Bill Emmott

giornalista e saggista britannico

Bill Emmott (1956 – vivente), giornalista e saggista britannico.

Bill Emmott nel 2010

Citazioni di Bill Emmott

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  • Purtroppo nei media c'è sempre più competizione e frammentazione, mentre i politici sfruttano le nostre divisioni. Perciò sarebbe fondamentale più solidarietà e unità tra noi giornalisti. Perché questo è un momento decisivo per il futuro della democrazia. Salvini, in questo senso, è peggio di Berlusconi. [...] Perché quando questi politici populisti, come anche Trump, sanno di essere popolari, sfruttano il "popolo" per andare oltre leggi, giustizia e convenzioni, innescando una demagogia quasi dittatoriale. Nonostante la sua potenza mediatica, Berlusconi era meno ideologico. Salvini, invece, potrebbe volere anche pieni poteri un giorno.[1]

Da Il Cavaliere nero

Intervista di Annalisa Piras, L'Espresso, 21 agosto 2003.

  • Dopo Mani pulite, il vostro paese si è avviato verso profondi mutamenti. Secondo noi Silvio Berlusconi ha bloccato quel processo.
  • In Silvio Berlusconi non esiste un singolo problema, ma una accumulazione di problemi. È l'esempio più eclatante di un uomo che ha usato la politica per costruire il proprio impero e per proteggersi dai guai giudiziari.
  • [Sul ruolo del periodico The Economist] Noi sosteniamo il capitalismo, ma in una relazione corretta con la democrazia. Lui sta abusando del sistema, distorcendo a suo vantaggio le finalità del potere politico. Silvio Berlusconi viola tutti i principi per cui noi ci battiamo.

Corriere.it, 4 novembre 2007.

  • Un vero dittatore militare non fa finta di collaborare con la costituzione del Pakistan, conservando un Parlamento democraticamente eletto e un sistema giudiziario a quanto pare indipendente. Ma è quello che Musharraf ha tentato di fare. Forse si è illuso nel ritenersi semplicemente un presidente provvisorio e che queste fossero davvero le sue intenzioni quando prometteva di riportare la democrazia nel Paese nel giro di breve tempo. Forse diceva la verità, quando affermava che avrebbe presto rinunciato alla divisa militare, anche se l'ha fatto dopo otto anni dalla presa del potere.
  • Forse è stato l'11 settembre a scombussolare i suoi piani, con l'arrivo dell'esercito americano in Afghanistan, che ha spinto Osama bin Laden e altri capi di Al-Qaeda a rifugiarsi al di là del confine, nelle regioni tribali ingovernabili del Pakistan, rafforzando allo stesso tempo le forze del fondamentalismo islamico nel Paese. Forse avrebbe governato come un vero dittatore militare anche a dispetto di quelle pressioni, se i suoi nuovi alleati americani non l'avessero costretto a rispettare la costituzione e a mantenere in vita le speranze di riportare la democrazia in Pakistan. Forse. Ma la verità è che, per molte ragioni, il governo del generale Musharraf è stato un insuccesso.
  • Questa non è neppure una dittatura. È una pagliacciata. Che sarebbe anche divertente, se la situazione in Pakistan non fosse così critica. È un Paese instabile, travagliato da terrorismo e ribellioni, e per di più in possesso di armi nucleari.
  • Che sia l'esercito, gli americani, i vecchi alleati cinesi del Pakistan o gli amici nelle forze armate britanniche, insomma qualcuno oggi deve dire al generale Musharraf che è venuto il momento di abbandonare il campo. Al suo ritiro dalla scena politica, il Pakistan dovrà fare uno sforzo per ristabilire un governo democratico. Sarà una sfida ardua e rischiosa, ma l'alternativa è catastrofica.

Intervista di Marilisa Palumbo, Corriere.it, 6 gennaio 2018.

