Carla Capponi

partigiana e politica italiana (1918-2000)

Carla Capponi (1918 – 2000), partigiana e politica italiana.

Carla Capponi

Citazioni di Carla Capponi

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  • Quando il Partito [Comunista Italiano] ci diede il nome GAP, qualcuno di noi chiese che «gruppi di azione patriottica» venisse cambiato in «gruppi di azione partigiana». Era una forma di settarismo. Quel patriottica ci sembrava nazionalismo, volevamo una definizione di classe, più rivoluzionaria. Però ci convincemmo: la nostra era una guerra di liberazione nazionale, e la combattevano tutti. Era una riaffermazione del vero patriottismo, dell'unità popolare.[1]

Con cuore di donna

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  • Occorre convincere i giovani di oggi che ognuno di noi [partigiani] fu esattamente un giovane come loro, stretto fra dubbi e paure, convinto di non fare nulla di così eccezionale, di "storico", ma di compiere un dovere civile che ha finito per coinvolgere tutti in una sola volontà, sostenuta dalla speranza di liberazione. (p. 9)
  • Oggi penso che a spingermi a partecipare alla lotta di liberazione nel 1943 fu la sofferta e indiretta esperienza di quella guerra civile [spagnola] che vissi giorno per giorno cercando di capirne le ragioni, gli obiettivi e le motivazioni. (p. 62)
  • [Su Lucia Ottobrini] Di carattere intrepido, era intelligente e colta, sicura di sé, sempre protettiva verso gli altri, cosciente di avere grande forza d'animo e di essere capace di sostenere qualsiasi rischio o disavventura. Calma, paziente, aveva la grande qualità di essere prudente, mai avventata e impulsiva, ma riflessiva e rassicurante. (p. 141)
  • In quella situazione di continua insicurezza e tensione era difficile esprimere sentimenti e pensieri: la precarietà della nostra sorte ci faceva rifuggire dai rapporti affettivi e d'amore, perché temevamo di trarne solo dolore. Nel continuo spostarci e impegnarci in compiti diversi era impossibile dare una continuità a qualsiasi rapporto, eppure tra tutti noi si stabiliva, immediato, un sentimento di incondizionata fiducia, un legame d'affetto che a volte sembrava superare quello fraterno. (pp. 141-142)
  • La consegna per l'arrestato era di resistere tre giorni alle torture e poi eventualmente cedere su un solo indirizzo, in modo da consentire nel frattempo alla base di sloggiare portando via tutto il materiale compromettente e isolandola da ogni collegamento. Questa regola permise al PCI, che la osservò rigorosamente, di salvare moltissimi compagni, poiché la catena degli arresti si fermava al massimo dopo la seconda o la terza persona. (p. 175)
  • Riconoscevi subito chi intrallazzava con i fascisti e con i tedeschi: erano i soli che giravano ancora con le auto a gas, erano donne ben vestite che si recavano impellicciate agli spettacoli dell'opera per le truppe naziste. La città aveva due categorie di cittadini: una minoranza che se la intendeva con il nemico e gli altri, la maggioranza, che soffrivano, morivano, speravano nella liberazione. (p. 184)
  • Avevo bisogno di ritrovare tutte le ragioni che mi portavano a compiere quell'attacco [di via Rasella]. Ripensai al bombardamento di San Lorenzo, a quella guerra ingiusta e terribile, alle voci dei bambini del brefotrofio imprigionati dal crollo, allo strazio delle distruzioni che si vedevano ovunque e di cui avevamo notizia ogni giorno; ai nostri compagni fucilati, torturati a via Tasso; a tutti i deportati di cui non avevamo più notizia; ai duemila ebrei nei lager; a tutti i paesi oltralpe sconvolti dalla devastazione. A quanti tra i miei amici erano già morti: sul fronte russo, in Grecia, in Iugoslavia, a mio cugino Amleto Tamburri morto a El Alamein, lui, figlio di un socialista. [...] Ma a poco a poco mi convinsi che non preparavo un agguato a innocenti: quegli uomini erano stati educati, abituati a uccidere; l'operazione di "selezione della razza" (l'attuale pulizia etnica) era per loro un risanamento della società. [...] Così, recuperai la visione esatta della realtà che stavo vivendo: per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente, che erano ingiustamente perseguitati, per loro dovevo battermi. (pp. 229-230)
  • [Sull'eccidio delle Fosse Ardeatine] A noi non era stata neppure proposta un'alternativa dai nazisti: "Consegnatevi e le vittime designate saranno salve". Se avessero posta questa condizione, avrebbero certamente messo in crisi la nostra coscienza, ma non avrebbero incrinato le leggi che regolavano il comportamento di fronte al nemico. La nostra sfida era: cercateci, impegnatevi nello scontro con noi ma non infierite con chi non è in grado di difendersi, di combattere. Per noi quell'"ordine" assassino era un crimine contro il quale occorreva mobilitarsi, attaccare con maggiore durezza e determinazione. L'annuncio "questo ordine è già stato eseguito" con cui terminava il breve comunicato, suonava come una sfida: non avevano scritto "la sentenza è già stata eseguita", perché nessun tribunale avrebbe sancito una condanna così efferata, contro ogni legge, contro ogni morale, contro ogni diritto umano. [...] Volevano farci intendere che al di sopra di tutte le leggi del diritto e della morale, c'erano gli "ordini" del comando nazista, il "Deutschland über alles", della razza ariana, destinata a dominare tutte le altre considerate inferiori e per le quali non c'era bisogno né di tribunale né di sentenze. (pp. 240-241)
  • Non abbiamo forse mai indagato quanto sia costata ai bambini la guerra fatta dagli adulti: le tracce sarebbero rimaste incise per sempre nel loro carattere, oltre alle mutilazioni, oltre alle ferite del corpo. Eravamo troppo impegnati a pensare alla morte per poter curare e proteggere la vita che germogliava, ma la loro sarebbe stata per sempre un'infanzia trapiantata su un terreno devastato dall'atroce realtà della guerra. (p. 306)

