Assedio di Sarajevo
evento bellico durante la guerra di Bosnia ed Erzegovina
Citazioni sull'assedio di Sarajevo.
Citazioni
modifica- Bombarda la presidenza e il Parlamento. Spara a intervalli lenti fino a quando non ti dirò di smettere. [...] Colpisci i quartieri musulmani, lì non vivono molti serbi. Bombardali fino a farli impazzire! (Ratko Mladić)
- È noto che i cecchini appostati sulle colline che circondano Sarajevo, assediata dalle forze serbe, sparavano arbitrariamente sugli abitanti nelle strade sottostanti. Era anche noto che alcuni alleati dei serbi (perlopiù russi) fossero invitati a sparare qualche colpo su Sarajevo, ma credevamo che la cosa fosse considerato un onore, un segno di speciale apprezzamento, non un business. Oggi scopriamo qual era la realtà. Decine di ricchi stranieri (perlopiù statunitensi, britannici e italiani, ma anche alcuni provenienti dalla Russia) hanno pagato tariffe elevate per avere la possibilità di sparare ai residenti della Sarajevo assediata. Il viaggio lo organizzava l’esercito serbo-bosniaco: i clienti erano trasportati da Belgrado a Pale (la capitale della Republika Srpska, sulle montagne vicino a Sarajevo) e poi condotti in un luogo sicuro con vista su Sarajevo a valle. (Slavoj Žižek)
- Il presidente Izetbegović paragona la sua Sarajevo al ghetto di Varsavia, a Leningrado accerchiata dalle truppe naziste, a Madrid repubblicana che si difende dai franchisti. I paragoni storici funzionano come etichette. Fotografano la situazione nuova da mettere a confronto con un'immagine già acquisita; ma non sempre il paragone regge. Gli ebrei del ghetto avrebbero voluto fuggire e così gli abitanti di Leningrado. A Madrid i cannoni di Franco aprivano la strada alla fanteria che voleva conquistare la capitale. I serbi potrebbero occupare la città in poche ore se non avessero preoccupazioni di natura politico-diplomatica. I bosniaci vogliono restare, per non rendersi complici della pulizia etnica. (Demetrio Volcic)
- Sarebbe stato assai più corretto se la stampa e la televisione avessero riportato che «oggi, forze cristiano-ortodosse hanno ripreso il bombardamento di Sarajevo». [...] Ma la terminologia confessionale era riservata solo ai «musulmani», anche se i loro massacratori ce la mettevano tutta a distinguersi adornando le bandoliere di grosse croci ortodosse o i calci dei fucili con immagini della Vergine Maria. (Christopher Hitchens)
- Un cecchino di Sarajevo si lascia intervistare in una stanza quasi buia. Mi sembra incredibile: è una donna. Una donna che spara a un bambino di sei anni? Perché?
"Tra ventanni ne avrebbe avuti ventisei", è la risposta che l'interprete traduce.
Il freddo diventa più intenso, fa freddo dentro. L'intervista finisce lì, non c'è altra domanda possibile. (Gino Strada)
- Avevamo visto cosa era accaduto in Slovenia e in Croazia. Ma non avremmo mai pensato che lo stesso sarebbe accaduto a Sarajevo, una città multinazionale, né al resto della Bosnia.
- Chi ha assediato Sarajevo e mi chiamava e mi chiama traditore è lui un traditore, un traditore del genere umano.
- Ci furono diverse ragioni che resero possibile la vittoria della nostra resistenza. Innanzitutto a Belgrado sottovalutarono le capacità difensive della città. Diedero per scontato che tutti i serbi residenti a Sarajevo, all'epoca il 33% del totale, avrebbero abbandonato la città. Ma questo avvenne solo in piccola parte e moltissimi serbi si unirono alla resistenza.
- I sarajevesi non si limitarono a difendere la propria città ma anche un'idea di convivenza che qui si respira da sempre. Chi è moralmente determinato a difendersi è più forte di chi attacca. Gli uomini hanno difeso la città ma sono state le donne a salvarla, lo dico senza alcuna retorica. Nonostante tutto ebbero il coraggio di far nascere i bambini in quell'inferno, di lavorare negli ospedali, di mandare avanti le scuole. Mentre i mariti e i figli erano al fronte, furono loro a custodire la voglia di vivere di questa città.
