Alessandro Blasetti
regista, sceneggiatore, montatore e attore italiano (1900-1987)
Alessandro Blasetti (1900 – 1987), regista italiano.
Citazioni di Alessandro Blasetti
modifica- [Sul cinema sonoro] Artisticamente la cosa non merita discussione. Il solo rumore sincronizzato potrà apportare un grande vantaggio allo spettacolo cinematografico artistico e industrialmente inteso. Niente voce quindi, niente dialogo, niente canto, niente orchestra. Rumore.[1]
- Debbo confessare di essere un oceano di contraddizioni. Mi sono contraddetto in tutto: in politica, nelle preferenze letterarie, nei gusti, dai gastronomici ai musicali. Insomma, nella mia vita, almeno da quando ho messo i pantaloni lunghi fino ad oggi, non c'è un momento di cui qualcuno non possa dire: «Un uomo incostante come Blasetti è difficile trovarlo». In questo mare di contraddizioni Blasetti è rimasto costante soltanto in due cose. La prima è che si è sempre contraddetto con sincerità, senza secondi fini (non c'è mai disaccordo fra quello che dico e quello che penso o che sento). La seconda è l'amore per la macchina da presa, per i carrelli, i riflettori, i cavi elettrici, i teatri di posa.[2][3]
- Differenze tra cinema e televisione? Innumerevoli nel campo tecnico e meccanico ed anche artistico della realizzazione, importantissime nel criterio sociale e umano di selezione degli spettacoli, sorprendenti nella immediatezza e nella vastità o nella temporaneità dei risultati sul pubblico, notevoli anche, ma più per abitudine che per necessità effettiva, nella impostazione organizzativa e quindi economica della produzione. Assolutamente nulle nella qualità del mezzo espressivo. [...] I due mezzi espressivi non possono dirsi fratelli gemelli soltanto perché l'uno è nato prima e l'altro dopo. Ma come fratelli debbono guardarsi tra loro per assimilare l'uno il meglio dell'altro. Il cinema deve adeguarsi in coraggio, spregiudicatezza, approfondimento e conquista di una più viva realtà. La televisione deve adeguarsi in esperienza organizzativa e cioè in affinamento della qualità attraverso una più adeguata preparazione ed un più attento controllo, un più serio impegno nella fase conclusiva e determinante delle trasmissioni.[4][3]
- Ho sempre sostenuto di non essere l'autore dei miei film, oppure di esserlo, ma soltanto insieme a tutti i miei collaboratori, dal soggettista allo sceneggiatore, dagli attori all'operatore. È mostruoso, pensavo fino a pochi giorni fa, che un film risulti concepito, sceneggiato, dialogato, diretto, interpretato, musicato e fotografato dalla stessa persona. L'eccezione di Chapolin che inevitabilmente mi veniva opposta quando sostenevo questa tesi, era per me quella che conferma la regola. [...] Oggi, pur attribuendo una importanza creativa ai miei collaboratori, rivendico a me non il diritto, ma il dovere di consentire con l'opera di ciascuno e di utilizzarla secondo le mie idee.[2][3]
- Il mestiere del regista è un mestiere, fra tutti, estremamente difficile, perché richiede la contemporanea presenza di due sentimenti opposti dell'uomo: l'ambizione (chiamiamola anche presunzione) e l'umiltà. [...] All'ambizione che nasce dall'essere il responsabile unico dell'impresa occorre accoppiare l'umiltà. Il regista deve sempre poter essere in grado di pensare che se un film fallisce tutte le colpe sono sue, e se un film riesce non tutti i meriti, e i pregi dell'opera, sono suoi. Inoltre, il regista dev'essere un comandante, deve possedere le qualità umane e morali per poter dirigere un gruppo eterogeneo di persone. Deve capire e rispettare i suoi collaboratori, intenderne il lavoro (e lo stile e la portata morale del lavoro), a cominciare dagli scrittori. Deve essere un attore, saper scegliere gli attori, vederli in rapporto ai personaggi e farli recitare. Deve essere un pittore, perché è lui, e solo lui, che sceglie le immagini del suo film. Deve essere uno scenografo e soprattutto deve essere un musicista, dominatore della musicalità e del ritmo delle immagini.[5][3]
