Storia degli scacchi in Italia

saggio del 1990, scritto da Adriano Chicco e Antonio Rosino

Storia degli scacchi in Italia, saggio del 1990, scritto da Adriano Chicco e Antonio Rosino.

Storia degli scacchi in Italia modifica

Incipit modifica

I romani dell'età classica non conobbero gli scacchi. Fra i vari giochi da tavola, giocati senza l'ausilio dei dadi, primeggiava il ludus latruncolorum (il gioco dei soldati), ma nessuno è ancora riuscito a stabilirne le regole. Si sa soltanto che si giocava su una tavola intersecata da linee formanti caselle, spesso di 8x8 case, come quella oggi in uso per gli scacchi ma probabilmente non colorate. Scacchiere di 64 case di epoca romana si sono rinvenute specialmente in Inghilterra, lungo il vallo di Adriano: a Chesters, Corbridge, Richborough, Chedworth. Una scacchiera 8x8 trovasi anche a Roma, nella basilica Julia. Sebbene l'uso di scacchiere 8x8 induca a supporre un gioco somigliante, almeno in parte, agli scacchi, questa supposizione non trova alcun appoggio nelle fonti.

Citazioni modifica

  • Per quanto possa apparire strano, la parola scachus compare per la prima volta in Italia in un documento della Chiesa. Gli studiosi si sono chiesti l'origine di questo termine e hanno concluso che esso dovette provenire direttamente dalla parola orientale Shah, che in persiano significa «Re»; le vie più probabili di penetrazione furono i mercanti veneti o croati, che nei loro contatti con l'Oriente vennero a conoscenza del gioco e dei nomi dei pezzi. (parte prima, cap. II, p. 11)
  • Lo stesso Dante, come è ben noto, dimostrò di conoscere perfettamente il gioco degli scacchi, paragonando il moltiplicarsi delle schiere angeliche al «doppiar degli scacchi»:
    Lo incendio lor seguiva ogni scintilla;
    Ed eran tante, che il numero loro
    Più che il doppiar degli scacchi si immilla.

