Daniele Audetto (1943 – vivente), dirigente sportivo italiano.

Daniele Audetto (1974)

Citazioni di Daniele Audetto

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [Nel 1976] Un vero DS sui campi di gara ha la responsabilità della squadra e soprattutto dei piloti. A questi ultimi bisogna stare molto vicini perché a volte possono avere dei problemi psicologici, dei travagli o delle piccole magagne e soprattutto si deve evitare che si creino delle incomprensioni tra la squadra all'esterno. Ci vuole tempismo per capire se un pilota che scende dalla macchina può avere uno scatto di reazione nei confronti di un collega e naturalmente occorre prevenirlo: noi vogliamo dare della Ferrari non solo una immagine di squadra vincente ma anche una immagine di classe e signorilità perché non bisogna dimenticare che all'estero noi rappresentiamo in pratica tutta l'industria italiana... [«Insomma, sono anche compiti di pubbliche relazioni...»] In parte sì, ed è per questo che quando ci invitano ai parties dei fornitori, dei consolati o dei club io cerco sempre di essere presente e di portare anche i piloti. Sono insomma azioni promozionali perché naturalmente si cerca di vincere le corse per poi tradurle, commercialmente parlando, in un incremento ed in una migliore immagine del prodotto.[1]
  • [Sul Gran Premio di Germania 1976] Niki [Lauda] arrivò in Germania fiducioso di convincere i suoi colleghi che il circuito dell'Eifel era anacronistico, troppo insicuro, illogico. Io feci l'impossibile per convincerlo che si trattava di una crociata destinata a fallire: non ci fu niente da fare. Lui chiamò una riunione e fece indire una votazione: la sua mozione fu sconfitta per un solo voto. L'atmosfera del weekend si era fatta pesante: la pole firmata da Hunt non rese le cose più serene. Il giorno della gara, venne a piovere poco prima del via. Tutti eccetto la McLaren di Mass partirono con gomme da bagnato; ma già nel corso del primo giro la situazione cambiò e quasi tutti rientrarono in pitlane per pneumatici slick. Niki non era partito bene ed era scivolato dalle retrovie. Il pit-stop non fu rapidissimo e lui si proiettò nuovamente in pista come un ossesso. Sapeva di dovere recuperare e che Hunt era invece nelle posizioni di testa: più tardi Carlos Pace mi raccontò che Lauda l'aveva raggiunto in poche curve e superato con un'aggressività che non gli conosceva. Al secondo giro, l'incidente nella zona di Bergwerk, la Ferrari distrutta e incendiata, il suo salvataggio a opera di altri piloti. Poi l'ospedale, il dramma, la vittoria di Hunt e un mondiale che, adesso sì, si stava davvero riaprendo, perché fu subito chiaro che Niki non sarebbe rientrato in gara rapidamente.[2]
  • [Sulle differenze tra Formula 1 e IndyCar Series] Sono due mondi completamente diversi, la F1 è l'apice della tecnologia, Indianapolis l'apice dello spettacolo. Diciamo che la percezione del pubblico americano è diversa da quella del pubblico europeo. Vedere vetture che vanno a quasi 400 all'ora per 500 Miglia è una cosa grandiosa, e diciamo la verità, lo è anche per gli incidenti che si verificano, i quali sono spettacolo puro visivamente parlando. In F1 oggi, e per fortuna dico perché non è che sono contrario, le misure di sicurezza, i disegni dei circuiti sono diversi, se c'è uno spigolo fuori norma fanno sciopero. È una filosofia diversa. Qui accettano molto di più il rischio, mentre la F1, giustamente perché i piloti hanno la loro pelle da salvare, è tutto molto più sicuro [...]. Certo che le Formula 1 come adesso, con tutti i crash test che ci sono, sono indistruttibili e le piste sono molto sicure, quindi lo spettacolo è più legato all'azione dei sorpassi. È la filosofia ad essere completamente diversa. Quindi direi che la tecnologia svetta in Europa e lo spettacolo in America.[3]

Intervista a fcaheritage.com, 2017.

