Enrico Panzacchi

poeta, critico d'arte e critico musicale italiano (1840-1904)

Enrico Panzacchi (1840 – 1904), poeta, critico d'arte e critico musicale italiano.

Enrico Panzacchi in un ritratto di Vittorio Matteo Corcos (1894)

In alto mare

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  • È sdrucito il navil: l'ira del fiotto | tregua non ha, || ecco ... l'ultima antenna il vento ha rotto: | Signor, pietà!
  • Fugge dai petti l'ultima speranza: | la morte è qua. || Non un'ombra di vela in lontananza... | Signor, pietà!

Lyrica. Romanze e canzoni

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  • Corre intanto il seren per l'universa | calma notturna e pochi o niuno il sa: | così l'urna sovente inclina e versa | silenziosa la Felicità. (da Serenitas, vv. 13-16)
  • Povera Lena mia, tutte le sere | penso: qui vidi il fèretro passar. | Gridava un prete: – Lesti, il miserere! – | E il medico: – Ha cessato di penar! – || [...] || Parmi ancor di vederli; i lumi in seno | al denso buio scomparian laggiù. | Mormoravan le labbra: – Una di meno! – | Ma il mio cor dentro: – Un angelo di più! (da Sull'uscio, vv. 1-4 e 9-12)
  • Mentre la fiamma crepita, | Ghita, che resta a fare? | Stringiamci al focolare | e amiamo, amiamo... amiam! (da Amore e neve, vv. 13-16)
  • Dal fresco rezzo della stanza mia | veggo laggiù brillar nitidamente | l'asciutta rena e i sassi del torrente, | che un limpido fil d'acqua al fiume invia: || rompe il verde del pian la bianca via | che s'allontana tortüosamente; | presso la siepe, al sol, dorme un pezzente | del suo magro cagnuolo in compagnia. (da Meriggio, 1-8)

Morti e viventi

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  • Ora io vi domando: questa teoria, che è poi il caposaldo di tutta la poetica di Teodoro di Banville, consistente nell'attribuire ad una parola, solo perché ha ufficio di rimare il verso, una forza di rappresentazione così autonoma e così invadente e un valore di evocazione tanto grande che tutto il resto rimane poco più di un'ombra o di un riempitivo, non dà anche a voi, come dà a me, il sospetto che essa sia il primo nocciolo intorno al quale s'incrostano poi di mano in mano tutte le forme del simbolismo letterario? (p. 90)
  • Poiché il loro principio fondamentale, se è dato di afferrarlo netto e intero entro il balenio dei loro versi e nel vago crepuscolo della loro prosa ondeggiante, si ridurrebbe in sostanza a questo: le parole e le frasi del linguaggio oltre i loro significati oggettivi e noti all'universale, hanno per chi possegga uno squisito senso artistico, un valore di impressione e di associazione ideale e fantastica tutto proprio del loro organismo fonetico e della loro stessa configurazione grafica. Il poeta che arrivi, per singolare privilegio della sua natura, a intuire questo significato "simbolico" della Parola e acquisti l'abilità di maneggiarla efficacemente, è assunto, per questo, al piccolo e glorioso sodalizio dei Simbolisti. (p. 91)
  • Le parole dunque, solo e sempre le parole. Il famoso dispregio d'Amleto diventa il grande vessillo di battaglia: "Words! Words! Words!"
    E la Parola è studiata dai Simbolisti in tutti i suoi più minuti elementi di eccitamento sensorio e fantastico, in tutte le sue più recondite prerogative di sensazione musicale. Fin qui potremmo avere soltanto la esagerazione d'una verità antica e nota a tutti; ma vi è dell'altro. I vocaboli, per costoro, oltre che suoni, hanno colori, odori, gesti e fisionomie come dei corpi solidi erranti nello spazio e delle figure d'animali viventi. (p. 92)
  • Ernesto Masi è, per dirlo alla francese "un grande amoroso" del suo soggetto [Carlo Goldoni]; e non è da poco tempo che egli lo viene, con molte e insigni prove, dimostrando. Qui[1] lo dimostra al punto che, talvolta, a certe patenti bellezze delle scene goldoniane, egli sente il bisogno d'intervenire, richiamando con una nota l'attenzione del lettore; tant'è la sua tema che possano passare inosservate. Sollecitudini d'innamorato; e giovano anch'esse. Chi arde, incende. (p. 113)
  • Nella imitazione del commediografo latino [Terenzio] seguace dei modelli greci, nessuno può pretendere che [Roswitha di Gandersheim] una monaca tedesca, in pieno medio evo, andasse molto innanzi. [...]. Se Terenzio è licenzioso, la suora cristiana sarà naturalmente castigatissima; anzi appare evidente il suo proposito di purificare e santificare la vecchia commedia pagana, volgendola a edificazione delle anime, nella stessa guisa che i vecchi templi si toglievano agli dei falsi e bugiardi per sacrarli al culto di Cristo e della Vergine. (p. 130)
  • [Roswitha di Gandersheim] Tutto il suo teatro [...] potrebbe qualificarsi un poema cantato alla castità della donna, uscente sempre vittoriosa da pericoli, contrasti e cadute; ove talora il comico va fino alle più volgari buffonerie e la nota drammatica si leva alla pietà più toccante e alla più schietta e fulgida misticità. (p. 131)