  • Berlusconi resta inadeguato a guidare l’Italia. Ma potrebbe essere determinante per formare una coalizione centrista in grado di impedire a M5s o Lega di essere forza trainante nella formazione del nuovo governo. Sarà lui a presentarsi come salvatore politico, non dico sia una cosa buona. Ma Berlusconi non può diventare premier, sarà un manovratore dietro le quinte, è in quel ruolo che dobbiamo valutarlo e in quel ruolo non credo possa essere così negativo. Le sue posizioni sono più moderate di quelle di Salvini e Di Maio.
  • Renzi è più popolare di Berlusconi, ma Berlusconi ha più possibilità di formare una coalizione perché non ha irritato tanta gente quanto il leader dem.
  • [Su Matteo Renzi] Resterà una figura influente, ma credo abbia perso la capacità di far sì che le persone collaborino con lui o lo seguano, cosa di cui ogni leader ha bisogno. Rispetto a Berlusconi quello che gli manca – oltre al vantaggio di avere dei canali televisivi! – è l’abilità di fare compromessi e formare alleanze.

Da "Boris Johnson è "unfit" a guidare la Gran Bretagna"

Intervista di Gea Scancarello, it.businessinsider.com, 11 settembre 2019.

  • Penso che Boris Johnson sia unfit. Ha mostrato in queste prime settimane di non essere davvero capace di fare il mestiere. Magari può impararlo: tutti i primi ministri hanno bisogno di un po' di tempo per orientarsi.
  • Credo che chiedere al fratello di entrare a far parte del proprio governo sia stato uno sbaglio terribile, che ha dimostrato tutta la sua inesperienza. Il fratello aveva dato le dimissioni dal governo precedente chiedendo un referendum sulla Brexit, segnalando la propria contrarietà a lasciare l'Unione europea e a come le trattative venivano condotte. Chiedergli di entrare in un gabinetto successivo, forse per dimostrare il supporto della famiglia, era una bomba a orologeria: era solo questione di tempo prima che esplodesse.
  • Abbiamo capito che il problema della Brexit sono le scelte incompatibili l'una con l'altra: per esempio mantenere il Nord Irlanda nel Regno Unito ma evitare un confine tra l'Irlanda e l'Europa.
  • Boris Johnson ha annunciato con orgoglio che aumenterà il numero di poliziotti nei prossimi cinque anni: gli hanno fatto notare che alla fine di quel processo saranno ancora meno che prima della crisi.

Intervista di Marcella Cocchi, Quotidiano.net, 11 gennaio 2020.

  • Se dovessi ironizzare sulla situazione del mio Paese, direi che ha qualche problemino psicologico: desidera essere indipendente, ma allo stesso tempo perde, o non capisce che sta perdendo, potere.
  • Harry e Meghan sono in conflitto di interessi. Vogliono essere indipendenti ma la verità è che non lo potranno mai essere fino in fondo perché il loro nome, le loro azioni, l’influenza sugli altri membri della famiglia, perfino la gestione delle associazioni di carità, non consentiranno loro di essere mai liberi dalle costrizioni. Se avessero davvero voluto essere indipendenti avrebbero dovuto rinunciare del tutto al loro status, ma non l’hanno fatto. Una situazione di comodo.
  • Direi che la Gran Bretagna ora è nostalgica, rispetto a un passato in cui proiettava la propria visione del mondo, mentre ora tutto è cambiato.

Intervista di Francesco De Leo, Affarinternazionali.it, 31 gennaio 2020.

