Vincent van Gogh

pittore olandese (1853-1890)
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Vincent Willem Van Gogh (1853 – 1890), pittore olandese.

Autoritratto, inverno 1887–1888

Citazioni di Vincent Van Gogh

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  • Ho dunque schizzato i dieci "Travaux des champs" di Millet e ne ho eseguito uno a fondo. Inoltre ho disegnato dall'incisione l'"Angelus" che mi hai mandato.[1]
  • Invece di cercare di rendere ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo totalmente arbitrario per esprimermi con maggiore intensità.[2]
  • Niente blu senza giallo e senza arancione.[3]
  • Non bisogna giudicare il buon Dio da questo mondo, perché è uno schizzo che gli è venuto male.[4]
  • Più divento dissipato, malato, vaso rotto, più io divento artista, creatore, entro quel grande rinascimento dell'arte di cui parlavamo. Le cose sono certamente così, ma quest'arte eternamente viva, e questo rinascimento, questo germoglio verde che spunta dalle radici del vecchio tronco tagliato, sono cose talmente spirituali che ci assale una certa malinconia pensando con quanta minor fatica si sarebbe potuta vivere la vita, invece di fare dell'arte.[5]
  • Se torni nello studio ti accorgerai subito, credo, che ho sempre avuto in mente il piano riguardante le figure di lavoratori in litografia, anche se non ne parlo tanto. Ho un seminatore, un mietitore, una lavandaia, una operaia di miniera, una sarta, uno che scava, una donna con la pala, l'orfana, un ragazzo con una carriola di letame e altro ancora.[6]
  • Una cosa resta – la fede – si sente istintivamente, ché moltissimo si cambia e che tutto si cambierà: siamo nell'ultimo quarto di un secolo che nuovamente finirà con una grandiosa rivoluzione. Ma anche supponendo che alla fine della nostra vita noi ne vedremo l'inizio, sicuramente non vedremo i tempi migliori dell'aria pura e del rinnovamento di tutta la società dopo questa grande tempesta.[6]

Lettere a Theo

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  Citazioni in ordine temporale.