Nel mondo della musica

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  • Per verità, quanto a sistema, io penso che Cristoforo Gluck non inventò niente; e sono convinto di non togliere nulla alla sua gloria, che è grande e legittima. Anzitutto che significa in arte inventare un sistema? Altro è scienza, altro è arte: e la storia dell'arte è tutta in uno svolgimento graduale di forme. Il quesito si potrebbe mettere innanzi per quella parte della musica che suole chiamarsi tecnica o scientifica. Ma qui Gluck è fuori di causa; ed è bene che ci stia. Egli fu un grande artista, nel senso più ideale della parola; ma il tecnico più d'una volta fu colto in difetto; e a conti fatti certamente il musicista, non pareggia il poeta. (pp. 53-54)
  • [Al tempo della prima rappresentazione di Orfeo ed Euridice, il 5 ottobre 1762] [...] il poeta [di Gluck] non era più Metastasio; ma un livornese consigliere imperiale alla corte dei conti dei Paesi Bassi e appena mediocremente noto nel regno delle lettere; Raniero Calzabigi. Appassionato della musica, era stato a Parigi (curandovi una edizione delle opere del Metastasio) quando appunto ferveva la cosi detta querelle des Buffons, ossia la lite fra la musica italiana e l'opera francese; e s'era andato formando in testa un tipo di melodramma diverso da quello che regnava allora in Italia e dall'Italia si spandeva in tutta Europa. (p. 56)
  • Raniero Calzabigi colse questa verità ovvia e semplice ma in pratica fecondissima: che se si vuole che la musica passi davvero nel dramma poetico e lo penetri e lo informi tutto del suo spirito melodioso ed armonico, bisogna anzitutto che il poeta spilli dalla sua vena con avara sobrietà, e badi a fornire più ispirazioni che strofe al maestro compositore. Dopo che gli estetici avranno versato dei fiumi d'inchiostro sulle relazioni ideali delle due arti, saremo in pratica sempre a questo: che la musica serve ben volentieri la poesia, ma solo dopo che questa si è acconciata in guisa da servire a lei in tutto e per tutto. Una specie insomma di «serva padrona». (pp. 57-58)
  • [...] a quei suoi compagni di viaggio, che, conversando, rimproveravano gl'italiani di essersi troppo rinserrati nella musica, [Heinrich Heine] rispondeva con pietoso sdegno: – questo essere accaduto agli italiani, perché la musica è l'unico dominio dove non arrivano il birro e l'inquisitore; ma che anche da quel rifugio l'Italia parlava la sua voce eloquente; e un giorno il mondo l'avrebbe ascoltata! (p. 111)
  • Chi pretende un Verdi sempre scolasticamente corretto e delicatamente accurato, bisogna che si contenti di fare a meno di Verdi. (p. 236)
  • Di Verdi [...] si cominciò a dire che il bel canto italiano riceveva da lui l'ultimo colpo e che rovinava le voci ai cantanti; del suo stile si misero in vista le asprezze, la volgarità, la violenza. Al coro degli acclamatori insomma si oppose validamente quello dei detrattori; e a questi pareva di conceder molto quando, messo il Verdi a lunghissima distanza dal Rossini, dal Bellini e dal Donizzetti, gli abbandonavano un posto dietro il Mercadante, il Pacini e i fratelli Ricci. (pp. 238-239)