  • Sento che questo è un momento molto triste e assolutamente non necessario, dovuto a decenni di mala gestione politica da parte dei governi britannici. Ma ora è successo e dobbiamo conviverci.
  • Credo che il problema principale sia stato da parte britannica. Tuttavia, l’Unione europea, sin dalla crisi finanziaria globale del 2008, non ha funzionato bene. Non ha protetto le vite, gli standard di vita dei suoi cittadini, ha dimostrato processi di decisione politica lenti e problematici, soprattutto riguardo all'euro, ma anche sull’immigrazione.
  • Credo che il problema più rilevante tra il popolo britannico sia che solo ad una piccola parte di esso importa abbastanza dell'Europa. L'Europa non è un tema importante per la maggior parte degli elettori britannici, perciò quando è stata offerta loro la scelta e hanno dovuto prendere una decisione, il fatto che l'Unione europea non funzionasse bene, insieme allo scontento per scelte del loro stesso governo, li ha portati a votare, con uno scarto ridotto, in tale direzione. Alla fine dei conti, però, sono troppo pochi i cittadini britannici a cui importa dell'Ue. Credo che in Italia, in Francia, in Germania, grazie all’esperienza della Seconda guerra mondiale, ci sia un più profondo sentimento di legame con l’Unione europea; in Gran Bretagna il problema è che troppe persone sono indifferenti o disinteressate all'Ue
  • Credo che il Regno Unito perderà la sua voce, la sua influenza nelle decisioni, nei comportamenti e nelle azioni che verranno intraprese da Germania, Francia, Italia e dai principali Stati membri dell'Unione europea riguardo alla collettività. Sarà un Paese con un ruolo marginale, a cui si telefona per secondo, o per terzo, non per primo, per essere consultato e con cui allinearsi. Perciò saremo messi ai margini, perderemo influenza, perderemo voce, tutto questo. Quello che guadagneremo, credo sia forse una sorta di chiarezza nella nostra politica, per troppo tempo occupata da litigi sull'Unione europea. Ma comunque credo che ne guadagneremo ben poco.

Intervista di Francesco Cancellato, Fanpage.it, 26 marzo 2020.

  • Oggi come oggi, NHS ha la capacità di gestire i casi che ha di fronte, ma sappiamo benissimo che alcune parti del Paese, se l’epidemia va avanti, entreranno presto in crisi.
  • Ho paura per Londra. Nonostante abbia le migliori strutture sanitarie del Paese, e nonostante sia una città con una popolazione relativamente giovane, è anche una città con un elevato livello di interazione sociale. Al netto di Londra, tutti dovrebbero avere paura, oggi nel Regno Unito. Anzi, la dico meglio: tutti dovrebbero aver paura in Occidente.
  • A nessun leader politico sarà mai imputato il fatto di essere troppo prudente di fronte alla minaccia del virus. E questo porterà tutti i leader, anche i più aperti e progressisti, a esercitare la virtù della prudenza.
  • Una crisi economica è pressoché certa. Nel breve periodo questa è più in una crisi sanitaria, ma la crisi economica si manifesterà presto in tutta la sua potenza e porterà a una deciso crollo della ricchezza delle nazioni.

Intervista di Umberto De Giovannangeli, Ilriformista.it, 14 ottobre 2020.

  • Boris Johnson paga il fatto di aver dato vita a un Governo i cui membri sono stati scelti in base alla lealtà alla Brexit e non per capacità ad affrontare situazioni di grande difficoltà come quella determinata dal coronavirus.
  • L'impressione che si ha è che la popolazione italiana abbia una certa fiducia nel Governo di Roma e in quelli regionali per il rigore con cui è stata affrontata questa emergenza. In Inghilterra questa fiducia non c’è. Il numero dei pazienti negli ospedali cresce molto rapidamente e ciò che preoccupa molto è anche la reazione sociale che sta montando.
  • Le forze politiche populiste si sono rafforzate sulla base del risentimento che, mentre i banchieri venivano salvati, la gente comune veniva fatta soffrire. Lo stesso potrebbe accadere di nuovo durante il periodo di ripresa dalla pandemia.

La Stampa, 6 novembre 2020.

  • Nemmeno i 230 mila morti e il caos e la confusione nel governo federale hanno portato a una sconfitta schiacciante per Donald Trump.
  • Il seguito inaspettatamente forte di Trump ha confermato che molti elettori, ben al di là di quella che è conosciuta come la sua "base", sono in sintonia con i suoi spietati discorsi su commercio e immigrazione e convinti che un uomo d'affari e un repubblicano che taglia le tasse possa essere meglio di qualcuno di centrosinistra per la ripresa economica.
  • Non dimentichiamo che Joe Biden ha conquistato il voto popolare con un ampio margine. Ma questo si spiega anche con un'affluenza insolitamente alta di elettori democratici e indipendenti che sono stati offesi dalla condotta volgare e spesso violenta di Donald Trump negli ultimi quattro anni.

