Caitlin Moran
Caitlin Moran (1975 – vivente), scrittrice e giornalista inglese.
Citazioni di Caitlin Moran
modifica- Come donna leggevo questi libri e dicevo: io sono diversa. Devo proprio essere strana. Ci ho messo un po' per capire che i libri con donne come me non erano ancora stati scritti.[1]
- Dobbiamo reclamare la parola "femminismo". Dobbiamo riaverla indietro.[2]
- Io sono cresciuta in biblioteca in un periodo in cui le biblioteche fuori e dentro facevano schifo, ma contenevano milioni di libri. Oggi quelle che sopravvivono sono tutte dipinte di rosa, hanno i computer e i cuscini, ma solo 20 libri e sono tutti Cinquanta sfumature di grigio. Un libro buono può insegnarti tanto. Leggere è come ingerire un'altra vita.[1]
- La realtà è che si nasce due volte. La prima quando ti partorisce tua madre, la seconda quando decidi tu cosa vuoi essere. E negli anni '90 Londra era il posto perfetto per rinascere.[1]
- Non sono fatta per comandare. Sono fatta per avere idee. Spero che le mie idee vengano utilizzate. Non cambi il mondo dicendo questo è giusto e questo è sbagliato. Basta riuscire a rendere la cosa giusta molto, molto cool.[1]
- Quale parte della "liberazione delle donne" non fa per te?[3]
Ci vogliono le palle per essere una donna
modificaWolverhampton, 5 aprile 1988
Eccomi qui, il giorno del mio tredicesimo compleanno, a scappare a gambe levate dai Bulli del quartiere.
«Ragazzino!»
«Zingaro!»
«Scemo!»
Sto cercando di sfuggire a un gruppo di teppisti che mi dà la caccia nel parco giochi vicino a casa nostra, il tipico parco giochi inglese di fine anni Ottanta. Scordatevi le superfici di sicurezza, il design ergonomico dei giochi o le panchine di legno: qui ci sono solo cemento, cocci di bottiglie di birra ed erbacce.
Corro e so di essere completamente sola; riesco a sentire il respiro che quasi mi si blocca in gola. Mi è capitato di vedere scene simili nei documentari e so bene che cosa sta succedendo: il mio ruolo è quello della «debole antilope separata dal branco», mentre i Bulli sono «i leoni». So anche che di solito non finisce mai troppo bene per l'antilope e che ben presto avrò un nuovo ruolo, quello di «pranzo».
Citazioni
modifica- Per certi versi diventare una donna è un processo simile al diventare famosi. Si passa dall'essere benevolmente ignorate (condizione standard per molti bambini) al diventare adolescenti, e quindi oggetto di fascinazione per gli altri, costrette a subire un bombardamento di domande. (p. 9)
- Ci sono ragazze che provano a fermare il corso della vita: adolescenti che cercano di guadagnare tempo regredendo aggressivamente al momento in cui avevano cinque anni e fingendo di essere «bambine» che vivono in un mondo tutto rosa. Sono quelle che riempiono il letto di peluche per chiarire a tutti che lì non c'è spazio per il sesso, quelle che parlano come delle bimbe piccole per evitare di dover rispondere a domande da adulte. A scuola vedevo alcune mie coetanee che sceglievano di non impegnarsi attivamente nella creazione del proprio destino, ma preferivano diventare delle principesse in attesa di essere «trovate» e sposate. (p. 10)
- Ma la lotta contro se stesse presenta un problema intrinseco: anche quando si ha l'impressione di vincere, in realtà si perde. A un certo punto, sfregiate ed esauste, dobbiamo accettare che si deve diventare donne, e che si è donne, pena la morte. È questa la bruta verità dell'adolescenza: spesso è una lunga e crudele guerra di logoramento. Queste ragazze che si autoflagellano, con le braccia e le cosce intarsiate di tagli da rasoio, vogliono dimostrare a se stesse che vedono il loro corpo come un campo di battaglia. A chi non ha il fegato di usare un rasoio basterà un tatuaggio, o anche solo il colpo secco della pistola per forare le orecchie nei negozi di bigiotteria. Avrà marchiato il suo corpo per gridare al mondo che appartiene a se stessa, per ricordare il punto in cui trova: dentro se stessa. Da qualche parte dentro se stessa. (pp. 10-11)
- La storia, infatti, offre esempi di donne che, a dispetto di ogni previsione, sono riuscite a essere tali, ma scendendo a compromessi o vivendo una vita infelice e irta di difficoltà che le ha portate alla rovina per colpa di una società sbagliata. Mostrare a una ragazza modelli di pioniere come Sylvia Plath, Dorothy Parker, Frida Kahlo, Cleopatra, Budicca, Giovanna d'Arco spesso significa indicarle donne che alla fine sono state costrette a soccombere. I trionfi più agognati rischiano di essere completamente rinnegati in un clima in cui gli altri li considerino minacciosi, sbagliati, ineleganti o (il peggio del peggio per un'adolescente) «da sfigate». Sono poche le ragazze disposte a scegliere di difendere ciò che è giusto, fino in fondo, sapendo che però rimarranno sole. (p. 11)
- Ecco la cosa fantastica di una politica di tolleranza zero applicata alle «Stronzate Patriarcali»: nel XXI secolo non abbiamo bisogno di organizzare cortei contro le modelle taglia 36, una pornografia ridicola, i locali di lap dance e il Botox. Non dobbiamo andare sulle barricate o fare gli scioperi della fame, non dobbiamo gettarci sotto cavalli in corsa (come fece la suffragetta Emily Davison nel 1913). Dobbiamo guardare in faccia queste realtà per un minuto e iniziare a ridere a crepapelle; quando ridiamo siamo bellissime e alla gente piace vederci fare delle grasse risate. (p. 14)
- L'immaginario sessuale dell'adolescenza è il più potente che ci sia e determinerà i vostri desideri per il resto della vita. L'immagine di un bacio su una pancia nuda a quell'età vale milioni di scene di fisting a trent'anni. (p. 36)
- «Là!» indica mia madre. Tutto il divano si sporge per vedere. «Sì, sono DECISAMENTE peli! E anche le tue gambotte iniziano a metter su pelo... stai crescendo, stai diventando una signora!»