Citazioni su Enrico Panzacchi

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  • Poeta melico per eccellenza, egli fu per un certo tempo il poeta di tutti i romanzieri e questo genere d'arte che rispondeva intimamente al suo sentimento di melico, fu sempre la nota dominante di tutta la sua poesia (Ernesto Lamma)
  • È stato detto, nel riguardare insieme tanta mole di scritti vari, non mai voluminosi, che non v'è tra essi una trattazione di ampio disegno; non v'è, quel che si dice, l'opera. È vero.
    Ed è stato pure detto con verità, che i saggi del Panzacchi hanno spesso il taglio del discorso, della conferenza, qualche volta dell'orazione togata; dove l'Autore poteva spiegare le sue eccezionali doti di parlatore insuperabile.
    Taluno ha soggiunto che si rimase spesso col desiderio d'un maggiore approfondimento dei problemi trattati, e che qua e là si scorge attraverso la limpida superficie un breve fondo.
    Ecco, superficiale, facilone il Panzacchi non è stato mai; anche se nello esporre poteva il suo procedere apparire sbrigativo e sommario. Egli era sempre sicuro di quel che diceva e, se se ne fosse dato la pena, avrebbe potuto diffondersi in ampie ed esaurienti dimostrazioni.
  • Lettore assiduo, aperto alla comprensione, critico arguto, giudice equanime, laudatore, se convinto, senza risparmio, specie dei giovani; ma franco e d’un onesto coraggio nel dire con garbo e con fermezza a ciascuno il fatto suo, fosse pure l'amico più caro, quale il Carducci era per lui: tale fu il Panzacchi per tutto il tempo che tenne le scettro della critica letteraria in Italia, esercitandovi con scrupolo e diligenza il delicato ufficio di giudice invocato e temuto.
  • Panzacchi saggista, ma anche oratore e poeta lirico, doveva essere compendioso, non perché avesse corto il respiro, ma perché era un condensatore al più alto potenziale, di pensieri, esperienze, formule espressive. Dell’opera sua bisogna quindi giudicare non dalla estensione quantitativa, ma dalla ampiezza del mondo ch'egli era portato a cogliere e a far passare nel più conciso degli schemi mentali. In fondo Panzacchi saggista non scrisse un trattato per la stessa ragione per cui novelliere non affrontò il romanzo, e poeta, fu soltanto lirico e non compose poemi.
  1. Scelta di commedie di Carlo Goldoni, con prefazioni e note di Ernesto Masi, due voll., Successori Le Monnier, 1897.

Bibliografia

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  • Enrico Panzacchi, In alto mare, in Liriche, Edizioni Zanichelli.
  • Enrico Panzacchi, Lyrica. Romanze e canzoni, Zanichelli, Bologna 1877.
  • Enrico Panzacchi, Morti e viventi, Cav. Niccolò Giannotta editore, Catania, 1898.
  • Enrico Panzacchi, Nel mondo della musica. Impressioni e ricordi, G. C. Sansoni editore, Firenze, 1895.

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