- Il soggetto di 1860 mi fu suggerito da Emilio Cecchi, una persona assolutamente lontana dal genere fascista e veniva da una novella di Mazzucchi, che non aveva nessun rapporto con le camicie nere. Il soggetto riguardava prettamente l'unità d' Italia, che è una cosa che trascende il fascismo, anche se certamente vi si allineava. Il soggetto di Sole, che esaltava la politica agricola del fascismo, grazie alla quale tantissimi contadini hanno trovato pane e che rifarei adesso, veniva da Aldo Vergano, un antifascista che era nel nostro gruppo e che noi sapevano essere tale. Questo bisogno di verità c'era in quanto c'era sangue italiano, c'era la voglia di parlare della realtà.[6]
- Io faccio la professione del regista. Non sono l'alto ingegno che si produce soltanto quando può manifestarsi in una qualsiasi sua forma. No. Io sono un professionista come l'avvocato è avvocato, come il medico è medico.[7][3]
- Io sono liberale perché convinto che una sola strada possa condurre così alla giustizia sociale come al progresso in ogni campo: quella della libertà. [...] Senza libertà non c'è verità, non c'è coraggio, non c'è dignità umana. E la prima libertà è quella di espressione, per tutti. Le idee debbono scontrarsi – diciamo più civilmente: incontrarsi – con le idee non con la polizia. E vinca quella che è più forte perché avrà i più forti difensori. Solo chi non è convinto della propria idea può rifuggire dal confrontarla con quella altrui: anche se quegli col quale si parla vuol fare il sordo, hanno buone orecchie quelli che ascoltano e cioè quelli che dovranno giudicare.[8][3]
- La censura è un male necessario come lo stato. [...] La censura, nei secoli odiosa, sarà per i secoli necessaria specialmente per uno spettacolo a vastissima diffusione popolare come quello cinematografico. Censura per la difesa dello stato, male inevitabile e dunque accettato, censura per la difesa dei confini morali che un aggiornato senso dell'etica ritiene opportuno non valicare.[9][3]
- La maschera di Charlot tocca il massimo assoluto della spontanea capacità inventiva e, nello stesso momento, il minimo assoluto dell'impegno pre-determinato, cioè della finalità politica. Per questo ha toccato il cuore del mondo sulla ingiusta sorte dei diseredati e degli emarginati, ha contribuito ad imporre alle classi politiche il dovere di una nuova giustizia sociale con efficacia incomparabilmente maggiore di quella che possono avere conseguito, tutti insieme, tutti i film socialmente «impegnati» di tutta la storia del cinema. [...] Tanto più autentica, credibile, efficace l'istanza sociale che scaturisce dall'omino: proprio perché non la pronuncia.[10][3]
- Non mi sembra affatto accettabile la distinzione che fa la critica tra cinema come prodotto (o film di intrattenimento) e cinema come opera (o film di autore, cioè film d'arte). La generale, aperta diffidenza – che spesso nell'impeto dei più giovani confina addirittura con il disprezzo – di cui il saggismo gratifica sempre i film di grande successo popolare equivale, a mio avviso, ad un improprio, inopportuno, qualche volta soltanto snobistico concetto del criterio intellettuale con cui deve essere valutato il cinema come arte; perché si tratta di un'arte, come ho detto, destinata alla più grande collettività umana. [...] Sono pienamente d'accordo che il film meritevole di un giudizio critico non debba essere solamente un «prodotto». Ma affermo che deve essere sempre anche un prodotto.[11][3]
