Aristide Calani
militare, giornalista ed editore italiano; fu proprietario della Gazzetta di Torino
Aristide Calani (floruit XIX secolo), militare, giornalista ed editore italiano.
Il Parlamento del Regno d'Italia
modifica- [Aleardo Aleardi] Melanconico, non di quella melanconia affettata ch'era moda qualche anno fa di seminare pei carmi, onde gli adolescenti e le femminucce ven sapessero grado, ma d'una mestizia sincera, spontanea, quasi diremmo involontaria, d'una mestizia che vi fa pensare: quest'uomo ha molto sofferto; oppure quest'uomo ha cercato, ha cercato nella vita... che? un amico[1], forse – un amico, intendiamo, come se lo fabbrica nella sua mente un poeta – o una donna, ma qual donna! – e non ha trovato, o ha perduto, e si sente solo, o piuttosto si sente incompleto e si lagna, senza avvedersene quasi, il tapino, e quand'anche s'attenti a cantarvi l'osanna, le corde della sua lira non sanno farlo che in toni minori. (parte prima, p. 17)
- [Giuseppe Ameglio] Alla Camera siede sui banchi della sinistra, ma non fa opposizione sistematica, ché, del resto, siam lieti di dichiararlo fin da questo momento, gli oppositori propriamente sistematici sono in bene scarso numero nel primo Parlamento del regno italico. (parte prima, p. 28)
- L'Anelli [nella Camera dei deputati] siede bene all'estrema destra, perché forse un usciere inconsapevole, giudicandolo dal di lui abito strettamente ecclesiastico, gli avrà additato quel posto, ma opina e vota col raro stuolo dell'estrema sinistra. (parte prima, p. 38)
- A trattarlo, [Luigi Anelli] lo si trova persona cortese e anche affabile, una volta ch'egli abbia superata certa sua selvatichezza, non inurbana, però; ma lo si scorge quale lo si può giudicare ed agli atti ed agli scritti: ignaro delle cose, degli uomini, e dell'andamento del tempo. (parte prima, p. 38)
- Nascita, ricchezza, ingegno, cuore, educazione, tutte le prerogative, tutte le qualità si trovano riunite, e in eminente grado, nel nostro protagonista [Francesco Arese]. Di più, eccelse amicizie, ch'egli non mendicò, ma che spontanee se gli offersero, e che i suoi meriti gli guadagnarono, un patriottismo[2] ardente quanto disinteressato, incrollabile al pari che illuminato l'hanno posto a buon dritto in cima agli avvenimenti, e, malgrado la sua ben nota modestia, ne han fatto un personaggio storico. (parte prima, p. 49)
- Il Chiaves, uomo d'alta statura, d'aperta e simpatica fisionomia, è diserto[3] oratore, e quel che più importa, ragionatore sodo e concludente. Le sue parole e il suo accento possono talvolta salire fino all'entusiasmo, ma non cadono mai nel declamatorio, né nell'esagerato. (parte prima, p. 150)
- Chi poche volte vide il nostro protagonista [Alberto Cavalletto] o non ebbe che corti colloqui con esso, può difficilmente farsi una giusta idea del suo carattere.
Amante soprattutto della patria, a questa sola dedica ogni suo pensiero, intera l'opera sua, trascurante affatto ogni proprio individuale interesse. Ragiona con logica chiarezza e brevità, insofferente del parlar divagato, prolisso e non serio. [...].
Brusco di modi per ordinario, ma compassionevole e pronto a soccorrere chi soffre, è degno del nome che gli dettero alcuni suoi conoscenti di burbero-benefico. (parte prima, p. 190)
- A chi per poco si ponga a riflettere ai meravigliosi avvenimenti, mediante i quali gl'Italiani pervengono in oggi alla fine ad aversi questa patria libera e cementata in un solo fascio, per conseguire la quale tanto sangue di martiri fu sparso, non può non balenare alla mente che disegno provvidenziale fosse ormai che Italia esistesse, dacché la Provvidenza appunto concedeva a questa sublime e straziata madre delle nazioni, contemporaneamente, tre uomini sommi, inarrivabili, necessarî, a ciascun de' quali attribuiva la propria parte da sostenere nel gran dramma del rigeneramento italiano.