- La verità è che Sarajevo si salvò innanzitutto moralmente. Perché chi è moralmente determinato a difendersi è più forte di chi attacca. Gli abitanti si misero a difesa non solo della propria città, ma di un’idea di convivenza che a Sarajevo si respirava da sempre. Per anni i nazionalisti cercarono di convincere gli jugoslavi che la convivenza tra le varie nazionalità era impossibile, che era necessario separarsi. In molte zone, specie quelle rurali, queste idee attecchirono, ma a Sarajevo no. Nella coscienza dei sarajevesi era assurda un'idea del genere.
- Durante il giorno, la distruzione nel centro della città è più visibile, soprattutto in una giornata di sole. Sullo sfondo del cielo blu, i ruderi fanno pensare alle scene di un film agghiacciante. Sulla scalinata del vecchio Municipio, poi trasformato in Biblioteca Nazionale, ancora a tre anni di distanza si possono trovare brandelli di carta bruciacchiata, residui di centinaia di migliaia di libri scomparsi in un'unica esplosione. L'edificio delle Poste, quello del governo, gli alberghi, i palazzi universitari... oggi sono tutti soltanto gusci vuoti. Alla luce del giorno, la città è un corpo carico di cicatrici e di ferite aperte. Ma sono le piaghe invisibili, quelle che causano maggior dolore: amici partiti per non più tornare, parenti rimasti uccisi, invalidi, intere famiglie distrutte dalla guerra.
- Scuole, ospedali, pensiline degli autobus, negozi... tutto demolito. È evidente che per i Serbi non aveva alcuna importanza sapere contro che cosa sparavano. La loro logica era semplicissima: distruggere, distruggere tutto quanto.
- Se fossimo capaci di imparare qualcosa, forse Sarajevo potrebbe insegnarci la modestia. L'incontrare la morte ad ogni passo non lascia spazio ad altro che non sia una certa forma di modestia e, forse, a Dio o ad Allah, di chiunque si tratti. In effetti, quando ci si guarda attorno, il primo pensiero è che non esista alcun Dio, giacché se esistesse non avrebbe mai permesso una devastazione del genere. Ma gli abitanti di Sarajevo cercano di convincermi che così non è, niente affatto. Dio era qui con noi ogni giorno, era presente sia nelle nostre imprecazioni che nelle nostre preghiere, ci spiegano. Un essere umano deve pur credere in qualcosa, quando non trova alcun rifugio contro simili orrori. Proprio allora, sostengono, gli atei si sono fatti credenti.
- Se la guerra è cominciata quando le vittime erano ormai tante che i loro nomi non venivano più nemmeno menzionati dai media, significa forse che la pace ha inizio quando le vittime sono ormai tanto poche da poter di nuovo essere elencate?
Citazioni in ordine temporale.
- Lunedì 6 aprile 1992
Cara Mimmy,
ieri la gente radunata davanti al Parlamento ha cercato di attraversare pacificamente il ponte Vrbanja, ma hanno iniziato a sparare contro di loro. Chi, come, e perché? Una ragazza, una studentessa in medicina di Dubrovnik, è stata UCCISA. Il suo sangue si è riversato sul ponte. Le sue ultime parole sono state semplicemente: «È davvero questa Sarajevo?». È ORRIBILE, ORRIBILE, ORRIBILE!
QUI NON C'È NIENTE E NESSUNO DI NORMALE! - Giovedì 7 maggio 1992
[...] NINA È MORTA. Una scheggia le ha colpito il cervello e Nina è morta. Era una ragazzina così dolce... Andavamo all'asilo insieme e ci incontravamo spesso al parco. Non riesco ad accettare l'idea che non la rivedrò mai più. Nina, una ragazzina di undici anni, vittima innocente di una stupida guerra. Sono disperata. Continuo a piangere e a domandarmi perché. Non aveva fatto niente di male. Una maledetta guerra ha distrutto la vita di una bambina. Nina, ti ricorderò sempre come una ragazza meravigliosa. - Sabato 30 maggio 1992
Cara Mimmy,
è bruciata la maternità, l'ospedale in cui sono nata io. Centinaia di migliaia di bambini, di nuovi abitanti di Sarajevo, non avranno la fortuna di nascere in questo ospedale. Era ancora nuovo, e le fiamme hanno divorato tutto. Per fortuna sono riusciti a salvare le madri e i bambini. Quando è scoppiato l'incendio stavano partorendo due donne. I bambini sono vivi. Dio mio, qui la gente viene uccisa, muore, gli edifici vengono bruciati e scompaiono. E nonostante tutto, dalle fiamme nascono nuove vite. - Lunedì 29 giugno 1992
Cara Mimmy,
NOIA!!! SPARI!!! GRANATE!!! MORTE!!! DISPERAZIONE!!! FAME!!! DOLORE!!! PAURA!!!
