadavere dopo averlo galvanizzato e risuscitato; qualche volta compie il miracolo della vera resurrezione. Leopardi è un esempio del primo caso. Petrarca del secondo. (da Profili letterari, Francesco De Sanctis, p. 32)
- [Francesco De Sanctis] Egli ha portato lo studio del contenuto, cercando determinare la personalità dei soggetti criticati; si è fermato più sull'idea che sulla forma, e più che sull'una e sull'altra, ha cercato di cogliere il punto preciso nel quale esse incontransi e si saldano insieme. Ha levato la critica a dignità di scienza e quel che è più, quel che di lui è caratteristico, ha fatto vedere che anche il critico deve avere un'anima e può e deve essere artista. (da Profili letterari, Francesco De Sanctis, pp. 33-34)
- Non conosce riguardi, e se c'è in Italia uomo indipendente, questi è il Bonghi, — meno, s'intende, l'attaccamento al partito, il quale attaccamento, se qualche volta è dipendenza, è pur sempre amore, cioè una servilità nobile e volenterosa, che tempra il carattere, purifica l'animo ed accentra in un oggetto solo tutte le idee e tutti gli affetti. Degli uomini che amano a questo modo si suol dire, e si dice bene, che sono tutti di un pezzo. Tale è il Bonghi; non si piega, non concede, non indietreggia. Di questa sua interezza ed indipendenza si direbbe quasi ch'egli si ubbriachi: chiama le cose col nome loro, epperò sembra acre, scortese, violento, quando non è che veritiero. (da Profili letterari, Ruggero Bonghi, pp. 42-43)
- [Vittorio Imbriani] Di alcuni scrittori si leggono tutti gli scritti e non si riesce poi a riconoscerne uno che non porti sotto tanto di firma in tutte lettere. Non hanno fisionomia, rassomigliano al primo venuto. Di altri basta una lettera, un biglietto scritto in fretta, per indovinare di colpo la mano che l'ha vergato. (da Profili letterari, Vittorio Imbriani, p. 55)
- [Vittorio Imbriani] È erudito come una biblioteca di libri rari; ed ha dell'erudito tutta la pazienza fratesca, la passione rabbiosa, la memoria ferrea, la meticolosità fastidiosa, la boria. Ma ha questo di più, che gli eruditi generalmente non hanno, una fantasia fervida, un finissimo gusto artistico, una impetuosità di cuore da poeta....non elzeviriano. (da Profili letterari, Vittorio Imbriani, p. 58)
- [Luigi Tosti] Ritiratosi fanciullo su quella vetta[3], la solitudine, l'aspra natura, gli studi severi, la monotonia della vita claustrale non lo staccarono dalla società degli uomini. Nobile di sangue, fu anche nobile di mente e di affetto. Frate, non volle assorgere con l'anima ad un arido cielo senza affetti e senza poesia; castellano, discese a vivere coi suoi vassalli e li guardò con occhio d'amico e di fratello. (da Profili letterari, Luigi Tosti, pp. 70-71)
- [Luigi Tosti] Le sue visioni sono calde, colorite, febbrili, piene di un movimento così fuori del rettorico e del convenzionale, che vi rapiscono in un mondo sconosciuto e fantastico, che vi scoprono sconfinati orizzonti. Ci è lo spirito moderno, che si stringe in un caldo amplesso allo spirito biblico; Jehova terribile che sorride amorevolmente fra le minaccie. (da Profili letterari, Luigi Tosti, pp. 73-74)
- Il [Bovio] o che parli, o che rida, o che si lamenti, o che solo si muova, è cavernoso. Lo si direbbe una sibilla nell'antro o uno di quei barbuti profeti dell'antichità che si divertivano a preconizzare ogni sorta di disgrazia e di finimondo sul capo sciagurato del prossimo loro. Per questo ho detto che è nato troppo tardi. Porta il soprabito, ma è un anacronismo. Un pizzo lungo, folto, nero, ch'egli accarezza volentieri, pare che lo tiri in giù a pescare i suoi pensieri profondi nel centro della terra. (da Profili letterari, Giovanni Bovio, p. 78)
- [Su Antonio Ranieri] [...] Un altro mondo, assai più vasto e popolato, si chiude ora fra quelle mute pareti: un mondo di affetti e di memorie: affetti profondi e vivi com'erano testè, quando le persone a lui più care vivevano, recenti memorie acerbe e dolorosissime. Tutto questo mondo non è riempito che da due nomi: un poeta[4] e una donna[5]. Basterebbe un solo di questi due esseri a riempire l'universo. (da Profili letterari, Antonio Ranieri, p. 106)
- [Sull'ascesa e sull'improvviso declino della fama di Achille Torelli] [...] Accade così, questo è il guaio. Quando vi avranno levato su, e tenuto su per un pezzo, si stancheranno: voi pesate troppo. Poi si accorgeranno di un'altra cosa: a quell'altezza voi togliete che altri si scaldi al sole delle lodi e dell'amor proprio. Toglietevi di là in tutta fretta, tornate piccolo, nascondetevi, o quest'altro San Cristoforo del pubblico vi getterà in acqua. (da Profili letterari, Achille Torelli, pp. 165-166)