    Non meno esperti del gioco furono il Boccaccio e il Petrarca. Il primo non solo è ricchissimo di citazioni scacchistiche, ma è stato recentemente presentato come il primo inventore dell'aiutomatto[1], una «bizzarria» che si riteneva nata nella seconda metà dell'Ottocento. Meno nota è la conoscenza degli scacchi da parte del Petrarca: conoscenza che peraltro lo indusse a schierarsi non già a favore del gioco, ma contro di esso. (parte prima, cap. II, p. 14)
  • Fra le più antiche ordinanze sui giochi va ricordata l'ordinanza emessa a Venezia l'11 novembre 1292, secondo la quale «nessuno osi giuocare né di giorno né di notte in alcun luogo dell'episcopato di Venezia e Torcello, fuorché a scacchi ed a tavole»[2]. Nell'anno successivo questa eccezione fu ribadita, permettendosi di giocare liberamente «sub lobia ad scachos et ad tabulas». Sulla base di queste liberali disposizioni, nel 1360 fu mandato assolto un barbiere di Rialto, mastro Gabriele, accusato di aver permesso che si giocasse in bottega con il lume. Il povero barbiere fece presente al giudice che, due giorni prima, due persone si trovavano nella sua bottega e giocavano agli scacchi «essendo fra i migliori giocatori d'Italia». Il gioco, cominciato di giorno, durò fino a sera e allora fu portato un lume. (parte prima, cap. II, pp. 18-19)
  • I più antichi manoscritti scacchistici a noi pervenuti – almeno per quanto concerne il mondo occidentale – non riportano partite giocate, ma «partiti», cioè posizioni di pezzi – oggi si direbbero «problemi» – nelle quali uno dei due colori, muovendo per primo, si impegnava a dare matto in un numero determinato di mosse, generalmente «né più né meno». In altri termini, una soluzione in un diverso numero di mosse, anche inferiore, non era considerata risolutiva. (parte prima, cap. IV, p. 35)
  • [Nel torneo di Sanremo del 1930] Alechine, da poco vincitore su Bogoljubov[3], era in gran forma e giocò concentratissimo: la sua formidabile preparazione teorica lo portò quasi regolarmente in vantaggio fin dall'apertura e la sua straordinaria abilità tattica, sorretta da una visione sicura delle più recondite possibilità strategiche di ogni posizione, fece il resto. Travolse quasi tutti: imbattuto, con 13 vittorie e 2 patte, staccò il secondo classificato Nimzowitsch di tre punti e mezzo, massacrandolo nell'incontro diretto in una partita che si trova da allora in tutte le antologie. (parte quinta, cap. XXX, p. 317)
  • [Clarice Benini] Figlia d'arte (suo padre era il maestro Giuseppe Benini) era una fantasiosa giocatrice d'attacco sempre alla ricerca di combinazioni brillanti, e dominò la scena scacchistica femminile italiana per oltre trent'anni: l'ASI[4] in seguito al torneo [femminile di Semmering del 1936][5] le attribuì il titolo di maestro ad honorem, ma non si preoccupò di farle accumulare esperienze in tornei magistrali. (parte quinta, cap. XXX, p. 326)
  • [Vincenzo Castaldi] Era un giocatore estremamente pratico nelle sue valutazioni ed evitava le avventure sulla scacchiera, probabilmente perché le riteneva sterili sul piano concreto. Dotato di straordinarie abilità analitiche, era un profondo e acuto conoscitore dei finali e sapeva attaccare o difendersi con eguale maestria, mantenendo sempre un eccezionale sangue freddo soprattutto nelle fasi più delicate di una partita o una competizione, riuscendo spesso a recuperare con lunghe serie di vittorie finali negli incontri diretti nei tornei che, per mancanza di allenamento, iniziava con risultati mediocri. (parte quinta, cap. XXX, p. 327)
  • Accanto alle Olimpiadi [degli scacchi del 1937 a Stoccolma] si giocò il [sesto] campionato mondiale femminile con 26 partecipanti a girone svizzero: Vera Menchik[6] stravinse ancora con 14 punti su 14 partite, ma nell'incontro diretto con Clarice Benini a un certo punto si trovò con due pedoni netti in meno e ricuperò solo per la mancanza di tecnica della giocatrice fiorentina. La campionessa italiana arrivò comunque seconda con 10 punti, uno di vantaggio sulla lettone Lauberte e sulla tedesca Sonja Graf: un successo esaltante e inatteso, specialmente per una giocatrice al suo secondo torneo importante, priva di esperienza e di allenamento. (parte quinta, cap. XXX, pp. 328-329)
  • Il 1951 fu l'anno magico di Enrico Paoli: nei primi tre mesi esplose vincendo tre importanti competizioni una dopo l'altra a Vienna, Venezia e Firenze. [...].
    In marzo Paoli divenne per la prima volta campione d'Italia, dimostrando maggiori capacità di resistenza dei suoi avversari e approfittando inesorabilmente dei loro errori. (parte quinta, cap. XXXIV, pp. 392-393)
  • Il gioco per corrispondenza probabilmente nacque nella Repubblica di San Marco e i primi telescacchisti furono dei mercanti veneziani e dalmati. La più antica notizia sul gioco per corrispondenza conosciuta proviene dall'orientalista inglese Thomas Hyde, che nel primo capitolo «Mandragorias seu historia Shahludii» del suo De ludis orientalibus scrisse:
    Et mihi relatum est, Mercatores Venetos e Croatos multum inter se distantes, per epistolas Scachis ludere, ita ut pro singulis singulorum Militum motionibus Literae scribendae sint, magnosque utrinque sumptus facessentes priusquam unus aliquis lusus finiatur[7] (parte quinta, cap. XXXV, p. 415)
  • Dopo l'unità d'Italia le prime partite per corrispondenza vennero giocate fra circoli. La «Nuova Rivista degli Scacchi» diede notevole impulso a questo tipo di gioco scrivendo nel numero di ottobre del 1875:
    Per aumentare l'interesse e il diletto che desta nei suoi cultori il giuoco degli scacchi, e per rendere maggiore e più strette le relazioni fra i vari dilettanti d'Italia, molti fra i quali si conoscono a mala pena di nome, crediamo che non vi sia miglior mezzo di questo delle partite giuocate per corrispondenza.
    Il gioco per corrispondenza svolse quindi un ruolo importante per orientare l'interesse verso un'organizzazione di tutti i circoli italiani. (parte quinta, cap. XXXV, p. 416)
  • Nel 1880 si ebbe la prima partita giocata in Italia per telefono, con un anticipo di ben 17 anni sulle prime partite giocate per telegrafo, che si svolsero tra le Società scacchistiche di Milano e Palermo solo nel 1897 (per la cronaca la «Milanese», guidata da Edoardo Crespi, vinse per 1½ a ½). (parte quinta, cap. XXXV, p. 417)
  • [Alle Olimpiadi degli scacchi del 1974] Mariotti in prima scacchiera vinse la medaglia di bronzo con 14 punti su 19 superato solo dal giovane candidato al titolo mondiale Karpov e da Torre[8]. Inoltre il fiorentino ottenne la seconda norma e divenne così il primo grande maestro italiano. (parte quinta, cap. XXXVII, p. 466)
  • Nel 1975 Milano si era candidata come sede della sfida Fischer-Karpov, ma l'americano non giocò e il giovane russo venne proclamato campione del mondo. Pur avendo sconfitto, contro le previsioni di tutti gli esperti, Polugaevsky, Spassky e Korčnoj, Anatolij Karpov venne definito un «campione di carta». Egli rispose attuando il programma annunciato, ma non realizzato da Fischer: essere un campione del mondo che giocava e vinceva i grandi tornei. (parte quinta, cap. XXXVII, p. 469)
  • [Nella sfida per il campionato del mondo di scacchi del 1981 a Merano] Kortschnoi non pagava la differenza di età, un fattore in parte vanificato dalla sua straordinaria carica di energia. Il vero problema del «terribile» Viktor stava nell'insufficiente repertorio di apertura col Nero, contro 1. e4: non possedeva una difesa capace di impedire a Karpov di entrare in quelle posizioni di pressione posizionale leggera, ma persistente, senza l'ombra di un controgioco avversario, da lui preferite e trattate con straordinaria maestria. E senza i suoi micidiali controgiochi Kortschnoi era perduto: gli mancava insomma l'abitudine e la preparazione per giocare la Siciliana col Nero! (parte quinta, cap. XXXIX, pp. 505-506)

