Ettore Ciccotti

storico, docente e politico italiano (1863-1939)

Ettore Ciccotti (1863 – 1939), storico, docente e politico italiano.

Ettore Ciccotti


Donne e politica negli ultimi anni della repubblica romana modifica

  • Scribonia richiama involontariamente alla mente Calpurnia, ma una Calpurnia anche più provata dalla sventura. I suoi tristi costumi, o la sua indole trista che fosse, non le vengono rimproverati, che da Augusto, e forse quel rimprovero non volea essere che la postuma giustificazione di un subitaneo ed ingiusto abbandono. (p. 37)
  • [Scribonia] [...] i dolori si accumulavano, un dopo l' altro, ma incessanti, su lei. Moriva la figliuola Cornelia, e, mentre pareva che nella figliuola Giulia e nella sua discendenza, ella dovesse vedere riabilitata la sua dignità, rilevato il suo prestigio; la morte, le insidie, le persecuzioni faceano scempio di ogni suo conforto e d'ogni speranza. (p. 37)
  • [Scribonia] Niobe novella, vedea spenti intorno a se que' nepoti già si presso al trono imperiale, già cantati come colonne dello Stato e fastigi del supremo potere. Vedea gli altri cacciati in esilio, relegati; e si riduceva in un' isola deserta, o nell'estremo confine d'Italia, a dividere con la figliuola i dolori dell' esilio, a renderle meno amara la pena della relegazione. Solo la morte, cosi cruda verso i suoi, era pietosa con lei, ma inutilmente, o malamente pietosa; che le toccava invecchiare per vedere, coll'ascensione di Tiberio al trono, trionfare definitivamente la sua rivale fortunata[1] e, tra i primi fasti del nuovo dominio, trovar posto la tragica morte del suo congiunto Lucio Libone. Le ultime sue notizie sono congiunte a quest'ultimo tragico evento; poi si sperde ogni sua traccia, e la memoria si spegne. (pp. 37-38)
  • Vogliono i più che [Porzia] fosse la figliuola di Catone Uticense, ma l'autorità maggiore di un'altra notizia, e gli anni suoi e quelli di Catone danno più credito a chi di costui la vuole sorella. Avea in ogni modo in sé quella rigidità e quella fierezza, quel senso austero della vita, che nella tradizione storica dovea confondersi col nome de' Catoni; e, anche essa, come l'Uticense pare che abbia dovuto passare, attraverso tutta la vita, senza ridere, senza sorridere mai. (p. 38)
  • [Porzia] Questa lotta tra quello che poteva esservi in lei il femminile e la virilità del sentimento, tra il corpo debole e l'animo ostinato, la logorava, scotendola, ma non la prostrava; ed ella s'infliggeva sino il martirio volontario, anticipava il cilizio, pur di emergere da quella lotta con sé stessa. Era tutta un autosuggestione, che in lei, nata e vivente in mezzo a' Catoni ed agli Junî, era diventata una seconda natura. (pp. 38-39)
  • [Porzia] [...] tutto quanto di femminile v'era in lei, e ch'ella sentiva in quell'insopportabile peso di custodire un terribile segreto[2], in quelle ansia per l'attentato imminente; tutto risorgeva e si espandeva, con tutto il suo rigoglio, in quell'attaccamento cieco, in quella devozione infinita verso l'Uticense e verso Bruto. Poiché si fu sposata a M. Bruto, quel suo sforzo di elevazione morale e gli affetti di famiglia si fondevano in un solo sentimento, che erano destinati ornai ad occuparle tutta l'anima e la vita. (p. 39)
  • Niente di muliebre, fuor che il corpo, voleva uno storico che vi fosse in Fulvia. Nel suo aspetto, che forse una moneta ancora si conserva, un ammiccar d'occhi, tra ironico e petulante, e la linea un po' dura del naso adunco e delle labbra serrate, contrasta con una fisonomia grassa e soddisfatta e dà un'espressione di petulante ed ostinata ambizione, di uccello da preda a quel volto, quasi fiammingo, dietro cui non si sarebbe aspettato di trovar altro che un'egoistica aspirazione ad una non disturbata esistenza. (p. 39)
  • [Fulvia] [...] la sua indole, avida di dominio, implacabile, crudele anche, la dovette far credere donna per errore della natura; ed il matrimonio le diede modo di emendarla, congiungendola prima a Clodio e Curione, due degli uomini più irrequieti del suo tempo, e poi a M. Antonio, uno strumento, anche più che un braccio, che, caduto dalla mano di Cesare, dovea ancora mostrarsi adatto a tante opere, nella mano di chi sapesse brandirlo e maneggiarlo. (pp. 39-40)
  • Tra quel pullulare di nuove figure, a cui apre l'adito la morte di Cesare, essa [Fulvia] campeggia, ora per la spinta che dà ad altri, or per la sua opera stessa, con le sue rapine, le sue vendette, i suoi intrighi, le sue intrusioni in città e nel campo, nella scena e nel dietroscena della politica.
    Ma la donna, innanzi a cui tanti uomini aveano dovuto piegarsi, o spezzarsi, come fragili canne, dovea essa stessa soccombere ad una altra donna[3]. (p. 40)
  • Livia si può dire che chiuda la serie delle donne della repubblica [romana]. Ella è l'ultima delle donne della repubblica e la prima dell' impero; proprio come è Augusto, rispetto agli uomini suo tempo. (p. 48)

Il tramonto della schiavitù nel mondo antico modifica

Incipit modifica

Molti contrasti e molte differenze separano e distinguono il mondo antico dal mondo moderno, ma nessuna è così saliente come l'esistenza normale e generale di una classe di schiavi, che costituisce la base ed il sostrato della società antica, ne sostenta, direttamente od indirettamente, gli elementi liberi e diviene perciò la ragione e la condizione di tanti altri contrasti e di tante altre distinzioni.