- [Su Matilde Serao][...] C'è, per esempio, il Cuore infermo, una specie di romanzo, che è naturalmente tutto cuore da un capo all'altro, benché ci sia dentro dell'analisi minuta e fastidiosa. Credete forse che il cuore non analizzi? ci sono tante delle sue novelle, che il sentimento solo ha saputo inspirare, e lo si sente serpeggiare tra frase e frase, tra una riga e l'altra. (Da Profili letterari, Matilde Serao, pp. 180-181)
- [Francesco Mastriani] Ebbene, se la Francia ha uno Zola, Napoli ha un Mastriani. Poco è mancato che questo non si credesse; certo è che si è scritto, cioè lo ha scritto lui, ed un giornale ha stampato le sue parole in nota di un suo romanzo. «Che è mai cotesto rumore che si leva intorno al realismo? il realismo l'ho inventato io. Che è cotesta Nanà, che tutto il mondo n'ha da discorrere come dell'ottava maraviglia? Io ho scritto I vermi. C'è niente di più realista dei vermi? Io vi domando in coscienza se si può scendere più in basso. Di più, voi, realisti da strapazzo, sguazzate nel sudiciume; ed io, come vedete, vi servo in tavola l'anima stessa del medesimo in tante pagine strappate dall'albero della mia fantasia ancora verdi e sanguinanti». In questa sentenza, come dicevano un tempo gli storici facendo concionare i loro capitani, ha parlato il Mastriani. E la frase colorita di verde e di rosso, se non è proprio sua, avrebbe potuto essere, e scommetto ch'ei se l'appropria e vi aggiunge di suo qualche altro colore. (da Profili letterari, Francesco Mastriani, pp. 191-192)
- [Per una singolare coincidenza, F. Verdinois trova nel salotto di Sofia Novikov una copia del Quo Vadis di cui lo scacchista Ivan Ivanovic Scerscenowski gli aveva parlato con entusiasmo la sera del giorno precedente] [...] Volevate avere il libro? Prendetelo. Me ne direte poi qualche cosa. Dev'essere un libro noioso.... Un titolo latino, figurarsi!
Presi il libro, tornai a casa, lo lessi in una notte, lo divorai, fui invaso da una smania che altri provasse il mio diletto, la commozione, l'entusiasmo. Si sa che le emozioni si raddoppiano, quando son divise. Non accade lo stesso col danaro, pur troppo. (da Ricordi giornalistici, Perché tradussi il «Quo Vadis?», pp. 247-248) - [Gabriele D'Annunzio conosciuto in un locale di Posillipo][6] [...] Ho però ancora l'impressione delle parole che gli uscivano di bocca, fluide, vive, armonizzate come una musica. Che fuoco d'ingegno, che originalità di pensieri, che sapore d'italianità! Un vero e proprio Crisostomo: lo si ascoltava con rapimento e si aveva paura d'interromperlo. (da Ricordi giornalistici, D'Annunzio sotto un divano, p. 277)
— E l'inferma guarirà? — domandai tutto trepidante al dottore.
— Guarirà di certo, se Dio vuole — rispose questi che già s'era levato da sedere e avea preso il cappello per andar via.
— Gli è che, vedete, tutta notte mi ha tenuto in pensiero con quella sua tosse ostinata. Ora però sta meglio. Non è vero che ti senti meglio, Emma?
— Oh sì! — rispose ella con la sua vocina sottile nella quale entrava una nota di fiduciosa allegria. — Non senti? da che il dottore è qui non ho tossito una volta sola.
— Brava! e non tossirete altro, ve lo garantisco — riprese a dire il dottore, seguendo sempre quel suo mirabile sistema curativo di non sentenziare in latino, di scrivere brevi ricette e di dare agli infermi suoi una perfetta sicurezza di guarigione — Il petto non è mica impegnato. Niente di grave. Con un po' di cautela, vi do parola che fra cinque giorni sarete fuori di letto.
— Oh grazie, dottore! — esclamammo ad una voce Emma ed io.
Note
modifica- ↑ Da Domenico Morelli, in Antologia ricreativa della prosa e della poesia italiane, Tipografia di Raff. Giusti, Livorno, 18952, parte seconda, p. 167.
- ↑ Da Domenico Morelli, in Antologia ricreativa della prosa e della poesia italiane, Tipografia di Raff. Giusti, Livorno, 18952, parte seconda, pp. 162-163.
- ↑ L'abbazia di Montecassino
- ↑ Giacomo Leopardi, legato ad Antonio Ranieri da amicizia fraterna.
- ↑ Paolina, sorella di Antonio Ranieri.
- ↑ La terrazza de 'Il figlio di Pietro'
Bibliografia
modifica- Federigo Verdinois, La cultura a Napoli, in Napoli ieri, pp. 157-162, Edizioni S.a.r.a.
- Federigo Verdinois, Profili letterari e ricordi giornalistici, a cura di Elena Craveri Croce, Firenze, Le Monnier, 1949.
- Federigo Verdinois, Racconti inverisimili di Picche, Casa Editrice Artistico-Letteraria, Napoli, 1886.
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