Sull'assalto al Campidoglio degli Stati Uniti del 2021, traduzione di Carla Reschia, La Stampa, 9 novembre 2020.

  • Il tentativo di suscitare una rivoluzione americana è fallito. Donald Trump ha fallito. I suoi oppositori ora detengono la maggioranza in entrambe le camere del Congresso degli Stati Uniti. È probabile che seguiranno procedimenti penali, forse contro lo stesso presidente uscente. Per quanto gli eventi di questa settimana siano stati scioccanti, questo è di conforto a chi spera che la democrazia costituzionale e liberale possa d'ora in poi avere un futuro più sano.
  • Trump ha dimostrato che la tattica in assoluto più pericolosa può avere un successo straordinario: la grande bugia. [...] Proprio come ha fatto Hitler, costruendo teorie del complotto su presunte bugie ebraiche, Trump ha reso la sua grande menzogna più potente avendo costruito l'idea che le affermazioni e le critiche dei suoi avversari siano esse stesse bugie, "notizie false". Così la menzogna può diventare, agli occhi dei sostenitori, la prova che deve essere vera.
  • Alla fine, Trump e questo tentativo di insurrezione hanno fallito. C'è un contraccolpo contro le tattiche messe in atto mercoledì, soprattutto da parte delle imprese che sostengono i repubblicani e dei donatori miliardari. Ma proprio come disse Hitler, "la bugia grossolanamente sfacciata lascia sempre tracce dietro di sé". Resterà la convinzione che le elezioni siano state rubate. Ancora più importante è il fatto che questo successo nell'usare una grande bugia per motivare e mobilitare una massa di sostenitori sarà notato, ora e in futuro, da potenziali emulatori.

Intervista di Enrico Franceschini, Repubblica.it, 8 marzo 2021.

  • Negli ultimi trent'anni la famiglia reale non è cambiata. Non accettò l'innesto di una giovane principessa piena di glamour come Diana negli anni Ottanta, non ha accettato quello di una giovane afroamericana altrettanto carica di glamour. In un certo senso assistiamo a un dejà vu: in entrambi i casi si è trattato di un'occasione fallita di modernizzare e rinnovare la Ditta, come è soprannominata la famiglia reale.
  • La famiglia reale è una soap opera, come le chiamano in America, una telenovela, anzi la telenovela per eccellenza: il che spiega il successo del serial The Crown che ne racconta la storia.
  • L'imperativo per la famiglia reale è la continuità. È un'istituzione conservatrice, danneggiata da ogni scossa ribelle. Ciononostante, non penso che la monarchia sia a rischio. Lo fu molto di più nel divorzio tra Carlo e Diana, perché Carlo era l'erede al trono, il futuro re, sebbene un quarto di secolo dopo sia ancora in attesa: il divorzio, con tutto il contorno di gossip e rivelazioni, più la successiva reazione troppo fredda della regina alla tragica morte di Diana, misero in crisi per un po' il rispetto che la gente provava per la monarchia. Harry e Meghan non sono così importanti nella linea di successione e dunque non rappresentano una minaccia analoga

Fataturchinaeconomics.com, 18 agosto 2021.