Il modo in cui mia mamma dice queste cose mi fa pensare che diventare una signora sia la cosa peggiore che possa capitare a una ragazzina di tredici anni; in più sembra pure che la colpa sia mia. (p. 41) - Oggi credo siano soltanto quattro le cose che una donna adulta e moderna debba possedere: un paio di scarpe gialle (stranamente vanno con tutto), un amico che venga al posto di polizia a pagarti la cauzione alle quattro di mattina, la ricetta di una torta a prova di bomba e una vulva come Dio comanda. Una patatona pelosa, una bernarda barbuta che per la sua proprietaria, quando si mette comodamente seduta en deshabillé, sia come una scimmietta addomesticata in grembo che si possa mandare a borseggiare i vicini in caso di bisogno (un po' come quella dei Predatori dell'arca perduta). (p. 46)
- Provate a camminare nude in una stanza, di fronte a occhi che sanno apprezzare lo spettacolo, e vedrete che lo specchio mostrerà ciò che è giusto ci sia lì: una zona oscura, qualcosa cui non si vuole far del male, una presenza per metà animalesca e per metà segreta cui rivolgersi con riverenza, e che non venne creata soltanto per rimanere immobile mentre i piselli ci si gettano sopra come se fosse la penultima puntata di Giochi senza frontiere. (p. 50)
- Quando si tratta di peli (gambe, baffetti, sopracciglia, mento, capezzolo, inguine) credo che sarebbe utile espandere le relative definizioni nel dizionario estetico, un po' come quando il comico inglese Eddie Izzard definisce il suo travestitismo «diritti d'abbigliamento uguali per tutti». Non è che Eddie voglia indossare tutti i giorni un vestito da donna (capita che non si metta i tacchi a spillo per un anno intero), ma ogni volta in cui un uomo avesse piacere a farlo (o una donna avesse piacere a essere pelosa) non c'è motivo per cui non dovrebbe poter assecondare i suoi desideri. (p. 52)
- A quattordici anni, sono un esperimento scientifico: dentro mi sento completamente rinata. Mi trovo nel mezzo di un'esplosione che negli anni a venire cercherò di replicare in vari modi in discoteca, alle feste, nei gabinetti, investendo parecchio denaro in pillole che mi facciano sentire almeno un decimo di quanto fossi spensierata e ispirata a quel tempo. (p. 55)
- La pelle mi si è lacerata come se fossi cresciuta a dismisura: le smagliature coprono quasi tutte le parti morbide del mio corpo. La pubertà è un leone che mi ha squarciato con gli artigli mentre cercavo di batterlo in velocità. (p. 57)
- Quel che ho io, invece, è una cunt (che in italiano equivale più o meno a «fica»). A volte la chiamo anche «grandi labbra» o «vulva», ma di solito è «fica». È una parola vera, possente, radicata nella storia; mi piace l'idea che la mia uscita di sicurezza sia definita dalla più poderosa parolaccia della mia lingua, perché è questo ciò che è, mie care signore. (p. 60)
- In una cultura in cui qualsiasi cosa riguardi l'universo femminile è ancora associata a strilletti e debolezze di vario genere (pensate alle mestruazioni, alla menopausa o al solo fatto di chiamare qualcuno «femminuccia»), adoro l'idea che «fica» sia una parola suprema e invincibile dalle risonanze mistiche. Sappiamo tutte di avere una «fica» ma non possiamo chiamarla così; la consideriamo troppo potente per essere pronunciata, così come gli ebrei non possono mai pronunciare il tetragramma e devono accontentarsi di «Geova». (p. 60)
- Sono convinta che capire come chiamare i propri genitali sia per una ragazza un rito di passaggio formale tanto importante quanto il menarca o la risoluzione dell'amletico dubbio «salopette sì o salopette no?». (p. 63)
- Un uomo femminista è uno dei prodotti finiti più splendidi dell'evoluzione e dovrebbe ASSOLUTAMENTE stare in piedi sulla seggiola circondato da donne festanti che brindino a lui con lo champagne per poi concupirlo. E, tanto che c'è, potrebbe anche cambiare la lampadina e togliere quella ragnatela dal lampadario. (p. 70)
- L'arte è il tentativo di qualcuno di dirmi qualcosa: sono migliaia le persone che vogliono parlarmi appena apro il loro libro o mi sintonizzo sul loro programma. È come ricevere miliardi di telegrammi con consigli e informazioni importanti: potranno anche essere pessime informazioni o consigli infidi, ma almeno vi danno qualche nozione su come gira il mondo. (p. 71)
- Penso che i libri siano lo strumento più potente perché ogni libro è una somma delle esperienze di vita che possono essere inalate in un giorno solo. [...] Poi scoprite che ogni libro fa parte di una comunità sociale e vi vuole presentare degli amici, come se steste partecipando a una festa in biblioteca senza limiti di orario. (pp. 71-72)
- Dorothy Parker è per me un monumento perché mi parve essere la prima donna divertente nella storia dell'umanità: per noi rappresenta un passo evolutivo fondamentale tanto quanto il pollice opponibile o l'invenzione della ruota. Dopo di lei, negli anni Venti, il vuoto: mi convinco che non esistano donne altrettanto divertenti fino agli anni Ottanta, con il duo comico French e Saunders e Victoria Wood. Dorothy Parker è l'Eva dell'umorismo femminile. (p. 72)
- Non posso fare a meno di notare che la maggior parte delle donne che tengono testa agli uomini sono infelici e propense a morire giovani. Secondo la trita opinione comune, questo fenomeno è dovuto al fatto che intimamente non riescono a gettare il cuore oltre l'ostacolo e a competere ad armi pari con gli uomini. Le donne non sono capaci di affrontare le cose da grandi, e non dovrebbero nemmeno provarci. Ma quando guardo al disfacimento femminile (disperazione, autoflagellazione, scarsa autostima, stanchezza, frustrazione dovuta alla perenne mancanza di opportunità, spazio, comprensione, sostegno o contesto di appartenenza) a me sembra che tutte stiano morendo per la stessa ragione: l'obbligo di vivere nel secolo sbagliato. (p. 73)
- La Greer usa termini come «liberazione» e «femminismo» e io mi rendo conto, all'età di quindici anni, che lei è la prima persona che incontro a non pronunciare queste parole con sarcasmo o tra invisibili virgolette. [...] No, la Greer dichiara «Sono una femminista» in tono perfettamente calmo, logico e ragionato. Sembra la soluzione a un rompicapo che ci ha assillato per anni. Lei lo dice con autorevolezza e orgoglio: quella parola è un premio per i miliardi di donne che hanno combattuto nel corso dell'intera storia dell'umanità. Questo è il vaccino per i fallimenti delle prime pioniere, questa è l'atmosfera che ci terrà tutte in vita nello spazio, la strumentazione che ci mancava: questo è ciò che ci manterrà vive. (pp. 74-75)
- Germaine scrive della donna nello stesso modo in cui gli uomini cantano l'uomo. La descrizione che Bowie dà di Ziggy in «Ziggy Stardust» [...] potrebbe averla tranquillamente usata la Greer per parlare di sé: «È la più figa di tutte e il suo culo è un dono divino». [...] Germaine è nuova, veloce, libera; ride, scopa e non ha paura di mandare a quel paese gli stupidi o chi si comporta in maniera sbagliata, che si tratti di un fidanzato o di un governo. È una donna che si ascolta A TUTTO VOLUME, COME IL ROCK. (pp. 75-76)
- Germaine ha l'inafferrabile velocità dei primi della classe e la schietta spensieratezza di chi è conscio di dire cose che nessuno aveva mai detto prima. Sa di essere il fronte meteorologico di cui tutti parleranno, la tempesta imminente. (p. 76)
- Le donne sono la novità del moderno XX secolo: le ritroviamo ancora fasciate nel cellophane e ben piegate nella loro scatola perché si erano date per morte per tutta la storia dell'umanità. (p. 76)