  • L'uomo non si accontenta facilmente: trova la vita troppo facile, ed ecco che non è più abbastanza soddisfatto, di nuovo. (Ramsgate, aprile 1876; 2022)
  • Siamo tanto attaccati a questa vecchia vita perché, accanto ai momenti di tristezza, abbiamo anche momenti di gioia in cui anima e cuore esultano – come l'allodola che non può fare a meno di cantare al mattino, anche se l'anima talvolta trema in noi, piena di timori. (Amsterdam, 30 maggio 1877; 2013)
  • Bisogna aver sempre presente la meta da raggiungere e che la vittoria ottenuta dopo un'intera vita di laboriosa fatica vale più di un facile successo. Chiunque viva sinceramente e affronti senza piegarsi dolori e delusioni è assai più degno di chi ha sempre avuto il vento favorevole, non conoscendo altro che una relativa prosperità. (Amsterdam, 3 aprile 1878; 2013)
  • Io sono un uomo istintivo, capace di fare cose più o meno insensate, delle quali mi accade più tardi di pentirmi. (Cuesmes, luglio 1880; 2013)
  • C'è fannullone e fannullone.
    C'è chi è fannullone per pigrizia e per mollezza di carattere, per la bassezza della sua natura, e tu puoi anche prendermi per uno di quelli. Poi c'è l'altro tipo di fannullone, il fannullone per forza, che è roso intimamente da un grande desiderio d'azione, che non fa nulla perché è nell'impossibilità di fare qualcosa, perché gli manca ciò che gli è necessario per produrre, perché è come in una prigione, chiuso in qualche cosa, perché la fatalità delle circostanze lo ha ridotto a tal punto; non sempre uno sa quello che potrebbe fare, ma lo sente d'istinto: eppure sono buono a qualcosa, sento in me una ragione d'essere! so che potrei essere un uomo completamente diverso! A cosa potrei essere utile, a cosa potrei servire? C'è qualcosa in me, che è dunque? Questo è un tipo tutto diverso di fannullone, se vuoi puoi considerarmi tale.
    Un uccello chiuso in gabbia in primavera sa perfettamente che c'è qualcosa per cui egli è adatto, sa benissimo che c'è qualcosa da fare, ma che non può fare; che cosa è? non se lo ricorda bene, ha delle idee vaghe e dice a se stesso: «Gli altri fanno il nido e i loro piccoli e allevano la covata», e batte la testa contro le sbarre della gabbia. E la gabbia rimane chiusa, e lui è pazzo di dolore.
    «Ecco un fannullone» dice un altro uccello che passa di là, «quello è come uno che vive di rendita.» Intanto il prigioniero continua a vivere e non muore, nulla traspare di quello che prova, sta bene e il raggio di sole riesce a rallegrarlo. Ma arriva il tempo della migrazione. Accessi di malinconia – ma i ragazzi che lo curano nella sua gabbia si dicono che ha tutto ciò che può desiderare – però lui sta a guardare fuori il cielo turgido, carico di tempesta, e sente in sé la rivolta contro la propria fatalità. «Io sono in gabbia, sono in prigione, e non mi manca dunque niente, imbecilli? Ho tutto ciò che mi serve! Ah, di grazia, la libertà, essere un uccello come tutti gli altri!»
    Quel tipo di fannullone è come quell'uccello fannullone.
    E gli uomini si trovano spesso nell'impossibilità di fare qualcosa, prigionieri di non so quale gabbia orribile, orribile, spaventosamente orribile. [...] Non si sa sempre riconoscere che cosa è che ti rinchiude, che ti mura vivo, che sembra sotterrarti, eppure si sentono non so quali sbarre, quali muri. Tutto ciò è fantasia, immaginazione? Non credo, e poi uno si chiede: «Mio Dio, durerà molto, durerà sempre, durerà per l'eternità?».
    Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? È un affetto profondo, serio. Essere amici, essere fratelli, amare spalanca la prigione per potere sovrano, per grazia potente. Ma chi non riesce ad avere questo rimane chiuso nella morte. Ma dove rinasce la simpatia, lì rinasce anche la vita. (Cuesmes, luglio 1880; 2013)
  • Non aspiro a diventare qualcuno di «straordinario»; mi basta essere «ordinario» nel senso che il mio lavoro sia ragionevolmente buono, che abbia il diritto di esistere e che possa servire a uno scopo. (Etten, 9 luglio 1881; 2013)
  • Sai, disegnare a parole è anch'essa un'arte, che a volte tradisce una forza nascosta e dormiente, come piccoli fili di fumo grigio o blu svelano l'esistenza di un fuoco nel focolare. (L'Aia, 6 luglio 1882; 2013)
  • Non è il linguaggio dei pittori, ma quello della natura che bisogna ascoltare. (L'Aia, 21 luglio 1882; 2013)
  • Vedi, l'uomo non ha amico più fedele del suo dovere e benché a volte possa essere un rude e severo docente, finché si lavora a servizio del dovere non si diventa facilmente dei falliti. (L'Aia, giugno 1883; 2013)
  • Un contadino è più vero coi suoi abiti di fustagno tra i campi, che quando va a Messa la domenica con una sorta di abito da società.
    Analogamente ritengo sia errato dare a un quadro di contadini una sorta di superficie liscia e convenzionale. Se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bollenti – va bene, non è malsano; se una stalla sa di concime – va bene, è giusto che tale sia l'odore di stalla; se un campo sa di grano maturo, patate, guano o concime – va bene, soprattutto per gente di città. (Neunen, 30 aprile 1885; 2013)
  • È veramente un fenomeno strano che tutti gli artisti, poeti, musicisti, pittori, siano materialmente degli infelici – anche quelli felici – e ciò che dicevi ultimamente di Guy de Maupassant ne è una prova ulteriore. Ciò riporta a galla l'eterno problema: la vita è tutta visibile da noi, oppure ne conosciamo prima della morte solo un emisfero?
    I pittori – per non parlare che di loro – quando sono morti e sepolti parlano con le loro opere a una generazione successiva o a diverse generazioni successive.
    È questo il punto o c'è ancora dell'altro? Nella vita di un pittore la morte non è forse quello che c'è di più difficile.
    Dichiaro di non saperne assolutamente nulla, ma la vista delle stelle mi fa sempre sognare, come pure mi fanno pensare i puntini neri che rappresentano sulle carte geografiche città e villaggi. Perché, mi dico, i punti luminosi del firmamento ci dovrebbero essere meno accessibili dei punti neri della carta di Francia? Se prendiamo il treno per andare a Tarascon oppure a Rouen, possiamo prendere la morte per andare in una stella. (Arles, seconda metà di luglio 1888; 2013)
  • Sento che quanto ho imparato a Parigi mi sta abbandonando… E non sarei affatto sorpreso se gli impressionisti trovassero da ridire sul mio nuovo stile, che è stato alimentato dalle idee di Delacroix piuttosto che dalle loro. Infatti, invece di ritrarre fedelmente quello che mi sta davanti agli occhi mi servo molto più liberamente del colore per esprimermi con maggior vigore. (Arles, prima metà di agosto 1888)[7]
  • [...] quando si sta bene si deve poter vivere di un pezzo di pane, pur lavorando tutto il giorno, e avendo ancora la forza di fumare e di bere il proprio goccio. E allo stesso tempo sentire in modo chiaro che esistono le stelle e l'infinito. Allora la vita diventa quasi incantata. (Arles, 11 agosto 1888; 2013)
  • Sai che Jeannin ha la peonia, che Quost ha la rosa, ma io ho il girasole. (Arles, 23 gennaio 1889; 2013)