Questa è la mia vita, la vita di un'innocente ragazzina di undici anni!!! Una scolara senza scuola, senza le gioie e l'eccitazione della vita scolastica. Una bambina che vive senza giochi, senza amici, senza sole, senza uccelli, senza natura, senza frutta, senza cioccolata, senza caramelle, solo con un po' di latte in polvere. In poche parole, una bambina senza infanzia. Una bambina della guerra. Solo ora capisco che sto davvero vivendo una guerra, che sono testimone di una brutta, orribile guerra. E insieme a me migliaia di altri bambini di questa città che viene distrutta, che piange e si dispera, sperando in un aiuto che non arriverà. Dio mio, finirà mai tutto questo, potrò mai tornare a essere una bambina normale, una bambina che si gode la sua età? Una volta ho sentito dire che l'infanzia è il periodo più bello della vita. Ed è vero. Io amavo la mia infanzia, e ora una terribile guerra mi sta portando via tutto. Perché? Sono disperata. Ho voglia di piangere. Sto piangendo. - Domenica 5 luglio 1992
Cara Mimmy,
non ricordo quand'è stata l'ultima volta che sono uscita di casa; dev'essere stato quasi due mesi fa. I nonni mi mancano davvero tanto. Prima andavo da loro tutti i giorni, e ora non li vedo da una vita.
Le giornate trascorrono tra la casa e la cantina. Questa è la mia infanzia di guerra. E per di più è estate. Gli altri bambini sono in vacanza al mare o in montagna, nuotano, prendono il sole, si divertono. Dio mio, cosa ho fatto per meritare di trovarmi in questa guerra, di trascorrere i miei giorni in un modo che non auguro a nessuno?! Mi sento in gabbia. Tutto quello che riesco a vedere attraverso le finestre rotte è il parco davanti a casa nostra. Vuoto, desolato, senza bambini e senza gioia. Sento il fragore delle granate, e intorno a me tutto sa di guerra. La guerra è diventata la mia vita. Oh, non ne posso davvero più! Ho voglia di piangere e di gridare. Vorrei almeno poter suonare il piano, ma non posso farlo perché si trova nella «stanza pericolosa», dove io non posso entrare. Per quanto tempo durerà ancora??? - Lunedì 20 luglio 1992
Cara Mimmy,
visto che non esco mai di casa, osservo il mondo (per meglio dire, un pezzo di mondo) dalla finestra.
Le strade sono piene di stupendi cani di razza che vagano senza meta. Probabilmente i loro padroni li hanno dovuti abbandonare perché non sapevano come sfamarli. Che tristezza. Ieri ho visto un cocker che camminava sul ponte, senza sapere da che parte andare. Era spaesato. Sembrava che volesse andare in avanti, ma a un certo punto si è fermato, si è voltato e si è guardato indietro. Forse cercava il suo padrone: chissà se sarà ancora vivo? In questa città soffrono anche gli animali; la guerra non risparmia neppure loro. - Martedì 15 dicembre 1992
Cara Mimmy,
in questi giorni ho passato tutto il tempo con Mikica e Dačo. Ho cercato di aiutarli a dimenticare gli orrori che hanno vissuto, ma invano. Non ci riescono. Il loro pensiero è sempre là. Ripensano ai terribili bombardamenti, a tutto ciò che hanno dovuto abbandonare e che è andato perso nelle fiamme. Giocattoli, libri, foto, ricordi. Dačo rimpiange soprattutto i suoi pupazzi Alf, mentre sai cosa dice Mikica?: «Quando vedo qualcosa o parlo di qualcosa, penso tra me e me: C'e l'ho. Poi la verità mi piomba addosso... in realtà non ho più nulla». È davvero difficile. Ma nessuno di noi può fare qualcosa. La guerra si è impadronita di noi e non ci lascerà andare. - Lunedì 15 marzo 1993
Cara Mimmy,