- Non credo basti usare la parola «femminista» in sé; io voglio affondare la lama e riportare in auge il termine accompagnandolo all'aggettivo «accanita», che rende l'espressione molto più affascinante. Ed è bene che sia così, perché dopo tanti anni in cui è stato considerato un concetto sbagliato deve tornare a essere giusto. L'hanno usato loro per abusare di noi! Torniamo noi a usarlo, ributtandoglielo in faccia! Voglio riappropriarmi della locuzione «accanita femminista» allo stesso modo in cui la comunità nera si è riappropriata della parola «negro». (p. 79)
- Abbiamo bisogno dell'unica parola che sia mai esistita per descrivere il tentativo di «trasformare il mondo in un posto equo per uomini e donne». (p. 80)
- Quando ho poco tempo e ho bisogno di dare un giudizio rapido, uso una mia personale prova del nove per capire se mi trovo di fronte a forme di discriminazione sessuale. Ovviamente il test non è infallibile, ma in genere mi orienta verso la giusta direzione. Quello che dovete fare è porvi questa domanda: «Anche gli uomini lo fanno? Gli uomini si preoccupano per questa cosa? Gli uomini sprecano tempo su questa cosa? Agli uomini viene detto di non farlo perché in tal modo deluderebbero gli altri uomini? Gli uomini devono scrivere dei libri per parlare di queste stupide stronzate che sono soltanto una perdita di tempo? Questa cosa intaccherebbe la sicurezza di Walker Texas Ranger?». (p. 85)
- Agli uomini non viene mai detto che i loro commenti stanno opprimendo altri uomini: si presume infatti che sappiano sopportare benissimo l'idea dell'esistenza di altri uomini che si comportano da bastardi nei loro confronti. Seguendo il loro esempio, anche noi dovremmo riuscire a convivere con l'idea che esistano altre donne che si comportano da stronze nei nostri confronti. (p. 86)
- Con ogni probabilità LA CORTESIA è il più grande contributo che ognuno di noi possa dare ogni giorno al resto della vita sulla Terra. (p. 86)
- Ma non dimenticate che la domanda «Anche gli uomini lo fanno?» è un buon sistema per identificare le spore di misoginia presenti in un terreno che altrimenti potreste ritenere ottimo per costruirci sopra una filosofia. (p. 86)
- Ricordate, lo scopo del femminismo non è creare un tipo particolare di donna. L'idea che esistano «tipi» di donne intrinsecamente sbagliati o giusti è ciò che ha rovinato il femminismo. (p. 87)
- Non vi può essere sfuggita la coincidenza che il declino della potenza britannica sia andato di pari passo con il restringimento delle mutande femminili. Quando la biancheria intima delle donne andava dal mento alle dita dei piedi, il sole non tramontava mai sull'impero britannico; ora che la donna inglese media riesce a infilare una settimana di mutande dentro una scatola di fiammiferi, il nostro dominio supera a stento il Baliato di Jersey e l'Isola di Man. (pp. 96-97)
- «Non si deve scendere in pista e... agitarsi a casaccio», mi dice fumando una sigaretta. «Cerca di raccontare sempre una storia». È un consiglio saggio, e Matt è il campione dei consigli saggi; eccone un altro: «Non comportarti mai da completa cogliona». Una volta che qualcuno te l'ha detto, è incredibile vedere quante siano le persone a cui probabilmente nessuno l'ha mai suggerito. (p. 102)
- Sono pienamente consapevole del significato della parola «grassa», ossia di ciò che davvero intenda una persona quando la pensa o la pronuncia. Non è un innocuo aggettivo qualificativo come «mora» o «trentaquattrenne». È un insulto. Un'arma. È una sottospecie sociologica. È un'accusa, una stroncatura e un rifiuto. Quando Matt chiede se a scuola mi chiamavano cicciona sta già immaginando, compatendomi, come riuscissi a vivere negli inferi della gerarchia scolastica in compagnia dei due immigrati asiatici (in fondo siamo ancora nel 1986, a Wolverhampton), del balbuziente, del testimone di Geova guercio da un occhio, del disabile, del ragazzo palesemente gay, e di quello così magro che tutti gli chiedevano sempre se Bob Geldof fosse già passato a casa sua. (p. 105)
- L'idea che non siamo obbligate a essere grasse e che le cose potrebbero cambiare è da noi lontanissima, irrealizzabile. Siamo grasse adesso e saremo grasse per sempre, e non dovremo mai usare quella parola, stop. È un po' come il cappello parlante di Harry Potter: noi siamo stati smistati nella Casa dei Grassi e lì dovremo rimanere fino alla morte. Grassa è la nostra razza, la nostra specie, il nostro modo di essere. (p. 106)
- No, Matt, a scuola non mi chiamavano cicciona; caro Matt, bello e ignaro, passerò i miei prossimi due anni a starti dietro come una cocainomane in crisi d'astinenza, arriverò al punto di rubarti un maglione per tenerlo sotto il cuscino, e sarò l'inconsapevole causa della rottura con la tua ragazza perché rivelerò un segreto terribile alla persona sbagliata e il nostro piccolo cerchio di amici esploderà come una supernova. Mi chiamavano cicciabomba. (p. 107)
- L'accusa di essere grassi ha rimpiazzato i termini «gay» e «lesbica» che un tempo erano la tipica presa in giro da parco giochi. È l'insulto Hiroshima: la bomba che dopo essere stata sganciata determina la resa immediata dell'accusato. Chi confuti una tesi impeccabile ribattendo: «Sì, ma almeno non sono grasso», fa parte degli Alleati, e ha vinto. (p. 108)
- Dopo una vita di considerazioni sull'argomento, ritengo di essere riuscita a identificare una definizione pratica di che cosa s'intenda con un peso «normale», giusto, consigliabile, di che cosa sia «grasso» e che cosa sia «non grasso». Ecco il risultato: «Che abbia una forma umana». Se avete una forma riconoscibile, chiaramente umana (il tipo di fisico che una ragazzina di dieci anni abbozzerebbe se le fosse chiesto di disegnare una persona in meno di un minuto) allora state bene. (p. 109)
- Gli eccessi alimentari sono la droga preferita dalle persone che devono assistere qualcuno, ed ecco il motivo per cui è considerata la meno affascinante di tutte le dipendenze. È un modo di avvelenarti pur rimanendo completamente efficiente perché sei costretto a farlo. La gente grassa non indulge nel «lusso» della propria dipendenza, perché ciò li renderebbe inutili, caotici o addirittura un peso per gli altri; preferisce autodistruggersi lentamente in un modo che non arreca fastidio a nessuno. Ed è questo il motivo per cui è la droga preferita dalle donne. (p. 116)
- A oggi non posso fare a meno di notare che, in una società ossessionata dal grasso, così decisa nel definirlo e così risoluta nel condannarlo, le uniche persone che non ne parlano sono le sole che dovrebbero farlo. (p. 117)
- Signore mie, sul luogo di lavoro noi abbiamo uno svantaggio pazzesco. Gli uomini nostri pari civettano in continuazione con i capi. Il luogo di lavoro medio assomiglia a una versione un poco edulcorata di Brokeback Mountain. Il concetto di bonding, di affiatamento del gruppo, è in realtà amoreggiamento reciproco. I maschi civettano giocando a golf, andando alle partite di calcio, chiacchierando al gabinetto e ogni volta che dopo il lavoro vanno al bar o al night club. Loro si affiatano sfruttando l'affinità biologica; se per voi l'unico modo di affiatarvi è superare la differenza biologica, lanciatevi a capofitto. (p. 123)
- In genere chi bacia meglio è colui che sa conversare meglio, insomma chi presta attenzione a ciò che stai dicendo e risponde a tono. (p. 125)
- Di questi tempi nei confronti delle donne si è diffusa una quantità sproporzionata di atteggiamenti orribili, vaghi, indistinti e quasi sempre nascosti. Combatterli vorrebbe dire cercare di contrastare l'odore di marcio e di umido che c'è in cantina armate soltanto di un coltello da pane. (p. 130)