Citazioni su Carla Capponi

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  • Carla è stata la donna più coraggiosa che io abbia conosciuto. Era sempre pronta e disponibile ad attaccare. Forse in alcune occasioni, come a Viale Giulio Cesare il giorno in cui morì la Gullace, è stata troppo intemperante ed ha seriamente rischiato di essere individuata ed arrestata. Ma questa intemperanza era dovuta alla sua generosità. Ha dato tutta se stessa fino ad ammalarsi. (Mario Fiorentini)
  • Partigiana volontaria ascriveva a sé l'onore delle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo d'avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia dell'abitato della città di Roma. Con le armi in pugno, prima fra le prime, partecipava a decine di azioni distinguendosi in modo superbo per la fredda decisione contro l'avversario e per spirito di sacrificio verso i compagni in pericolo. Nominata vice comandante di una formazione partigiana guidava audacemente i compagni nella lotta cruenta, sgominando ovunque il nemico e destando attonito stupore nel popolo ammirato da tanto ardimento. Ammalatasi di grave morbo contratto nella dura vita partigiana, non volle desistere nella sua azione fino a fondo impegnata per il riscatto delle concusse libertà. Mirabile esempio di civili e militari virtù del tutto degna delle tradizioni di eroismo femminile del Risorgimento italiano. (motivazione del conferimento della medaglia d'oro[2])
  • Tante volte siamo stati vicini, Carla e io, nei momenti che precedevano l'azione. Talvolta era lei che doveva andare al fuoco, talvolta io, talvolta tutti e due insieme. Ma imparavamo sempre più a gustare e a comprendere, in quei minuti, il sapere delle cose belle che chiedevamo alla vita e per le quali ci battevamo. Ogni fatto, in quei momenti, poteva essere l'ultimo; viverlo insieme ne accresceva l'intensità e l'importanza. Poteva essere l'ultima volta... (Rosario Bentivegna)
  • Ci sono esseri come Pietro Micca o Enrico Toti, Jacques-Etienne Cambronne o Jacques de la Palisse, cui tocca in sorte di venir ricordati per un atto, una parola che vale l'intera vita. Per Carla Capponi, le 15.52 del 23 marzo 1944. Ora, giorno e anno dell'attentato di via Rasella.
  • Nonostante la motivazione della medaglia d'oro al valor militare della quale venne insignita recitasse: «Per aver partecipato alle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo di avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia abitata della città di Roma», non si conoscono rilevanti gesta partigiane di Carla Capponi prima del 23 marzo del 1944. E, come vedremo, neanche dopo. A meno di non considerare tali il soccorso che portò a un carrista, ferito al ginocchio durante i combattimenti a Porta San Paolo, tra l'8 e il 10 settembre del '43. O il furto di una rivoltella, una Beretta calibro 9, ai danni di un agente della Guardia nazionale repubblicana.
  • Un bel volto incorniciato da folti capelli neri, lo sguardo vivacissimo, il carattere deciso, prima di "Elena", che fu il suo nome di battaglia, Carla Capponi era chiamata, per il fisico slanciato ed una certa naturale eleganza, l'"inglesina".
  1. Dall'intervista di Cesare De Simone, Roma '44: i patrioti e il popolo, L'Unità, anno XLIX, n. 82, 24 marzo 1972, p. 3.
  2. Riportato in CAPPONI CARLA, quirinale.it.

Bibliografia

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