Tamim Ansary (1948 – vivente), scrittore e giornalista statunitense di origini afghane.

Tamim Ansary

Un destino parallelo

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Crescendo nell'Afghanistan musulmano, fin da piccolo sono stato esposto a una narrazione della storia mondiale piuttosto diversa da quella che sono abituati ad ascoltare gli scolari europei e americani. Al tempo, però, questo non influenzò in maniera particolare il mio modo di pensare, perché leggevo libri di storia per divertimento, e in lingua farsi non ce n'erano molti a parte noiosi manuali scolastici. Al mio livello di conoscenza della lingua, tutta la roba buona era in inglese.
Il libro di cui mi innamorati per primo fu l'interessantissima Storia universale narrata ai ragazzi di un tale chiamato V.M. Hillyer. Solo quando rilessi il libro da adulto, molti anni più tardi, mi resi conto di quanto fosse scandalosamente eurocentrico e gratuitamente razzista. Da ragazzo non notai queste cose perché ero troppo assorbito dalla storia raccontata da Hillyer.

Citazioni

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  • La storia mondiale è sempre la storia di come "noi" siamo arrivati a questo dato momento e in questo luogo, per cui la forma della narrazione dipende da chi intendiamo con "noi" e di quale "qui" e "ora" stiamo parlando. La storia del mondo occidentale tradizionalmente presume che il "qui e ora" sia la civiltà democratica industriale (e postindustriale). Negli Stati Uniti esiste un ulteriore assunto, ovvero che la storia mondiale porti alla nascita dei suoi ideali fondanti di libertà e uguaglianza e alla conseguente ascesa del paese a superpotenza alla guida del pianeta. Questa premessa imprime una direzione alla storia e individua un punto d'arrivo alla fine della strada che stiamo attualmente percorrendo. Ci rende vulnerabili alla supposizione che tutte le persone si stiano muovendo nella stessa direzione, anche se non tutti stanno avanti come noi – o perché sono partiti tardi, o perché si stanno muovendo più lentamente –, ragion per cui chiamiamo quelle nazioni "paesi in via di sviluppo".
  • Il mio scopo è soprattutto quello di spiegare cosa i musulmani pensano sia accaduto, perché è quello che li ha motivati nel corso dei secoli e che rende intellegibile il loro ruolo nella storia mondiale. [...] I musulmani hanno cominciato a raccogliere, memorizzare, preservare la loro storia nel momento stesso in cui aveva luogo [...] Questo implica che non possiamo trattare le storie chiave della tradizione musulmana come semplici parabole: non abbiamo bisogno di prove che gli eventi siano realmente accaduti; non è quello il punto. Non ci importa che la storia sia vera; vogliamo che la lezione sia vera. Le storie musulmane non racchiudono nessuna lezione di questo tipo: non sono storie di persone ideali in una realtà ideale. Ma giungono a noi come le storie di persone reali alle prese con un questioni pratiche, immerse nella storia reale, e sta a noi trarre da esse le lezioni che vogliamo.
  • Jihad non ha mai significato "guerra santa" o "violenza". Ci sono altre parole in arabo che stanno a significare più direttamente "combattere" (e sono usate con questo significato nel Corano). Una traduzione migliore di jihad sarebbe "lotta", con le stesse connotazioni che la parola ha nella retorica dei movimenti per la giustizia sociale tanto cari all'Occidente: la lotta è considerata nobile quando è combattuta per una giusta causa e se la cause implica la "lotta armata", va bene; essa è santificata dalla causa.
  • Abu Bakr [il primo califfo dell'islam] aveva stabilito che l'islam non era solo un ideale astratto di comunità, ma una comunità di fatto destinata a cambiare il mondo. [...] Il calendario di Omar [il secondo califfo dell'islam] incarnava l'idea secondo cui l'islam non era semplicemente un piano per la salvezza individuale, ma un piano di gestione del mondo intero. Molte religioni dicono ai propri seguaci: «Il mondo è corrotto, ma puoi fuggire da esso»,. L'islam diceva ai suoi seguaci: «Il mondo è corrotto, ma puoi cambiarlo».
  • Solo uno dei cinque pilastri [della fede islamica] è un credo, e anche quello viene definito in termini di azione: "attestare". Gli altri quattro pilastri sono delle azioni molto specifiche. Ancora una volta, l'islam non si presenta come semplice credo o insieme di credenze, ma come un programma tanto concreto quanto lo può essere una dieta o un regime ginnico. L'islam è qualcosa che uno fa.
  • Nella società musulmana, che è fortemente orientata alla comunità, la pressione sociale – il potere di indurre alla vergogna – potrebbe essere considerata la più potente di tutte le forze in campo, a differenza del potere politico, che opera tramite l'applicazione di regole procedurali, il controllo del denaro, il monopolio della violenza, e così via.
  • L'identificazione del coraggio con la verità è un fatto comune nella storia, anche ai giorni nostri: il presentatore televisivo americano Bill Maher fu cacciato dal canale per cui lavorava per aver notato che gli attentatori suicidi dell'11 settembre erano stati coraggiosi. Il buon senso impone che nessun tratto positivo venga associato a persone le cui azioni e idee sono ripugnanti. Sfortunatamente, questa equazione permette alla gente di dare valore a idee discutibili ammantandole di coraggio, come se un codardo non potesse dire qualcosa di vero o un uomo coraggioso qualcosa di falso.
  • Quando la gente non ha altro ruolo che quello di offrire accesso ai gangli dello Stato, non ha altro potere se non quello di negare quell'accesso.
  • Solo se esiste il concetto di "individuo" è possibile dire: «Ogni individuo ha dei diritti», e solo una volta che quell'assunto è stato accettato è possibile sostenere che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini, poiché entrambi sono individui.
  • Il conflitto che lacera il mondo contemporaneo non va considerato, a mio avviso, uno "scontro di civiltà", se con questo si intende una logica del tipo siamo-diversi-per-cui-dobbiamo-combattere-finché-non-ne-rimane-uno-solo. Va piuttosto considerato come l'attrito generato da due concezioni della storia discordanti che si intersecano.
  • Tutti amano la democrazia, specialmente se li riguarda personalmente, ma l'islam non è l'opposto della democrazia; rappresenta semplicemente un universo di riferimento completamente diverso. All'interno di quell'universo può esistere la democrazia, la tirannia, e tutto quello che c'è nel mezzo.
  • L'islam è una religione, come tutte le altre, con una serie di idee e di pratiche relative alla morale, all'etica, a Dio, al cosmo e alla morte. Ma allo stesso tempo potrebbe essere inserito in una classe completamente diversa, che include il comunismo, la democrazia parlamentare, il fascismo e così via, poiché l'islam è anche un progetto sociale, un'idea di come dovrebbe essere gestita la politica e l'economia, con un sistema legale, civile e penale tutto suo.
    Ma l'islam può anche essere inserito all'interno di un'altra classe ancora, che include la civiltà cinese, indiana, occidentale e così via, perché esiste un intero universo di manufatti culturali [...] che può essere definito propriamente islamico.
    O l'islam può essere visto come una storia mondiale parallela a tutte le altre, le quali si contaminano reciprocamente. Visto in questa luce, l'islam è una vasta narrazione che si dipana lungo i secoli, ancorata alla nascita di quella prima comunità alla Mecca e a Medina quattordici secoli fa.

Bibliografia

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  • Tamim Ansary, Un destino parallelo. La storia del mondo vista attraverso lo sguardo dell'islam, traduzione di Thomas Fazi, Fazi Editore, 2010. ISBN 978-88-6411-093-6

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