- L'idea che in fin dei conti siamo tutti degli idioti benintenzionati che cercano di darsi da fare rappresenta l'alfa e l'omega della mia visione del mondo. (p. 132)
- La maggior parte della discriminazione sessuale è imputabile a uomini abituati a considerarci sconfitte. Ecco dove sta il problema: abbiamo una cattiva reputazione perché gli uomini sono abituati a vederci arrivare seconde o a essere squalificate. (p. 133)
- Fino a oggi quasi tutto è stato creato dagli uomini e rifiutare risolutamente questa realtà rende tutto più complicato e oneroso nel lungo termine. Fingere che le donne abbiano sì contribuito alla storia dell'umanità ma non siano riuscite a farlo bene tanto quanto i maschi - ossia che l'emancipazione femminile si sia già realizzata e però non abbia funzionato bene -, ribadisce il pregiudizio che le donne non siano brave quanto gli uomini, punto e basta. È una conferma del fatto che lo status quo vada mantenuti così com'è da sempre, ossia con il mondo ossequiosamente disegnato in base alle priorità, alle esigenze, agli sghiribizzi e ai successi maschili. Le donne hanno perso la partita senza nemmeno avere provato a giocare; la verità è proprio questa, non ci abbiamo nemmeno provato. Ce ne renderemo conto quanto ci proveremo. (pp. 134-135)
- Diritto di voto non significa vera eguaglianza. È difficile vedere il soffitto di vetro perché è fatto di vetro ed è quindi virtualmente invisibile; ciò di cui abbiamo bisogno è che sopra il soffitto volino più uccelli che ci scacazzino per bene, così da farcelo vedere meglio. (p. 137)
- La mia esperienza mi suggerisce che centomila anni di dominazione maschile si fondano sul semplice fatto che agli uomini non viene la cistite. (p. 137)
- Non è una coincidenza il fatto che gli sforzi verso l'emancipazione femminile siano dovuti necessariamente passare per il doppio binario dell'industrializzazione e della contraccezione: le macchine ci hanno reso uguali agli uomini nel lavoro e la pillola ci ha consentito di poter esprimere il nostro desiderio liberamente. (pp. 137-138)
- Ai vincitori spettarono l'istruzione, il dibattito e il concetto di «normalità». Essere un uomo, così come le esperienze maschili, erano considerati «la norma»; tutto il resto era altro. E in quanto «altro», le donne (prive di città, filosofi, imperi, eserciti, politici, esploratori, scienziati e ingegneri) erano le perdenti. (p. 138)
- Qualsiasi rivoluzione che voglia dirsi tale deve comunicare con il maggior numero di persone possibile. (p. 140)
- Oltre alla biancheria intima, un altro dei mestieri della donna è l'amore. Le donne devono innamorarsi. Dopo la guerra e la malattia, la disgrazia più grande che possa capitare a una donna è non essere amata, e quindi non voluta. (p. 146)
- La lingua ci dice esattamente ciò che pensiamo della donna senza legami: sta tutto nella differenza tra «scapoli» e «zitelle». Gli scapoli hanno un'intera vita davanti per potersi divertire, mentre le zitelle devono giocarsi tutto e subito. La domanda di mercato indica il valore di una donna: se sei single significa che non ti vuole nessuno e quindi, se questo stato di cose si protrae nel tempo, diventi meno desiderabile. Considerata l'importanza che viene attribuita ai legami, c'è poco da stupirsi che le donne siano ossessionate dall'idea dell'amore e delle relazioni sentimentali. (p. 147)
- All'epoca delle nostre prime relazioni sentimentali, io e le mie amiche sperimentiamo l'esistenza di un paradosso spossante: in amore nulla è come sembra. Infatti la situazione-tipo prevede un uomo follemente innamorato disposto a trascorrere il resto della vita con voi, il quale però ve lo farà capire in maniera così sottile che solo se siete talentuose e determinate potrete intuirne gli intenti. È un rompicapo in stile Codice da Vinci: se un uomo vi porta fuori a cena, vi tromba e poi non vi chiama più per due settimane, sta cercando di mettervi alla prova chiedendovi di risolvere un enigma che voi, grazie a un po' di algebra, ad antichi papiri e ore di lagna telefonica con le amiche, riuscirete a decifrare per portarvi a casa il premio finale: il matrimonio. (p. 151)
- Sto parlando di Courtney a tutti, sono diventata di una noia mortale. Mi sembra che la nostra relazione sia un gigantesco puzzle, un enorme quiz esistenziale ed emotivo che riuscirò a risolvere con la giusta dedizione al fine di trovare il risultato: l'amore vero. In fondo abbiamo tutti gli ingredienti per essere una coppia perfetta: lui è un uomo, io una donna e viviamo nella stessa casa. Tutte le altre cose (compatibilità, cortesia, tenerezza, il reciproco desiderio di non volersi uccidere a vicenda) sono minuzie che posso tranquillamente mettere a punto riflettendoci sopra. (p. 153)
- Il problema è che sono io il problema. Courtney è infelice e lo so, lo sento. Quando finalmente riuscirò a trovare il modo di renderlo felice tutto andrà a posto. È come se lui si fosse rotto e io dovessi aggiustarlo: solo allora inizierà la fase positiva della nostra relazione. Questa è la fregatura iniziale dell'amore, quella in cui tocca a me spacchettare le cose brutte per farlo diventare finalmente ciò che lui è realmente. In segreto mi ama e la mia caparbietà riuscirà a dimostrarlo. Se la cosa non funziona è soltanto perché io non ci ho provato abbastanza. (p. 154)
- Le persone che ci circondano sono degli specchi, ragiono osservando il cane che sguazza nel lago. Ti vedi riflesso negli occhi degli altri. Se lo specchio è veritiero e liscio, riesci a vedere il vero te stesso: ecco il modo in cui impari a conoscerti. Si può essere una persona diversa osservando persone diverse, ma ciò di cui hai bisogno per conoscerti meglio è un feedback. Se però lo specchio è rotto, o incrinato, o deforme (e nel frattempo faccio un altro tiro), il riflesso che vedo non sarà quello giusto ma io penserò di essere quel riflesso. (p. 157)
- Sono convinta che si possa giudicare se un posto è culturalmente sano per le donne quando i gay iniziano a frequentarlo. (p. 175)
- I matrimoni non portano nulla di buono alle donne. Sono un buco nero che genera spreco e disperazione, i cui effetti si riverberano in modo pesante contro le persone che più li amano: noi. Il nostro amore nei loro confronti è una brutta cosa, non ci fa per niente bene. Vi avverto: è una storia destinata a finire male che ci farà sentire tradite e sole. (p. 179)
- Il matrimonio diventa un empio miscuglio tra il lavoro che vi tocca fare in un giorno di vacanza e una sessione di terapia famigliare, e andrebbe quindi affrontato con sereno stoicismo, cupa determinazione e un forte tasso alcolico. (p. 181)
- Di base i matrimoni sono feste cui le spose invitano i mariti per cortesia, e solo dopo aver deciso il tris di tortini al cioccolato da inserire nel menu. Le donne iniziano a pensare al gran giorno quando hanno cinque anni, accidenti, quando ancora non hanno idea di chi sposeranno, se non un tizio con il corpo di Ken e la faccia non meglio identificata. A quell'età, l'unica cosa che i ragazzi riescono a immaginare è il modo in cui segneranno il gol decisivo ai Mondiali di calcio suonando al contempo l'assolo di chitarra di «November Rain» dei Guns N' Roses. (pp. 181-182)
- Ogni conversazione con il sesso opposto sottintende quella minuscola domanda dal potenziale atomico: «Ciao. Sei tu quello giusto?». (p. 183)
- Oltre a far ubriacare mia madre a furia di White Russian, il modo più rapido e semplice per ammazzare un bel momento è caricarlo di un'aspettativa fortissima. (p. 191)