  • Diciamo pure, come spesso accadeva all'epoca, che al sedile di destra, quello del navigatore, arrivai passando prima da quello di sinistra, cioè quello del pilota. E spesso i navigatori, proprio per il tipo di mestiere che devono svolgere, sono ancora più appassionati degli stessi piloti, che vivono maggior notorietà e un appagamento più immediato e diretto. Allora il navigatore aveva molte più responsabilità di quante ne abbia oggi, soprattutto nella gestione della gara che era più sulle sue spalle: io in quel ruolo trovai la mia giusta collocazione.
  • Il Commendator Ferrari mi cercò sin dal 1973, ma la Direzione Lancia pose il veto, fino a quando non mi lasciarono "in prestito" per sostituire alla Direzione Sportiva Montezemolo, che nel frattempo era stato promosso Direttore delle Relazioni Esterne di tutto il gruppo Fiat. Il 1976 a Maranello fu un anno complicato: oltre alla difficile gestione di due piloti come Regazzoni e Lauda, ci fu il terribile incidente di Niki al Nürburgring che compromise la stagione; perdemmo il mondiale piloti per un punto, ma vincemmo il Campionato Marche. Lavorare per il Commendatore è stata un'esperienza speciale e anche la vicinanza a quel genio di Forghieri lasciò il segno: quando lavori per la Ferrari, ti porti il Cavallino nel cuore per tutta la vita.
  • Ho vissuto sia il periodo ancora "romantico" della F1, con tecnologie e mezzi molto inferiori a quelli di oggi, con i piloti veri "Cavalieri del rischio", con auto molto pericolose, sia il periodo dell'alta tecnologia e della super-sicurezza. Ebbene, debbo dire che nel primo periodo c'era più passione, e i piloti contavano di più, potevi vincere con un mezzo inferiore; oggi, anche se sei bravissimo, senza un mezzo competitivo, non puoi fare molto [...]. Poi c'è troppa tecnologia, i piloti sembrano telecomandati dai box, quasi conta di più l'ingegnere, lo stratega, che non il pilota, e questo non è giusto, perché penso che anche i piloti bravi vorrebbero più autonomia, e si divertirebbero e farebbero divertire di più.
  • Il risveglio sportivo dell'era moderna in Casa Lancia arrivò proprio nel 1951 con l'Aurelia B20, che dimostrò subito eccezionali doti sportive naturali. È con sette B20 speciali che nasce la Squadra Corse Lancia, che cominciò a inanellare vittorie, come la Targa Florio del 1952, la Liegi-Roma-Liegi nel 1953, il Rally di Montecarlo nel 1954 e quello dell'Acropoli nel '58. Le gare più vicine ai "miei" rally, corsi non molti anni dopo, quando Cesare Fiorio volle costituire l'HF Squadra Corse nel febbraio del 1963.
  • Cesare [Fiorio] è stato il mio "scopritore", mio mentore e Maestro, senza Cesare non avrei potuto fare la carriera che poi ho fatto, "lanciato" da lui.

Intervista di Franco Nugnes, motorsport.com, 21 maggio 2019.

[Su Niki Lauda]