Di questi tre grandi personaggi, l'uno rappresenta il principio, l'altro il consiglio, il terzo l'azione; il primo si chiama Vittorio Emmanuele, il secondo Cavour, l'ultimo Garibaldi! (parte prima, pp. 197-198)
- Il Ricciardi è uno spirito di sua natura irrequieto, e quindi fino a un certo segno incontentabile. Il far opposizione è, secondo noi, per esso un bisogno, una necessità di temperamento; non è quindi da farsegli soverchio carico se il vediamo sorgere così spesso ad interpellare il Ministero e se talvolta, eccitato, o mal disposto fors'anche fisicamente, trascende a proferire delle espressioni poco misurate. (parte prima, p. 389)
- Il porgere del Ricciardi non è privo di eloquenza: ma la sua voce fievole e nasale mal gli consente di far valere i suoi discorsi. A quando a quando il suo cuore, a dispetto della sua testa, lo riconduce sul retto, sul generoso sentiero, e allora lo salutano gli applausi di tutta la Camera. (parte prima, p. 389)
- Il Ricciardi piccolo di statura, magro fino alla macilenza, con gran barba negra e negri capelli, di cui sembra però aver molta cura, ha le tinte brune e giallastre dei biliosi. (parte prima, p. 389)
- Il Lella aveva succhiati col latte i principî liberali; ma gli erano stati rafforzati dal celebre Nicolini. Abborriva quindi dispotismo e despoti. Aveva sempre sospirato pel proprio paese un reggimento più largo, più confacente alla moderna civiltà. Conosciuto alfine esser follia sperarlo da Ferdinando II[4], fu costretto a chiederlo alla rivoluzione. (parte seconda, p. 430)
- Gli sforzi supremi e le successive rivoluzioni, i conati della Sicilia contro i napoletani pel riconoscimento dell'indipendenza dell'isola e per la riscossa dall'assolutismo, tutta questa lotta di popolo a popolo e da idea ad idea, è senza meno incarnata, immedesimata nella nobile e veneranda figura di Ruggero Settimo, il cui nome era il più popolare che mai nella Sicilia pria dello sbarco di Garibaldi, oggi solamente secondo al nome dell'eroe di Palermo. (parte seconda, p. 500)
- Ruggero Settimo è grande di statura, quantunque ora abbattuto dagli anni; la sua fronte è ampia, dolce e benevolo lo sguardo, bianca la capigliatura; tutto nella sua figura concorre a quella maestà che gli hanno acquistata le sue alte virtù morali.
Ha fatto sempre mostra di coraggio civile nelle difficili occasioni; pieno di una lealtà pari ad ogni elogio, tranquillo nella cattiva e nella buona fortuna, senza ombra di ambizione e solo amante del bene della patria; affabile con tutti e dignitoso, egli è cinto dell'aureola delle antiche virtù in lui rinnovate, e così passerà la sua immagine a traverso la riconoscenza e la memoria del secolo avvenire. (parte seconda, p. 539)
- Ognun sa, che il siciliano, è tra gl'italiani, il più caldo di cuore, e il più esaltato di mente. L'illusione poetica che non fa che balenare agli occhi dei più nella stagione primaverile, dura spesso fino alla più tarda etade, per gli uomini i quali traggono i natali, alle falde delle ardenti gole dell'Etna.
Il Bertolami, è un esempio tra i molti che noi potremmo citare ad appoggio della nostra asserzione. Poeta è nato, poeta ha vissuto e vive tuttora. I suoi versi sono pieni di una foga che si sente come parta dall'anima. Vi è esaltamento; ma non fittizio: perché lo si sente sincero, quantunque esagerato. (parte seconda, pp. 827-828)
- Il Guerrieri non parla spesso, ma quando parla, parla a proposito e bene.
Non saremo il meno del mondo esagerati affermando che il Guerrieri è uno dei più insigni letterati che possieda l'Italia al dì d'oggi. Per non dir d'altro, la sua traduzione del Fausto di Goëthe è un vero capo d'opera e non sarebbe[5] mai abbastanza leggersi ed ammirarsi. (parte seconda, p. 837)
- [Davide Levi] È stato eletto da un collegio di Lombardia, ignoriamo, a vero dire, per quali titoli, certo è che egli si è adoperato moltissimo onde conseguire tale elezione, ad ottenere la quale è riuscito.
Questa ambizione, assai comune del resto, non sembra sia stata giustificata dalla parte che il Levi, ha rappresentato in Parlamento. Egli non ha mai preso la parola, ed è tutt'al più se ha letto un discorso. Egli non lavora quasi mai negli uffici, ed è ben di rado scelto a membro d'una commissione.
È ben vero, che i discorsi i quali non fa alla Camera, ei li tiene ai suoi elettori in certe riunioni da esso provocate, e che hanno, non sappiamo come né perché, un'eco immediata su certi giornali. Se noi avessimo un voto da fare, e' sarebbe quello che l'avvocato Levi agisse più nella Camera, e disturbasse meno i suoi mandatari. (parte seconda, p. 843)
- Noi non crediamo il senatore Benintendi privo d'ingegno e di altre qualità; ma non possiamo che affermare, non aver egli mai preso una parte molto attiva nei lavori della Camera, dapprima, e del Senato dappoi, mentre non lo vediamo mai, o quasi che mai, nominato a membro di commissioni, e che non c'è avvenuto una sol volta di udirlo a parlare. (parte seconda, p. 853)
Note
modificaBibliografia
modifica- Aristide Calani, Il Parlamento del Regno d'Italia, parte prima dalla segnatura 1 alla segnatura 49, Stabilimento di Giuseppe Civelli, Milano, [1866?].
- Aristide Calani, Il Parlamento del Regno d'Italia, parte seconda dalla segnatura 50 alla segnatura 107, Stabilimento di Giuseppe Civelli, Milano, [1866?].
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