- Tutti i matrimoni si condensano nel voler assomigliare a Michael Jackson nei giorni peggiori della sua follia: pretendere di essere un VIP per un solo giorno pazzescamente costoso. Ma noi sappiamo il motivo per cui i VIP possiedono delle scimmiette addomesticate, delle scarpe ridicole, lo scheletro dell'uomo elefante, un luna park e piscine a forma di chitarra: DENTRO STANNO MORENDO, STANNO FISSANDO IL VUOTO. Per un secondo hanno intravisto la loro pochezza, la loro inutile miseria in un universo infinito e hanno risposto assumendo qualcuno che gli pieghi la cannuccia quando bevono una bibita. (p. 192)
- Vengo dalle scene del grunge e del Britpop, quando ci si vantava di quanto poco fosse costato un vestito («Tre sterline! In una svendita!» «Accidenti, mica poco! Io ho trovato questa giacca nella spazzatura. Ce l'aveva ancora addosso un morto che giaceva sotto la carcassa di una volpe.») e si era orgogliosi che «prepararsi a uscire» volesse dire lavarsi la faccia, infilare i Dr. Martens o le scarpe da ginnastica e mettersi un po' di smalto sul bus che andava in città. (p. 197)
- Tutta la mia vita l'ho passata in scarpe da ginnastica o stivali bassi, ma capisco che per sfruttare al meglio i miei vent'anni dovrò uscire e procurarmi dei tacchi. Le riviste di moda che leggo si schierano all'unanimità in favore dei tacchi che, insieme con la capacità ad allattare e i cromosomi XX, paiono una caratteristica non negoziabile dell'essere donna. Si suppone che le donne adorino i tacchi più di quanto adorino il proprio corpo o i propri pensieri, e si presume che abbiano molte più scarpe che corpi o pensieri. (p. 197)
- Come il 90% degli acquisti femminili di oggetti assolutamente importabili, nella mia testa pensavo: Questa è la cosa in cui Kate Moss s'infilerebbe per andare a prendere le sigarette. (p. 200)
- Nel corso di questi lunghi anni ho capito ciò che tutte noi intuiamo immediatamente la prima volta in cui saliamo sui tacchi: al mondo ci sono solo dieci persone di natura superiore che dovrebbero portarli, sei delle quali sono drag queen. Il resto di noi deve semplicemente...rinunciare. Arrendersi. Ammettere una buona volta ciò che la natura ci sta dicendo da tempo: è impossibile camminare sui tacchi. (pp. 200-201)
- Si pensa che i matrimoni siano una tranquilla ed elegante riunione di signore al massimo dello splendore, una delle migliori occasioni dell'anno per fingere di essere agli Oscar e per indossare i tacchi a spillo. In realtà sembra di assistere al ritrovo annuale delle imitatrici di Tina Turner: donne che oscillano pericolosamente su dirupi cui non sono abituate; carne di piede che straripa dal raso stretto e ingeneroso; dita dei piedi anestetizzate per giorni e giorni. (p. 201)
- Le donne portano i tacchi perché credono che rendano le gambe più snelle, fine della questione. Pensano che camminando sulle punte dei piedi riusciranno a fare passare le gambe da una taglia 46 a una 42, ma ovviamente così non è. In natura esiste già l'esempio di una gamba grassoccia che poggia su un punto minuscolo: la zampa di maiale. (p. 202)
- Prima di buttare cinquecento sterline in un paio di scarpe firmate, voglio essere certa che quando le calzerò potrò: a) ballare «Bad Romance» e b) fuggire a gambe levate se incontro un assassino che decida improvvisamente di assalirmi. Questo è il minimo che chiedo a un paio di scarpe. Ballare e salvare la pelle. (p. 203)
- Ovviamente l'altro accessorio per cui si suppone che le donne vadano pazze è la borsa. Ne conosciamo bene il motivo: oltre alle scarpe, una borsa è l'unico capo di abbigliamento che una persona grassa può indossare senza problemi. A nessuno è mai venuto un attacco di panico da dismorfia corporea provandosi una borsa. (p. 204)
- Il fatto che io non riesca a trovare un punto d'incontro con le cose più eleganti della vita (tranne che con una shopping bag con complesso di superiorità) è un'ulteriore prova della mia appartenenza alle classi sociali inferiori. (p. 206)
- Quando una donna entra in una stanza, la mise è la sua prima dichiarazione, ancora prima di aprire bocca. Le donne vengono giudicate in base a quello che indossano in una maniera che gli uomini riterrebbero incomprensibile. Un uomo non ha mai dovuto provare quell'agghiacciante momento in cui qualcuno osserva il vostro abbigliamento e poi inizia a parlarvi guardandovi dall'alto in basso, o fissandovi con uno sguardo da pervertito, oppure presumendo che non riuscirete a «comprendere» il contenuto della conversazione (che si discuta di questioni lavorative, di educazione dei figli o di argomenti culturali). (p. 208)
- Il modo in cui le donne si vestono viene di solito scambiato per la loro essenza e quindi va spesso a dettare il loro futuro. (p. 209)
- Quando alla mattina una giovane va in ansia perché non sa che cosa mettersi, non è perché voglia diventare un'icona internazionale di stile. [...] No, ciò che stiamo cercando di fare è capire se tutti oggi «comprenderanno» il significato del nostro abbigliamento; se stiamo «dicendo» la cosa giusta in questa conversazione scandita dalle sfumature. La moda è soltanto il canovaccio di questa conversazione [...]; si presume infatti che le donne producano una versione personalizzata della moda, si suppone che ciò che indossiamo traduca quello che sentiamo nel nostro intimo. (p. 209)
- Quando una donna dice: «Non ho niente da mettermi!» ciò che davvero intende è: «Qui non c'è nulla che vada bene per incarnare la persona che voglio essere oggi». (p. 210)
- Tutto ciò che vediamo da Zara, Mango e H&M è fatto per una donna completamente immaginaria, è un'idea dentro la testa dello stilista che decidiamo di comprare se, tanto per dire, ci piace al 70%. Questo è il massimo cui possiamo aspirare. Di rado, quasi mai, troviamo qualcosa che ci piaccia al 100% e che desideriamo veramente (anche se mai e poi mai lo ammetteremmo a noi stesse). (p. 211)
- Non sono una stupida, sono sempre stata consapevole della differenza che corre tra le modelle e le donne normali: le donne normali comprano i vestiti che le fanno apparire belle mentre l'industria della moda compra le modelle per fare apparire belli i vestiti. (p. 213)
- La moda è riservata a coloro che vivono nell'immobilità e vengono continuamente fotografati; gli abiti invece sono destinati alla vita vera, e la vita è l'unico posto in cui una donna possa imparare come vestirsi sentendosi felice. (p. 214)
- Il dolore ci trasforma. Il dolore è la lezione più veloce che apprenderemo in vita nostra. (p. 224)
- Sapete che cosa si ottiene da ventisette punti nella pancia o da lacerazioni perineali che vanno dal secondo al settimo grado. Un enorme senso di prospettiva. Non lo dico per masturbazione mentale (tanto per usare un tecnicismo) ma perché credo che in molti casi ventiquattro ore di lancinante dolore ci aiutino a risolvere gli aspetti che crediamo più ci affliggano nella vita moderna. È come assistere a un incendio di tutte le sterpaglie mentali o al disboscamento delle erbacce emotive. (p. 224)
- In due parole, una dose di dolore così intensa ci trasforma da ragazze a donne. [...] Mi sono trasformata quasi completamente se ripenso a chi ero prima del mio primo parto. La dilatazione della cervice ha aperto le mie «porte della percezione» più di qualsiasi droga avessi mai preso. (p. 225)
- Molti considerano l'interpretazione di Marlon Brando in Apocalypse Now uno dei capolavori della maestria recitativa di Hollywood. Io sono intimamente convinta che abbia messo a punto la parte basandosi sull'esperienza di accudire per una settimana due gemelli di tre mesi con molte coliche. (p. 226)