  • Niki è stato un grande campione, una persona eccezionale con un carattere forte e duro soprattutto con se stesso. È stato il pilota che ha cambiato l'approccio alla F1 con un atteggiamento più professionale: Niki curava molto la salute, la preparazione fisica, passava molto tempo con i tecnici e i meccanici per capire tutto della monoposto e del motore.
  • [«Daniele tu non hai avuto un rapporto troppo amichevole con Lauda...»] In realtà non è così [...]. Certo, dopo l'incidente del Nurburgring, Niki se l'era presa perché io avevo contattato prima Emerson Fittipaldi e poi Ronnie Peterson per sostituirlo sulla Ferrari. Io mi ero limitato a eseguire quanto mi era stato chiesto da Enzo Ferrari. E, onestamente, nessuno si sarebbe aspettato una ripresa dell'austriaco così rapida. Il Commendatore pensava che difficilmente Niki avrebbe potuto ancora guidare una F1 ai suoi livelli e per questo intanto mi mandò a cercare un sostituto per quell'anno. Lauda se l'era presa molto con me e solo in un secondo tempo capì la situazione nella quale mi ero trovato. All'inizio non fu facile, ma poi comprese e già quando ero team principal dell'Aguri Suzuki non perdeva occasione per venire da noi a mangiare un piatto di spaghetti perché il nostro cuoco era un italiano molto bravo.
  • [«Il ritorno di Lauda sulla Ferrari 312 T2 a Monza fa già parte della leggenda...»] Niki si presentò a Maranello dicendo che voleva provare la macchina e Ferrari in modo crudo gli disse: "Dimostrami che sei ancora in grado di andare forte e che hai il fisico per farlo...". Lauda non aggiunse una parola e si infilò nell'abitacolo della macchina. Bastarono pochi giri per capire che non era solo velocissimo come prima, ma anche molto determinato, tanto che decise di correre il GP d'Italia a Monza a inizio settembre, quando ebbe l'incidente al Ring il 1º agosto. Niki si classificò quarto che ancora sanguinava dalle ferite alla testa e riprese il comando di un campionato che sicuramente avrebbe vinto [...] [«In effetti è arrivato al Fuji in testa alla classifica iridata con la Ferrari, ma poi c'è stato quello strano ritiro che è passato alla storia come il... coraggio di avere paura, durante un GP del Giappone partito sotto un diluvio universale...»] Al Fuji Niki si era fermato dopo pochi giri fidandosi delle parole di Bernie Ecclestone e dell'accordo che aveva raggiunto con Emerson Fittipaldi, allora rappresentante della GPDA [l'associazione dei piloti], che i piloti top si sarebbero ritirati via via perché pioveva a dirotto da ore e la pista non drenava più l'acqua, ma avevano garantito che sarebbero partiti nella gara, visto che Bernie per la prima volta aveva comprato i diritti per la diretta TV in Eurovisione. Peccato che James Hunt subì le minacce di Teddy Meyer [il team manager McLaren], che gli disse che non avrebbe avuto scampo se si fosse fermato. Non avrebbe ricevuto alcun soldo e la sua carriera sarebbe stata messa a rischio. Non feci in tempo ad avvisare Lauda di quello che stava succedendo, per cui Niki si attenne al patto che aveva siglato con gli altri piloti e si fermò. [...] È stato un errore mio non convincerlo a stare in pista ancora qualche giro, giusto per capire quali intenzioni avesse James. Anche perché poi l'uragano si placò e sapete come poi è andata a finire... Niki era un uomo tutto di un pezzo: non me la sono sentita di costringerlo a continuare il GP perché solo qualche mese prima l'avevo visto in fin di vita al Nurburgring e, quindi, ho ritenuto che la vita fosse più importante di un titolo mondiale, per quanto importante come quello di F1...

Intervista di Carlo Platella, formulapassion.it, 19 maggio 2023.

[Sulla 500 Miglia di Indianapolis]