Explicit modifica

L'aspetto più inquietante [dell'ingresso dell'informatica nel gioco degli scacchi], naturalmente, resta quello del livello di gioco raggiungibile dagli elaboratori: l'indiscutibile impatto sui «media» e sull'opinione pubblica italiana suscitato dall'incontro fra Garry Kasparov e «Deep Thought», il più avanzato programma scacchistico attuale, è stato al disopra delle aspettative, anche se la facile e netta vittoria del giovane campione del mondo[9] ha per ora tranquillizzato gli scacchisti e forse deluso i profani.

Note modifica

  1. Problema di scacchi in cui il Nero, diversamente dai problemi classici, muove per primo, e collabora con il Bianco affinché questi possa mattarlo nel numero di mosse indicato nell'enunciato.
  2. G. Dolcetti, Le bische ed il giuoco d'azzardo a Venezia 1172-1807, Venezia 1903, Appendice, p. 213. [N.d.A.]
  3. Efim Bogoljubov (1889–1952), scacchista tedesco di origine ucraina. Disputò due match (1929 e 1934) per il Campionato del mondo contro Alechin, ma fu sconfitto entrambe le volte.
  4. Associazione Scacchistica Italiana, denominazione della Federazione Scacchistica Italiana dal 1928 al 1946.
  5. La Benini si classificò seconda, dopo la tedesca Sonja Graf, con 7 punti su 11.
  6. Vera Francevna Menchik (1906–1944), scacchista cecoslovacca naturalizzata britannica, più volte campionessa mondiale femminile.
  7. Th. Hyde, De ludis orientalibus, Oxonii 1694, p. 62: «Mi è stato riferito che mercanti veneti e croati, fra loro distanti, giocano a scacchi epistolarmente, in modo che per ogni mossa dei singoli pezzi deve inviarsi un dispaccio, con ingenti spese prima che una partita giunga alla fine» (trad. di Adriano Chicco in «Telescacco lampo», a. XIII, n. 11, 1982, p. 176). [N.d.A.]
  8. Eugenio Torre (1951–vivente), scacchista filippino.
  9. Gli autori si riferiscono al match di due partite del 1989 vinto da Kasparov a punteggio pieno. Nel maggio del 1997, una versione aggiornata di Deep Blue sconfisse Kasparov in un match di sei partite col punteggio di 3.5-2.5.

Bibliografia modifica

  • Adriano Chicco e Antonio Rosino, Storia degli scacchi in Italia dalle origini ai giorni nostri, presentazione di Anatolij Karpov e Nicola Palladino, Marsilio Editori, Venezia, 1990. ISBN 88-317-5383-5