  • C'è solo una cosa positiva nel fatto che il ventesimo anniversario degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 avverrà meno di un mese dopo che i talebani hanno riedificato l'Emirato Islamico dell'Afghanistan. Servirà come memoria della ragione per la quale era necessario invadere il paese e abbattere il Governo dei talebani due decenni prima.
  • Il fallimento più grande nel periodo successivo all'11 settembre fu quello nell'assicurarsi il sostegno da parte degli Stati che circondavano l'Afghanistan sulla prima linea: Iran, Cina, Russia, i cinque "stan" dell'Asia Centrale e l'India, ma soprattutto il Pakistan. Di sicuro, da parte di alcuni di loro il sostegno non sarebbe mai stato disponibile. Ma il Pakistan era stato per lungo tempo un beneficiario dell'aiuto americano, sul piano militare e su altri piani, ed era considerato alleato degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. Il fatto che stesse anche legandosi alla Cina, e che il suo programma di armamenti nucleari beneficiasse del sostegno e della tecnologia cinese, doveva essere considerato come un indicatore del suo scarso impegno verso il campo americano.
  • Con il senno di poi, avremmo dovuto comprendere che l'errore cruciale di quel periodo consistette nel discorso del 2002 di Bush sullo Stato dell’Unione quando [...] egli descrisse i nemici dell'America come un "asse del male". Nessuno dei tre paesi che egli accusava di essere gli Stati sponsor del terrorismo – Iran, Iraq e Corea del Nord – è responsabile del fallimento dell'America in Afghanistan e del ritrono dei talebani. La responsabilità di ciò consiste in gran parte nel Pakistan e nell'incapacità dell'America di portare quel paese dalla sua parte. Persino se gli Stati Uniti non avessero dirottato nel 2003 la loro attenzione e le loro risorse nell'invasione dell'Iraq, quel fallimento avrebbe destinato all'insuccesso la loro politica in Afghanistan.

Intervista di Giulia Belardelli, Huffingtonpost.it, 13 settembre 2021.

  • Dall’inizio della pandemia, Johnson e il suo governo hanno cambiato idea spesso, in modo radicale e a distanza di poche settimane. Ci hanno abituato a talmente tanti dietrofront che non mi stupirei se tra uno o due mesi cambiassero ancora idea, introducendo il passaporto vaccinale.
  • In Gran Bretagna c’è una resistenza in più, data la nostra storia di non avere una carta d’identità. Ma abbiamo comunque bisogno di una patente per guidare un’automobile, di una carta di credito per fare acquisti, di un passaporto per viaggiare… Penso che ci sia una piccola differenza culturale, ma che non sia la parte più importante della spiegazione. Altrimenti non dovremmo neanche capacitarci dell’obbligo vaccinale che si prepara a introdurre Joe Biden negli USA. A opporsi con forza al passaporto vaccinale in GB sono stati soprattutto parlamentari e rappresentanti di categoria. Da parte della stragrande maggioranza dei cittadini britannici, non credo che la misura avrebbe incontrato grandi resistenze. Più che una questione culturale, ci vedo una grande questione politica.
  • Proviamo a immaginare un’Italia con Matteo Salvini come primo ministro: l’opposizione al Green Pass da parte di alcuni settori della Lega o di Fratelli d’Italia avrebbe pesato molto di più rispetto a quanto non abbia fatto sul governo Draghi.

Intervista di Enrico Franceschini, Repubblica.it, 23 settembre 2021.

  • Penso che esista un insieme di opinioni, particolarmente tra i giovani e nelle università, che tende a porre dei limiti alla libertà di parola. Un atteggiamento che si riflette nelle polemiche sulla cosiddetta cultura della cancellazione e sugli eccessi del politicamente corretto, cioè nel tentativo di riscrivere la storia.
  • La sinistra illiberale vorrebbe un mondo più equo, più giusto, migliore, ma porta involontariamente ad attacchi contro il femminismo, contro gli omosessuali e a favore del pregiudizio razziale, perché le sue iniziative appaiono esagerate, estremistiche, antistoriche, alla maggioranza della popolazione.
  • A mio parere, un autentico liberale è colui che riconosce che lo stato può agire da freno o regolatore nei confronti dell’individuo in nome dell’interesse collettivo, ossia che ci debba essere un’armonia tra la libertà individuale e la libertà della società nel suo complesso. Alcuni liberali, viceversa, vedono il collettivo, lo stato, la società, come un avversario della libertà individuale.