Citazioni modifica

  • Distinta dal Cristianesimo per varie e fondamentali discrepanze, [la filosofia stoica] avea nondimeno con esso molti punti di contatto. L'una e l'altro spostavano il centro di gravità della vita, l'una nella vita interiore dello spirito, l'altro in cielo. Entrambi rinunciavano alla lotta, talora appartandosi dal campo delle sofferenze umane, tal'altra portandovi – l'una meno e l'altro più – una voce consolatrice; e tutti, ignari del loro tempo e dell'avvenire, rinunziavano, in teoria, ad ogni efficace sforzo per mutare le condizioni della passeggiera vita presente e, in pratica, finivano col soggiacere alla tirannia del mondo esterno, alla forza degli eventi e alla necessità delle cose, malamente e imprudentemente rinnegate. (Introduzione, cap. VIII, p. 32)
  • Non è nella guerra, e nemmeno nella violenza in generale, che bisogna cercare l'origine e la causa della schiavitù. La guerra diventa un possente strumento di schiavitù, quando le condizioni sociali, che l'hanno fatta sorgere e progredire, sviluppandosi anch'esse, sviluppano alla loro volta l'istituzione della schiavitù e moltiplicano gli schiavi. Con l'adozione sempre più estesa e progressiva de' metalli, col convertirsi dell'agricoltura di nomade in fissa, con l'incremento e lo specificarsi de' mestieri, col sorgere del commercio; con le condizioni insomma, che preparano e apportano la proprietà privata della terra e l'accumulazione della ricchezza e una struttura sociale più varia e distinta da maggiori contrasti, sorge sistematicamente e comincia ad avere sempre maggiore incremento la schiavitù; essa stessa mezzo potente di maggiore accumulazione della ricchezza e di più distinti contrasti sociali. (Parte prima, cap. I, p. 39)
  • Roma, magari inconsapevolmente, combatteva nel Cristianesimo la forma e il riflesso di quella potenza trasformatrice e dissolvente, che sottraeva allo Stato il monopolio e il prestigio della religione, e, facendone base di un organismo crescente nell'organismo dello Stato e a detrimento di questo, dava al mondo romano, alla società universale dell'Impero un altro centro che non fosse il potere politico dell'Impero. (Parte seconda, cap. XIV, p. 276)

La guerra e la pace nel mondo antico modifica

  • Sparta ci presenta il tipo più completo e meglio conservato di una divisione di lavoro e di una conseguente specificazione di funzioni e di organi, per cui una popolazione di soggetti attendeva alla coltivazione della terra, provvedendo l'alimento, mentre una più ristretta popolazione di dominatori esercitava il comando coltivando l'esercizio delle armi. (p. 50)
  • Questa mancanza di virtù assimilatrice da parte di Sparta, che le impediva di ringagliardirsi e rinnovarsi assorbendo elementi vitali dall'esterno; questa sterilità del suo predominio, questa incapacità di convertire la stessa vittoria nella conquista e di sapere usare della vittoria dopo averla ottenuta; rendevano di necessità precario ogni suo trionfo, inorganica e incoerente ogni sua creazione" politica [...]. (p. 61)
  • [...] chi innovò radicalmente i criteri direttivi della battaglia, fu, nella breve e fortunata sua carriera, Epaminonda, che può considerarsi come il geniale inventore e pioniere di metodi applicati poi da Filippo e specialmente, con importanza storico-mondiale, da Alessandro.
    All'attacco frontale e simultaneo di tutta l'ordinanza, Epaminonda sostituì un metodo per cui, contrariamente all'uso precedente, l'ala sinistra, ove egli concentrava il nerbo delle sue forze, aveva l'offensiva, mentre l'ala destra, messa puramente sulla difensiva, faceva semplicemente della resistenza e teneva a bada l'ala destra nemica, intanto che la sua ala sinistra, facilmente vittoriosa per la forza preponderante, dopo avere sgominata l'ala destra dell'avversario, ne scompigliava l'ala sinistra, attaccandola di fianco. (pp. 182-183)
  • La pace è equilibrio, che ha bisogno di essere stabile, se si vuole stabile pace; e non vi è né equilibrio, né pace, dove la forza è base e legame della vita, e popolo è congiunto a popolo, individuo a individuo, non da mutuo scambio di servigi e uguale correlazione di diritti e di doveri, ma da una legge di servitù che fa l'uomo e l'opera sua mezzo a un altro uomo. Non vi è equilibrio, né pace, dove qua la mancanza del necessario, là il desiderio e la possibilità del superfluo creano, a vicenda, lo scontento e la preoccupazione, la minaccia e la cupidigia, l'aggressione ch'è difesa e la difesa ch'è aggressione, cioè la guerra, in cui la forza non si risolve, ma si perpetua come in un circolo vizioso, per rigermogliare esacerbata e moltiplicata in altre guerre, in altre violenze, in altri motivi di conflitto. (p. 229)

Note modifica

  1. Livia Drusilla, successiva moglie di Augusto.
  2. Il proposito del marito Bruto e di altri di uccidere Cesare.
  3. Allusione a Cleopatra, amante di Marco Antonio.

Bibliografia modifica

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