[...] Non ci sono alberi in fiore né uccelli, perché la guerra ha decimato anche loro. Non si odono i loro cinguettii primaverili. Sono scomparsi anche i piccioni, il simbolo di Sarajevo. Non ci sono più grida di bimbi, né giochi. Anche i bambini non sembrano più bambini. È come se Sarajevo stesse morendo, scomparendo lentamente. La vita sta scomparendo. Come posso quindi avvertire la primavera nell'aria, quando la primavera è un momento in cui tutto si risveglia mentre qui non c'è vita, e tutto sembra ormai essere morto? - Sabato 17 aprile 1993
Cara Mimmy,
[...] Ci sono moltissimi profughi, Mimmy, persone che sono diventate dei «senzatetto» per colpa della guerra. La guerra li ha mandati via, ha distrutto e incendiato le loro case. Sono costretti a cercare un alloggio, e non sono molti gli alloggi disponibili. Ce ne sono alcuni che appartengono alle persone che hanno lasciato Sarajevo. I «senzatetto» hanno trovato rifugio in quelle case, ma sembra che la situazione si stia complicando. Alcuni tornano, altri se ne vanno. A una tragedia ne fa seguito un'altra. È mostruoso. Non riesco a capirci niente. In realtà è tutta la guerra a risultarmi incomprensibile. So solo che è stupida, e che tutto è frutto della sua stupidità. Ma so anche che non renderà felice nessuno. - Domenica 19 settembre 1993
Cara Mimmy,
continuo a pensare a Sarajevo, e più ci penso e più mi sembra che Sarajevo stia lentamente cessando di essere quella che era un tempo. Un numero spaventoso di morti e feriti. Monumenti storici distrutti. Patrimoni in libri e dipinti, scomparsi. Alberi centenari abbattuti. Moltissime persone hanno abbandonato Sarajevo per sempre. Non ci sono uccelli, s'ode solo il cinguettìo di un passero superstite. Una città fantasma. E i signori della guerra continuano a trattare, a disegnare cartine geografiche, a cancellarle, fino a quando, non lo so. Fino al 21 settembre? Non ci credo!
- [Sugli abitanti di Sarajevo] Per loro le incursioni della Nato sono la mano tesa dell'Occidente a lungo disperatamente aspettata. Sono la promessa di una vita normale, anche se le bombe serbe continuano a piovere sulla città. Ma al di là della tragedia umana, Sarajevo ha assunto negli ultimi tre anni e mezzo un grande valore. È stata il simbolo concreto di una società in cui convivevano musulmani, cattolici (croati) e ortodossi (serbi). Nella tempesta alimentata dai due grandi nazionalismi balcanici, i cui epicentri sono Zagabria e Belgrado, la città assediata ha saputo restare sostanzialmente fedele ai suoi principi, malgrado le passioni e gli imperativi militari.
- Sarajevo era il principale ostaggio dei Serbi. La città era demoralizzata, sfiancata, angosciata dall'idea di affrontare un nuovo inverno senza luce, senza nafta, sotto il tiro dei cecchini e degli artiglieri serbi, appostati sulle montagne come sulle scalinate di un anfiteatro.
- Sulla soglia del quarto inverno d'assedio, quella città, simbolo insanguinato del nostro secolo, comincia a intravedere uno spiraglio. Non ci si può stupire e ancor meno ci si può indignare se la breccia viene aperta, scavata con il ferro e il fuoco. Per spegnere la violenza insensata degli assedianti era ed è indispensabile la violenza della ragione. La coscienza l'invocava da un pezzo, ma c'è voluto un bel po' di tempo perché si creassero le condizioni per un impiego razionale, giusto della forza vera. L'Europa incerta, divisa, non ne aveva i mezzi. L'America li aveva ma non era disposta a correre rischi. Sarajevo ha pagato duramente il prezzo della lunga esitazione dell'Occidente, sorpreso dalla crisi nell'ex Jugoslavia mentre era nel mezzo del guado tra la guerra fredda e il postcomunismo. Sarebbe meglio, sarebbe più nobile poter dire che il sangue delle vittime del mercato coperto di Sarajevo, schizzato sui nostri teleschermi lunedì, ha fatto traboccare il vaso del sopportabile, e che per questo sono decollati i bombardieri della Nato.
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