- Tra i milioni di italiani che amano ascoltare il suono della propria voce ci sono anch'io. Anzi, meriterei di essere in prima fila. Io penso che l'Italia sarà un paese veramente libero solo quando gli italiani, me compreso, sapranno frenare quell'inflazione di parole che troppo spesso li sommerge.[2][3]
- Un film storico può rievocare momenti perfettamente analogici con quelli che viviamo, o, comunque, che abbiano con essi un riferimento tanto evidente da farci abolire i secoli trascorsi, un momento dopo averci ricordato che sono trascorsi; e da queste analogie e da questi riferimenti possono scendere moniti, incitamenti, cognizioni che valgano a rinforzare la coscienza popolare di oggi.[12][3]
Citazioni su Alessandro Blasetti
modifica- Alessandro Blasetti distingue l'attore da quella che è definita "star". A quest'ultima categoria tutto è permesso: "La star domina nelle paghe, asservisce autori e direttori ai suoi pregi fisici e ai suoi difetti artistici, tocca insieme il massimo del suo livello finanziario e il minimo della sua statura professionale". (Massimo Scaglione)
- [Dopo il film Fabiola] Blasetti cambiò genere, lasciandosi tentare dalla commedia e dalle antologie di racconti dell'Ottocento e dei giorni nostri. Come dire che, da ammiraglio, muovesse la flotta per andare a pesca di telline. (Suso Cecchi D'Amico)
- Blasetti non è un caso semplice. L'uomo è generoso ed estroverso, ma il regista ha ben munite riserve di ambiguità e di segreto. Il suo stesso formidabile eclettismo è, in lui, una forma di travestimento. (Francesco Savio)
- È stato un cineasta totale, capace di ogni avventura e ogni esperimento, dal realismo alla fantasia, un anticipatore e precursore del cinema di poi, un organizzatore, un cineasta aperto alle idee altrui, un grande che sapeva incoraggiare gli esordienti e scoprirne il talento, un intellettuale capace di essere popolare, un narratore che metteva tutto il peso della sua bravura nell'impegno a non deludere il pubblico. (Irene Bignardi)
- Eh, sì. Blasetti è un grande, per me. Non sarà mai superato, Blasetti. Blasetti ha inventato tutto. Ha inventato il neorealismo, senz'altro. E poi Blasetti è veramente un cervello da cinematografo. (Guido Celano)
- L'ultimo film di Blasetti La cena delle beffe si presta a considerazioni di vario genere. Prima di tutto sembra ormai assodato che Blasetti riesce meglio nei film in costume che in quelli in panni moderni. Si vede che la sua anima male si adatta alla squallida vita borghese. (Pietro Bianchi)
Note
modifica- ↑ Da Il più grande bluff del mondo, Cinematografo, 7 luglio 1929; citato in Raffaele De Berti, Le riviste cinematografiche in (a cura di) Silvio Alovisio, Giulia Carluccio, Introduzione al cinema muto italiano, UTET, Torino, 2014, p. 337. ISBN 9788860083524
- ↑ a b c Da L'Espresso, 27 ottobre 1957.
- ↑ a b c d e f g h i j k Citato in Gianfranco Gori, Alessandro Blasetti.
- ↑ Dalla Relazione alla tavola rotonda Cinema e televisione: influenze reciproche, Grosseto, 29-30 settembre 1962.
- ↑ Da Radiocorriere TV, n. 3, 1966.
- ↑ Dal video Blasetti parla del suo cinema.
- ↑ Da Francesco Savio, Cinecittà anni trenta, Roma, Bulzoni, 1979.
- ↑ Da Cinema Nuovo, maggio 1954.
- ↑ Da Cinema, 15 marzo 1952.
- ↑ Da Edav, gennaio 1978.
- ↑ Da Avanti!, 11 marzo 1966.
- ↑ Da Il Mattino, 2 giugno 1934.
Bibliografia
modifica- Gianfranco Gori, Alessandro Blasetti, La nuova Italia, Firenze, 1984.
Filmografia
modifica- Ettore Fieramosca (1938) – regista, sceneggiatore
- 4 passi fra le nuvole (1942) – regista, sceneggiatore
- La cena delle beffe (1942) – regista, sceneggiatore
- Quelli della montagna (1943) – sceneggiatore
- Fabiola (1949) – regista, sceneggiatore
- Bellissima (1951) – attore
- Altri tempi - Zibaldone n. 1 (1952) – regista, sceneggiatore
- Tempi nostri - Zibaldone n. 2 (1954) – regista, sceneggiatore
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