- Costosissime bottiglie di champagne d'annata, mongolfiere che volano sopra le migrazioni degli gnu, scarpe di pelle di squalo con un diamante sulla suola, Parigi: questi sono tutti premi di consolazione per coloro che non hanno avuto accesso a un esserino leggermente sudicio con cui poter giocare e divertirsi, completamente drogate dall'esperienza dell'amore folle. (p. 227)
- Nell'agenda quotidiana dei bambini la dimostrazione dell'amore è un impegno tanto pressante quanto mangiare o cantare. È come se fossero stati colpiti da Cupido. In cambio voi vi osservate da lontano e rimanete allibite dalla quantità d'amore che producete: è infinita. L'adorazione nei vostri confronti potrà forse logorarsi un po' ma non cesserà mai e sarà cibo per la vostra mente, il vostro corpo e il vostro cuore. (pp. 227-228)
- E la semplicità di questo processo incute soggezione. Tutto ciò che volete sapere, l'unica domanda che davvero conta è: i bimbi stanno bene? Sono felici? Sono al sicuro? E fino a quando la risposta è sì, non v'importa di null'altro. (p. 228)
- L'aforisma secondo cui «se vuoi che venga fatto qualcosa, chiedi a una donna molto impegnata» è un riconoscimento diretto dell'efficienza cui vi costringe l'addestramento militare dell'essere genitori. (p. 231)
- Se decidete di assumere un genitore nel vostro ufficio, dovrete mettere in conto che ogni tanto sarà costretto a stare a casa per curare il bambino con la febbre gialla; ma scommetto sarà l'unica persona che sa come far ripartire una fotocopiatrice rotta e riesce ad abbozzare un piano strategico semestrale nel tempo che l'ascensore impiega a portarvi dal ventiquattresimo piano alla reception. (p. 231)
- Ogni contrazione sarà un compito a sé stante, un'esperienza lunga un minuto che spaventerebbe chiunque non fosse preparato a riceverla; ma io conosco la verità che rende il tutto sopportabile, ossia che non c'è nulla di storto o di sbagliato, tutto dovrebbe essere com'è. A differenza degli altri dolori che affliggono l'umanità, questo non segnala il fatto che ci sia qualcosa di storto, ma, anzi, che tutto stia andando per il meglio. (p. 233)
- E se una donna dicesse che non vuole avere figli, il mondo si comporterebbe in maniera ancora più strana. «Ooohhh, mai dire mai!» risponderebbe, come se capire di essere o non essere il tipo di persona che desidera produrre dentro le proprie viscere un intero essere umano fatto di sesso e cibo, per poi disegnare il resto della vita intorno alle sue esigenze, sia una decisione da prendere su due piedi. (p. 237)
- La ragione per cui non si domanda agli uomini se vogliono avere dei bambini, ovviamente, è perché gli uomini possono continuare ad avere una vita normale anche dopo un figlio. Questo è il modo in cui funziona ancora il mondo. Milioni di uomini ammirevoli scelgono di non farlo, naturalmente, e decidono di affrontare l'esperienza mano nella mano con la loro partner e di dividere equamente a metà la privazione del sonno, le paura, la stanchezza e l'assenza di rimorso dei loro strilli da aquilotti. Questi uomini mi piacciono. Ma quando alle donne viene chiesto se intendono fare figli, sotto sotto si intende un'altra domanda più oscura e più specifica. Se ascolti molto, molto attentamente [...] riesci a sentirla: «Quando ti deciderai a mandare tutto a quel paese per avere dei bambini?» Quando intendi sacrificare almeno quattro anni della tua carriera, a un'età in cui il fascino, la creatività e l'ambizione sono al top, per avere un bambino? Quando metterai in stand-by la genialità e il potere, com'è bello e giusto che sia, per soddisfare minuto per minuto i bisogni di quell'inerme creatura che è il tuo neonato? (pp. 240-241)
- Quando la gente chiede a una donna che lavora: «Quand'è che avrai un bambino?» la vera domanda è: «Quand'è che te ne vai?» (p. 241)
- Uomini e donne sono parimenti convinti di una verità sbagliata: che le donne senza figli siano persone incomplete. [...] È come se una donna venisse considerata bambina finché non ha figli, o come se possa ottenere lo status di «adulta» soltanto dando vita a una persona più giovane; che le lezioni impartite dalla maternità siano impossibili da replicare e che ogni tentativo di raggiungere tale grado di saggezza e autorealizzazione sia un'alternativa povera e scadente. (p. 242)
- Temo che parte della credenza secondo cui possiamo diventare adulte potenti solo quando abbiamo dei figli [...] sia dovuta al fatto che le donne vengono svalutate quando iniziano a invecchiare. Si crede che il picco della nostra rispettabilità e della nostra sapienza debba essere raggiunto negli anni in cui siamo ancora fertili, gestiamo una famiglia e spesso anche un lavoro. [...] Il vostro momento d'oro è negli anni in cui state dietro ai bambini: l'implicita discriminazione sessuale, e la stupidità, che si nascondono in questa convinzione mi sbalordiscono. (pp. 242-243)
- Perché un bebè non solo porta al mondo una serie di problemi, ma toglie anche una persona utile al mondo. Almeno una, spesso due; quando si hanno dei bimbi piccoli, per anni non si può più partecipare alle forze della rivoluzione e della giustizia. (p. 243)
- Vale la pena ricordare che avere un figlio non è di importanza vitale per voi in quando donne. Sì, potreste imparare migliaia di cose interessanti sull'amore, sulla forza, sulla fede, sulla paura, sui rapporti umani, sulla fedeltà genetica e sull'effetto che le albicocche esercitano su un apparato digerente ancora immaturo, ma d'altro canto non credo esista una sola lezione impartita dalla maternità che non possa essere appresa altrove. (p. 245)
- Nessuno ha mai sostenuto, nemmeno per un momento, che gli uomini senza figli si siano persi qualche aspetto fondamentale della propria esistenza, oppure che senza l'esperienza della paternità fossero più poveri o zoppi. (pp. 245-246)
- Ogni donna che scelga, con gioia, ponderatezza, calma e desiderio, di non avere figli rende all'umanità un enorme favore sul lungo termine. Abbiamo bisogno di più donne cui sia consentito di confermare il proprio valore in quanto persone, e non in quanto produttrici di altre persone. (p. 246)
- Per quanto la maternità sia una vocazione incredibile, non ha più valore di quanto ne abbia una donna senza figli al top delle proprie capacità e dei propri talenti. Pensarla diversamente tradisce la convinzione che essere una donna pensante, creativa, produttiva e soddisfatta non basti, e che nessuna azione equivarrà mai al dare alla luce un bambino. (p. 246)
- Nel XXI secolo non ci si può ancora concentrare solo sulle persone che potremmo creare e su ciò che loro potrebbero fare; bisogna pensare a ciò che siamo noi e ciò che facciamo noi. (p. 247)
- Ecco il motivo per cui ogni femminista moderna che si rispetti dovrebbe essere interessata ai pettegolezzi che fioriscono intorno alle celebrity; oggigiorno il gossip è l'ambito principale in cui formare la nostra percezione della donna (o comunque questa è la mia scusa per comprare le tipiche riviste che si trovano dal parrucchiere). (pp. 248-249)
- Le donne che, in un mondo fondato sulla discriminazione sessuale, costruiscono la propria fortuna sfruttando proprio la discriminazione sessuale si comportano come un Governo di Vichy con le tette. Porti la quarta, sei depilata fino al midollo e fingi orgasmi su orgasmi? Allora stai collaborando con un regime decadente e corrotto. (p. 253)