Intervista di Ida Artiaco su Partygate, Fanpage.it, 3 febbraio 2022.

  • Come in tutti i Paesi europei, anche nel Regno Unito la pandemia è stata un momento in cui il Governo ha imposto restrizioni senza precedenti su ciò che la gente comune poteva fare, dove poteva andare e chi poteva incontrare, restrizioni che avevano potere di statuto e la cui osservanza era controllata dalla polizia pena multe piuttosto severe. Negli ultimi mesi è emerso che il Premier e il suo staff di Downing Street hanno infranto quelle stesse regole che erano state imposte agli altri, non una o due volte, ma ripetutamente e per un lungo periodo di tempo. In una crisi durante la quale nemmeno la Regina ha potuto sedere con la sua famiglia al funerale di suo marito, questo ha fatto profondamente arrabbiare molti membri del pubblico, rompendo il loro senso di fiducia nel governo e nel Primo Ministro stesso.
  • [Su Boris Johnson] Molti non credono che le sue scuse siano sincere, dato che ha solo dichiarato di essere dispiaciuto per quello che è successo, continuando tuttavia a ribadire di non aver fatto nulla di male. Quindi non si è davvero scusato, né in Parlamento né con i cittadini.
  • È quasi certo che Johnson non si dimetterà a meno che non sia costretto da un suo voto di sfiducia dei parlamentari. Spera che col passare del tempo l'amarezza rispetto a questa questione possa svanire.
  • È tutto abbastanza imprevedibile e molto dannoso sia per il partito che per la nazione. Ma molto probabilmente il Regno Unito avrà un nuovo primo ministro prima dell'estate.

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Lastampa.it, 2 marzo 2022.

  • Sappiamo tutti di vivere in un periodo storico temibile, il più pericoloso della maggior parte delle nostre esistenze di europei occidentali. Stiamo vivendo non soltanto una guerra, ma ben tre: una guerra armata vera e propria tra gli invasori russi e l’Ucraina; una guerra per procura tra l’Occidente e la Russia che, a differenza di conflitti simili durante la Guerra fredda, si sta combattendo proprio alla frontiera tra Russia e Nato; e infine una nuova Guerra fredda, iniziata quando, lo scorso fine settimana, sono entrate in vigore nuove draconiane sanzioni.
  • La Storia è piena di rischi sottovalutati trasformatisi e sfociati in risultati devastanti che hanno cambiato il mondo per sempre, ivi comprese, nelle rispettive specificità, le due guerre mondiali del XX secolo. Ciò che possiamo affermare con sicurezza fin d'ora, tuttavia, è che i terribili eventi della settimana scorsa segneranno l'inizio di una nuova Guerra fredda. Lo si potrà evitare soltanto nel caso di un possibile risultato: un fiasco totale della Russia che porti a destituire Vladimir Putin e ad abbatterne il regime per dare una sorta di nuovo inizio alla Russia.
  • Come sta diventando già ovvio, siamo in presenza di una frattura nei confronti della quale molti Paesi di tutto il mondo dovranno scegliere da quale parte schierarsi, proprio come durante la prima Guerra fredda. Negli ultimi anni, quando si parlava di un nuovo tipo di Guerra fredda tra Occidente e Cina, si dava per scontato che, a differenza di quanto avvenne in epoca sovietica, il mondo non si sarebbe diviso in due campi nettamente separati. Tuttavia, in seguito alla guerra reale in Ucraina, ciò appare ineluttabile.
  • In Europa noi siamo giustamente contenti di aver dato prova della nostra solidarietà e del nostro spirito di risolutezza a fronte di queste tre guerre. Sul lungo periodo, invece, il destino della nuova Guerra fredda dipenderà ancor più da quali punti di forza o lacerazioni si evidenzieranno all'interno degli Stati Uniti e da come vi risponderà la Cina.

Intervista di Orlando Trinchi sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, associatedmedias.com, 1 giugno 2022.