Citazioni su Vincent Van Gogh

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  • A me piace [...] pensare che Van Gogh sarebbe stato un pittore ancora più prolifico e geniale se le visioni che lo torturavano non l'avessero limitato tanto. Non credo che sia stato il dolore a renderlo così grande: penso invece che la pittura gli abbia regalato la sola felicità che avesse mai conosciuto. (David Lynch)
  • Una grandiosa rivoluzione verrà, ma il pittore di un mondo vulcanico non vivrà i «tempi migliori» di cui van Gogh è convinto. (Ernst Fischer)
  • Van Gogh disse una cosa molto bella: il modo migliore di amare la vita è amare molte cose. (Leo Buscaglia)
  1. Da una lettera al fratello Theo, 7 settembre 1880; citato in Fischer 1975.
  2. Citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 273. ISBN 9788858018330
  3. Da una lettera a Émile Bernard, 6-11 giugno 1888, in Lettere a un amico pittore, a cura di Maria Mimita Lamberti, traduzione di Sergio Caredda, Rizzoli, Milano, 2013, n. 625. ISBN 9788858656983
  4. Citato in Guido Almansi, Il filosofo portatile, TEA, Milano, 1991.
  5. Da una lettera al fratello Theo, 29 luglio 1888; citato in Lettere a Theo.
  6. a b Da una lettera al fratello Theo; citato in Fischer 1975.
  7. Citato in John Rewald, Dopo l'impressionismo, Sansoni editore, 1995, p. 206, ISBN 88-383-1626-0. Traduzione Maria Ferrara.

Bibliografia

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  • Ernst Fischer, L'arte è necessaria? (Von der Notwendigkeit der Kunst), traduzione di Fausto Codino, Editori Riuniti, Roma, 1975.
  • Vincent van Gogh, Lettere a Theo, a cura di Massimo Cescon, traduzione di Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia, Guanda, Parma, 2013. ISBN 978-88-235-0600-8
  • Vincent van Gogh, Lettere a Theo, traduzione di Daniela Ciccone e Michela Roasio, Edizioni Theoria, Sant'Arcangelo di Romagna, 2022. ISBN 978-88-549-8235-2

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