  • Indianapolis è una gara unica. La 500 Miglia ha un fascino particolare per diversi motivi. Il primo è l'antichità, la tradizione, i nomi che vi hanno corso, hanno vinto e che purtroppo si sono fatti anche male. Una gara con un alto rischio presenta una certa attrazione. Bisogna ammetterlo e bisogna dirlo. Queste sfide riguardano sia i piloti, che le vivono in prima persona, sia il pubblico che le segue.
  • [«Che atmosfera si respira nello Speedway?»] La 500 Miglia è la corsa col più alto impatto emozionale. In questo catino altissimo il rumore riverbera ed è impressionante. Un altro fattore di fascino infatti sono le 33 macchine che viaggiano l'una attaccata all'altra, sempre in scia, con continui cambi di posizione, a una media di 370 km/h. [...] Il piede, il pelo e l'esperienza quindi contano ancora. In ogni caso però, vedere tutte queste macchine con l'eco delle tribune e 500 mila spettatori è uno spettacolo che la prima volta mi ha fatto venire la pelle d'oca. Questo è uno dei fattori di fascino di Indianapolis: vedere 33 macchine scatenate a 370 km/h di media per 500 miglia, quindi 800 chilometri, che si completano in poco più di due ore.
  • Cinquecentomila spettatori è qualcosa di pazzesco. Sì, è vero, hanno delle tribune enormi, ma riescono anche a riempirle. Anzi, bisogna fare in fretta a procurarsi il biglietto per non pagarlo a caro prezzo dai bagarini. Gli americani prendono le corse, soprattutto Indianapolis, come un rodeo. Tutto attorno nel paddock ci sono le zone dove si riuniscono con i loro caravan e si mettono a grigliare. C'è sempre questo profumo di cotolette, costatine e spiedini, tutto accompagnato da grandi birre. È una grande festa in stile rodeo. Anche i piloti vivono nel loro motorhome assieme alla loro famiglia. Bisogna ricordarsi che è un evento che, tra test, prove libere, qualifiche e gara dura due settimane. Il venerdì prima della corsa poi c'è il Carburetion Day, nome rimasto dai tempi in cui si facevano le carburazioni. Poi c'è tutta la cerimonia di partenza, con l'inno degli Stati Uniti cantato da qualche star e con 500 mila persone in piedi con la mano sul cuore a cantare. È uno spettacolo globale [...]
  • Indianapolis ha un approccio col pubblico molto più aperto della Formula 1. Io vado ancora a diversi Gran Premi e vedo che è diventato un club molto esclusivo e chiuso. A Indianapolis invece c'è un contatto enorme tra spettatori e piloti, che si fanno fotografare, chiacchierano e si mescolano con la gente. Questo contatto umano rende la partecipazione del pubblico più interessante. I piloti sono abituati ad essere così vicini ai fan.
  • È più facile però per un europeo vincere in America che il contrario. [...] Dopo che Niki Lauda ha insegnato a fare il professionista per vincere, i piloti di Formula 1 ora sono molto più attenti alla salute, al fisico e alla preparazione mentale. Gli americani invece devo dire che non sono così raffinati nella preparazione e nell'alimentazione. Questo è un bene e un male, ma se vuoi vincere devi cambiare la tua vita e dedicarti al mille per mille. Oggi non lo puoi fare come gentleman driver.
  • [...] i piloti di Formula 1 sono abituati a un livello di sicurezza molto elevato e credo che vadano malvolentieri in IndyCar, per più motivi. Il primo è che c'è più pericolo di farsi male e il secondo è che sono molto meno pagati. I piloti IndyCar rischiano la pelle e guadagnano un quinto rispetto ai piloti di Formula 1, che fortunatamente la pelle la rischiano molto meno [...]. Il gioco non vale la candela.

Citazioni su Daniele Audetto

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  • Il più grande attore che Hollywood si sia mai fatta scappare. (Carlo Cavicchi)
  • [È interessato solo alla parte mondana della Formula 1], le cene eleganti erano per lui della massima importanza. (Niki Lauda)
  • Prima di una corsa, mi ordinò, seriamente, di fare vincere il mio compagno di squadra, perché tu hai già vinto troppo. (Niki Lauda)
  1. Dall'intervista di Daniele Buzzonetti, Medico e radio per la Ferrari (e niente «pesi»), Autosprint nº 10, 2-9 marzo 1976, pp. 7-9.
  2. Citato in Roberto Boccafogli, F1 / Rivoluzione inglese, formulapassion.it, 18 luglio 2021.
  3. Dall'intervista di Matteo Novembrini, Audetto: "F1 apice della tecnologia, Indy dello show: ma il Circus è sempre più americano", autosprint.corrieredellosport.it, 29 maggio 2022.

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