- Dopo la liberazione, le persone psicologicamente sottomesse per secoli non iniziano subito a produrre opere gloriose, potenti e volitive. [...] Le vittime devono comprendere quale sia stata la loro relazione con l'aggressore e arrivare a costruire nuove strutture di comando, o almeno capire se hanno bisogno di strutture di comando. Occorrerà condividere le esperienze vissute per comprendere: a) ciò che è «normale» e b) se si è interessati a essere normali. E soprattutto servirà tempo per comprendere ciò in cui davvero credono, ciò che pensano. Se tutto quello che è stato loro insegnato è la storia, i costumi e il ragionamento dei vincitori, bisognerà aspettare a lungo prima che realizzino quali «pezzi» vogliono mantenere e quali vogliono buttare; quali pezzi siano insidiosi e quali recuperabili. (p. 255)
- La musica pop è l'avanguardia culturale del cambiamento sociale. Considerata la sua immediatezza, la sua influenza e il suo potere (non ci vogliono due anni per arrivare nelle sale, come nel caso dei film; non occorre scrivere per tre anni, come per i libri; non ci sono campagne decennali, come in politica), qualsiasi pensiero o sentimento fermenti nell'inconscio collettivo può scalare le classifiche internazionali nel giro di due mesi. (p. 255)
- Lady Gaga, dal canto suo, è una ragazza della classe media che ha conquistato la celebrità dopo aver composto tre delle migliori canzoni pop del XXI secolo («Poker Face», «Just Dance» e «Bad Romance») e con così tanto da dire che ha perfino dovuto ingaggiare un collettivo artistico-multimediale (la «Haus of Gaga») che la aiutasse a esprimersi al meglio. Lady Gaga sostiene l'uguaglianza dei gay, la parità dei sessi, l'attivismo politico, la tolleranza e il diritto a essere ubriachi mentre ci si lancia in grandiose figure di danza. Senza dimenticare il diritto a mettersi un'aragosta in testa. (pp. 256-257)
- L'esercito di milioni di fan che si fanno chiamare «mostriciattoli» la definiscono «mamma mostro»: Lady Gaga è la chioccia del loro mondo alternativo. La grande novità della donna Gaga non sta nella teatralità, nel talento o nel successo, ma nel fatto che lei è riuscita a usare questi elementi per aprire un nuovo spazio ai seguaci della musica pop. Ed è proprio questo aspetto militante, l'essere amica di gay e «mostri», che risulta il lato di lei più eccitante. Per le donne trovare un luogo di dibattito ove non si venga giudicate bensì si dimostri reciproca empatia è fondamentale quanto il diritto di voto. Non occorre soltanto la giusta legislazione, ma anche la giusta atmosfera per costruire prima il nostro canone e poi le nostre città e gli imperi. (pp. 261-262)
- La nostra visione della maternità è talmente idealizzata e vaga (incarnata da una gentile donatrice di vita) che il pensiero di una madre che ponga dei limiti alle proprie capacità di allevare una creatura o addirittura la rifiuti risulta osceno. Le madri devono fingere di essere creature amabili e protettive nei confronti di ogni tipo di vita, per quanto presunta o embrionale essa sia. Nel nostro intimo siamo ancora convinti che le mamme dovrebbero essere preparate a dare, dare, dare fino a esaurimento scorte. La madre straordinaria, quella perfetta, dovrebbe portare a termine ogni gravidanza (indipendentemente dall'effetto che tale scelta possa avere sulla sua esistenza) perché il suo amore basterà per tutti e per tutto. (p. 273)
- Perché una donna incinta, che ha il controllo della vita, non dovrebbe avere anche il controllo della non-vita? In altre culture questo è un concetto accettato: la dea Kali degli induisti è sia madre di tutto l'universo sia divoratrice di tutte le cose; è vita e morte al tempo stesso. Per i Sumeri, Inanna era la dea dell'amore e della fecondità ma aveva il suo alter ego nella sorella Ereshkigal, dea dell'oltretomba. Se la biologia impone alle donne di ospitare, custodire, allevare e proteggere una vita, perché non dovrebbe consentire loro di porvi anche fine? (pp. 273-274)
- Ciò che mi turba è l'idea che dopo un aborto una donna non sia più considerata tale e che di certo non possa più essere madre; mi turba l'idea che la fondamentale essenza della femminilità e della maternità sia il sostegno della vita a tutti i costi e in qualsiasi situazione. (p. 274)
- La maternità è un gioco cui si deve partecipare con energia, volontà e felicità al massimo grado. Nella vita la cosa essenziale è essere stati voluti, desiderati e accuditi da una madre ragionevolmente sana e stabile. Confesso che l'aborto è stata una delle decisioni meno difficili della mia vita; non vorrei apparire irrispettosa nell'ammettere che ho impiegato più tempo a scegliere il piano di lavoro della cucina che a decidere se volevo diventare responsabile di un altro essere umano. Sapevo infatti che quell'esperienza, ossia impegnare nuovamente la mia vita nei confronti di un'altra persona, avrebbe potuto stroncare le mie capacità, nonché la concezione che ho di me stessa, della persona che voglio essere e di ciò che voglio fare. (p. 274)
- Purtroppo, per mia natura non sono molto propensa al rischio: non punto nemmeno una sterlina al Lotto, e tanto meno scommetterei su una gravidanza. La posta in palio è troppo alta, altissima, e proprio non potrei dirmi d'accordo con una società che mi obbligasse a scommettere sulla possibilità di amare sotto coercizione. (p. 275)
- La nostra specie ha ampiamente dimostrato di non credere nella sacralità della vita. Facciamo spallucce di fronte a guerre, carestie, epidemie, dolore e condizioni di povertà permanente: non mi pare possiamo dire di aver fatto molti sforzi per trattare la vita umana come una cosa davvero sacra. (p. 275)
- Ciò che credo sia davvero sacro, e molto più utile in questo dibattito, è assicurarsi che la Terra ospiti il minor numero possibile di persone con atteggiamenti squilibrati o distruttivi. Porre termine a una gravidanza entro le prime dodici settimane è, sotto ogni punto di vista, una scelta incredibilmente più morale di quanto lo sia far arrivare nel mondo un bambino indesiderato. Sto parlando di quei figli infelici e non voluti che poi si trasformano in adulti arrabbiati e provocano la stragrande maggioranza delle miserie dell'umanità. (p. 275)
- Suppongo di essere stata condizionata a credere che il mio corpo o il mio subconscio si sarebbero arrabbiati con me per non avere avuto il bambino e che la loro opinione sarebbe stata superiore, più naturale e morale rispetto alla decisione razionale presa dalla mia mente. Che le donne siano fatte per avere bambini e che debbano piangere e pentirsi per ogni figlio mai nato vivendo sempre nella colpa. Ciò che invece vedevo io a quel tempo, e ciò che vedo ancora oggi a distanza di anni, è la storia di milioni di donne che provano a rimediare a un errore che rischiava di disfare la loro vita, e che continuano poi a procedere in silenzio, tranquille e grate. Ciò che vedo io è un'azione la cui conseguenza può essere solo positiva. (p. 284)
- Diciamocelo: il problema è che tutti noi stiamo morendo, tutti, nessuno escluso. Ogni giorno che passa s'infiacchiscono le cellule, le fibre si sfilacciano e il cuore si avvicina all'ultimo battito. Il vero costo della vita è la morte, e noi sperperiamo i giorni come se fossimo milionari: una settimana qui e un mese là, viviamo da leoni fino a quando le ultime monetine rimaste saranno quelle posate sugli occhi. (p. 289)
- A me piace l'idea di stare per morire. Non c'è nulla di più stimolante che svegliarsi la mattina e dire: «WOW! FINISCE TUTTO QUI, DAVVERO, NON C'È ALTRO!». È un'affermazione che fa aguzzare la mente in maniera sopraffina. Vi fa amare con la massima intensità e lavorare con il massimo impegno, e vi fa capire che nel disegno universale non dovreste avere il tempo di sedervi in mutande davanti alla TV per guardare le televendite. La morte non è una liberazione, bensì un incentivo. Più vi concentrate sulla vostra morte e meglio vivrete la vostra vita: il consueto sproloquio che faccio quando sta per chiudere il pub [...] riguarda l'aldilà e il fatto che gli esseri umani ancora ci credano. Sono sinceramente convinta che l'aldilà sia il principale problema filosofico che deve affrontare la Terra. (pp. 289-290)