  • Il sistema di valori russo – come dimostrato dal 2008 in Georgia e Ucraina – sembra tradursi nella convinzione che il potere sia tutto, che i forti abbiano diritto di fare quello che vogliono e che la sovranità nazionale, nel migliore dei casi, rappresenti una mera preoccupazione secondaria. Chiamare i valori russi “autocratici” o “autoritari” non è sufficiente a giustificare questo diritto: la realtà è che i valori della Russia sono imperialisti, ovvero valori di costruzione dell’impero.
  • Il Ministro degli Esteri Lavrov può essere considerato l’equivalente russo di ciò che Joseph Goebbels ha rappresentato per Hitler: è il capo della propaganda, qualcuno che crede nell’impiego di "Grandi Bugie" se ritiene che esse servano agli scopi del Presidente Putin. Tutto ciò che dichiara come 'responsabilità' degli Stati Uniti in Ucraina deve essere giudicato parte di questa "Grande Bugia".
  • A nessuno dovrebbe importare cosa pensa Mosca riguardo la candidatura alla Nato della Finlandia e della Svezia. Se, come mi aspetto, sceglieranno di proseguire su questo percorso, la ragione sarà che sono state indotte a farlo proprio a causa della guerra provocata dalla Russia in Ucraina.
  • Credo che le ripercussioni del conflitto in Ucraina dureranno per molti anni a venire. Il conflitto diretto potrebbe concludersi entro sei mesi, ma non è probabile che si arriverà a individuare una soluzione a lungo termine. Così, ogni governo europeo che ritiene che la questione di inviare centinaia di milioni di euro ogni giorno alla Russia per il suo petrolio e per il suo gas [...] diventerà più facile da sciogliere in un arco di tempo di pochi mesi, è colpevole di auto-illusione.
  • Nessun Paese può essere completamente isolato, ma di certo è possibile erigere una nuova "cortina di ferro" attorno alla Russia, separandola dall’Europa, dal Nord America e dal resto dell’Occidente e bloccando la sua partecipazione ad alcuni importanti tavoli internazionali.
  • Un tribunale in stile Norimberga potrebbe concretizzarsi solo nel caso di una sconfitta completa della Russia e con la sostituzione del regime di Putin con una nuova classe dirigente, incentivata a epurare i propri predecessori attraverso un processo per crimini di guerra. A meno che ciò non accada, chiedere un processo per "crimini di guerra" rimarrà un atto puramente simbolico: giustificato moralmente e legalmente, ma in termini politici e pratici puramente simbolico.

huffingtonpost.it, 7 luglio 2022.