- Credere nell'aldilà nega completamente la vostra vita attuale; è come se soffriste di un'insidiosa malattia mentale alquanto destabilizzante. Chi crede nell'aldilà non è interessato né alle cose che fa ogni giorno né al significato di azioni e parole, perché se mai dovesse commettere degli errori potrebbe sempre rimediare in paradiso. In paradiso riuscirete ad appianare le divergenze d'opinione con i vostri genitori, diventerete una persona migliore, perderete i chili di troppo e potrete perfino imparare il francese! (p. 290)
- Se ci stiamo chiedendo perché la gente reagisca in maniera così apatica e distratta nei confronti di qualsiasi orrore palesemente evitabile (carestie, guerre, malattie, mari color pipì che si stanno riempiendo di linguette di lattine e di fax rottamati) il motivo è proprio quello. Il paradiso. Il più grande spreco di tempo che sia mai stato inventato dopo i puzzle. Solo quando la maggioranza delle persone di questo pianeta si convincerà del fatto che ci avviciniamo alla morte ogni minuto che passa, allora potremo iniziare a comportarci come esseri pienamente senzienti, razionali e compassionevoli perché, per quanto sia forte il richiamo a «essere buoni», il terrore di precipitare inesorabilmente nell'abisso del nulla sarà molto più efficace. Prego perché a tutti noi arrivi la Paura. La Paura è il mio Secondo Avvento. Quando tutti ammetteranno di essere in punto di morte, potremo sul serio iniziare a fare qualcosa. (pp. 290-291)
- È davvero strano che proprio adesso, quando la vostra faccia e il vostro corpo iniziano a mostrare alcuni segni della maturità (rughe, afflosciamenti, i primi capelli bianchi), segni che testimoniano la vostra rispettabilità e autorevolezza (nonché la vostra intolleranza nei confronti dei citrulli), dobbiate subire pressioni per...rimuoverli totalmente. Così facendo darete l'impressione di essere ancora un po' tonte e incompetenti, nonché disposte a farvi fregare da qualcuno un po' più in gamba e un po' più vecchio di voi. (p. 292)
- Le rughe e i capelli bianchi sono il modo che ha la natura per avvertirci di non provare a fregare qualcuno, come l'uniforme gialla e nera delle vespe o i segni sull'addome delle vedove nere. Le rughe sono le vostre armi contro gli idioti. Le rughe indicano di «STARE ALLA LARGA DA QUESTA DONNA TANTO SAGGIA QUANTO INTOLLERANTE». (pp. 292-293)
- Le donne non si considerano mai degli esseri umani di buona volontà che cercano di fare del proprio meglio. Purtroppo tendono a vedersi come l'incarnazione di un'infinita lista di problemi [...] cui debba essere posto rimedio investendo una grande quantità di tempo e denaro [...]. Tutta questa fatica per dire un giorno, tra vent'anni: «Oggi sì, per nove minuti mi sono sentita una donna quasia posto!» e poi ricominciare tutto da capo il giorno dopo, impietosamente. (p. 298)
- Quasi tutti i pregiudizi che mi ero costruita a tredici anni su ciò che sarei diventata in futuro si sarebbero rivelati un totale spreco di tempo. Quando m'immaginavo adulta, tutto quello che riuscivo a vedere era una persona magra, levigata e tranquilla alla quale...capitavano delle cose. Ero una specie di superprincipessa dotata di carta di credito. Non volevo in alcun modo migliorarmi, né volevo approfondire i miei interessi o imparare grandi lezioni di vita, né (e questa era la cosa più preoccupante) m'interessava scoprire in che cosa ero brava per riuscire un giorno a guadagnarmi la pagnotta. Presumevo che tutte queste cose mi sarebbero state propinate da un adulto, che a un certo punto sarebbe venuto a dirmi che cosa dovevo fare. Io non dovevo preoccuparmi di nulla, non dovevo preoccuparmi di ciò che avrei fatto in futuro. Ciò di cui invece mi preoccupavo, e su cui rimuginavo di continuo, era ciò che avrei dovuto essere. Pensavo che tutti i miei sforzi dovessero mirare a farmi diventare una donna favolosa, e non una donna che riuscisse a fare cose favolose. (pp. 298-299)
- Credevo che una volta che fossi stata magra, bella, benvestita, composta e graziosa, tutto il resto sarebbe venuto da sé. [...] Naturalmente, l'idea secondo cui le donne devono soltanto essere qualcosa mentre gli uomini vanno e fanno è stata dibattuta all'infinito da chi sostiene che questi siano tratti tipici e imprescindibili dei due sessi. (pp. 299-300)
- Be', per esperienza personale so che il sollievo più grande della mia età adulta mi è arrivato dall'accettazione del fatto che non sarei mai diventata una principessa. Accettare di essere una donna del tutto ordinaria che deve darsi da fare, lavorare sodo ed essere cortese e gentile nei confronti degli altri per ottenere ciò di cui ha bisogno è una rivelazione incredibilmente liberatoria (una volta superata la paralisi iniziale dovuta alla constatazione della vostra ordinarietà). (p. 302)
- Nel mondo moderno i preconcetti che stabiliscono ciò che rende un uomo desiderabile agli occhi di una donna sono inutili e datati, ed è una verità che si deduce anche dal fatto che di solito solo le persone con più di quarant'anni parlano di queste cose. (p. 303)
- Ci sono così tante cose che non possiamo permetterci e a cui ci rassegniamo sospirando per partecipare alla giostra e sentirci «normali», conformi agli altri. Ma a rifletterci bene, se tutti temono di rivelare come si sentono di fronte a queste cose, ecco che si ritorna al concetto di esperienza condivisa da tutti ma di cui nessuno vuole parlare perché troppo imbarazzante. La classica esperienza che viene tenuta segreta perché nessuno osa dire: «Non prendetemi per pazzo, ma...». (p. 307)
- Ciò che voglio è introdurre forze di mercato radicali. Voglio possibilità di SCELTA. Voglio VARIETÀ. Voglio di PIÙ. Voglio DONNE. Voglio che alle donne spetti una fetta di mondo più larga, sia perché questa sarebbe una situazione più giusta, sia perché il mondo sarebbe migliore e più entusiasmante. Sarebbe un modo di riordinare le cose, di reinventarle. Dovremmo avere le palle (anzi, dovrei dire «le ovaie») di dichiarare: «Sì, il mondo mi piace così com'è, ma dopo aver trascorso ore seduta a osservarlo adesso vorrei toccarlo un po' anch'io. Dobbiamo tutti partecipare a questa esperienza perché ci siamo dentro tutti, nell'umanità». (p. 308)
Volevo scoprire le arcane arti che mi avrebbero reso una donna vera, per trasformarmi in un esempio incantevole di tutte quelle cose che agli inizi - nel mio letto di Wolverhampton, quando avevo tredici anni - mi avevano confuso o stroncato. Una principessa. Una dea. Una musa.
Con il passare degli anni, però, mi sono resa conto che ciò che voglio davvero è diventare un essere umano. Un essere umano produttivo, onesto e che viene trattato con cortesia. Uno della Banda, ovviamente, ma con un'acconciatura strabiliante.
Note
modifica- ↑ a b c d Dall'intervista di Paola De Carolis, Lontano da mamma e papà mi sono inventata una vita, Io Donna, 20 giugno 2015.
- ↑ Citato in AA.VV., Il libro del femminismo, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2019, p. 304. ISBN 9788858022900
- ↑ Citato in AA.VV., Il libro del femminismo, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2019, p. 305. ISBN 9788858022900
Bibliografia
modifica- Caitlin Moran, Ci vogliono le palle per essere una donna, traduzione di Sara Chiappara, Sperling & Kupfer, 2012. ISBN 978-88-200-5195-2
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