  • Credo che l'impatto più grande, sul destino di Boris Johnson, lo abbiano avuto la sua stessa personalità e il suo stesso carattere. Ha dimostrato ripetutamente di essere una persona disonesta, che dice bugie e forza i suoi colleghi di governo a difenderlo, per poi cambiare continuamente versione su ciò che ha fatto e cosa sapeva. Ha perso ogni credibilità. La verità è che l'unica area in cui è rimasto popolare - grazie a una linea forte e chiara - è stata la guerra in Ucraina.
  • Penso che la guerra in Ucraina gli abbia consentito di sopravvivere politicamente per diversi mesi in più di quanto avrebbe resistito senza, perché non ci sono dubbi che su questo la sua politica sia stata forte, chiara e positiva. Su tutto il resto, però, ha mancato di credibilità e di qualsiasi strategia o convinzione chiara su quali politiche seguire. Il suo governo è stato molto erratico e privo di un'agenda chiara, e questo è parte della sua personalità e del suo problema. In tempi normali, senza le crisi che stiamo vivendo, una situazione del genere sarebbe stata in qualche modo gestibile: altri ministri avrebbero potuto prendere più iniziative e compensare le debolezze e la mancanza di serietà di Johnson, ma certamente in tempi drammatici come la pandemia - e ora la crisi economica in arrivo - questo diventa più difficile e il ruolo del primo ministro diventa ancora più importante. Alla fine, è stato distrutto dalla sua disonestà, che ha sgretolato la sua credibilità presso l'opinione pubblica britannica: la sua popolarità è ai minimi storici; è certo che se ci fosse un'elezione generale sarebbe sconfitto.
  • Il Partygate ha avuto un ruolo decisivo perché ha distrutto la fiducia dell'opinione pubblica. Durante la pandemia il governo aveva imposto regole molto severe alla popolazione, per poi rompere le sue stesse regole, anche in tempi in cui persino la regina non ha potuto svolgere un funerale consono per suo marito, il principe Filippo. Mentre tutti facevano sacrifici, l'ufficio di Boris Johnson si dilettava con le feste, e lui mentiva sapendo di mentire. Ha tradito la fiducia dell'opinione pubblica in un modo molto profondo, e questo è stato cruciale. In generale, una buona fetta dell'opinione pubblica ritiene che i politici dicano bugie: credono che mentire sia parte della politica e sono disposti a perdonare una certa quota di bugie. Quando però ha rotto le regole molto dure e gravose che il suo stesso governo aveva imposto durante la pandemia, il pubblico ha avuto la dimostrazione che era un bugiardo eccezionale, straordinario, non un semplice bugiardo ordinario.
  • Il suo partito lo ricorderà per aver vinto un'elezione e aver completato la Brexit, ma nient'altro perché tutto il resto è stato macchiato dalla sua disonestà.

ilsecoloxix.it, 8 luglio 2022.

  • L’assassinio di un leader politico sarebbe sconvolgente in qualsiasi Paese, ma a maggior ragione in Giappone. Sotto ogni punto di vista, infatti, è il più sicuro grande Paese al mondo, nel quale il possesso delle armi da fuoco è rigidamente disciplinato e perfino le dimostrazioni politiche sono rare. Pertanto, non è esagerato dire che l’omicidio di Shinzo Abe, il primo ministro più conosciuto a livello internazionale e quello che è rimasto più tempo in carica, ha scosso la nazione in profondità e così pure tutti coloro che, come me, lo conoscevano e lo amavano.
  • Abe si è reso uno dei personaggi più importanti e influenti in Asia. In parte, ciò è dovuto alla sua longevità in carica, alquanto insolita per gli standard giapponesi, in base ai quali i primi ministri di solito cambiano ogni uno o due anni come in Italia, e questo ha dato a lui e al suo Paese sia credibilità sia continuità.
  • La politica estera messa in atto da Shinzo Abe mirava ad abbinare una stretta collaborazione con gli Usa e più profonde relazioni con altri Paesi della regione, piccoli e grandi, così da dare al Giappone influenza al di fuori dell’alleanza nippo-statunitense.
  • Il più grande fallimento di Shinzo Abe va cercato nei suoi rapporti con la Russia. Insieme al suo governo, Abe suppose che una relazione più stretta con Vladimir Putin potesse essere il modo di dissuadere la Russia dall’avvicinarsi troppo alla Cina, il modo di diversificare i rifornimenti di materie prime energetiche del Giappone investendo nel gas naturale liquefatto russo, e un modo per intrattenere negoziati per la restituzione di quattro isole prospicienti le coste settentrionali giapponesi occupate dai soldati sovietici nel 1945. Ogni tentativo si ridusse a un buco nell’acqua, e quando Putin ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio scorso, al Giappone è rimasto da risolvere l’imbarazzante problema energetico.
  • Shinzo Abe ha dato al suo Paese la volontà politica di stare in piedi da solo, di rendersi meno dipendente dagli Stati Uniti, di avere un ruolo maggiore e più considerevole nella sicurezza regionale per far da contrappeso alla Cina. Per il Giappone, per i Paesi amici e alleati in Europa, si tratta di un’eredità ragguardevole.
  1. Dall'intervista di Antonello Guerrera, L'attacco a Repubblica, repubblica.it, 14 febbraio 2020.

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