Stefano Bartezzaghi

giornalista e scrittore italiano

Stefano Bartezzaghi (1962 – vivente), enigmista e scrittore italiano.

Stefano Bartezzaghi

Citazioni di Stefano Bartezzaghi

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  • Anche se non sai cosa vuol dire «resiliente», spera di esserlo. Acquisisci resilienza. Può sempre servirti, anzi ti servirà senz'altro. Prendi un dizionario. Più il dizionario è recente, più estesa sarà la voce resilienza. I dizionari di qualche anno fa si limitavano all'accezione tecnica: la capacità di un materiale di resistere a deformazioni e urti senza spezzarsi. Ma dato che la parola sta diventando di moda in diversi campi, aggiungono accezioni su accezioni. C'è la resilienza tessile, capacità dei tessuti di riprendere la loro forma originaria, no iron, né ironie. C'è la resilienza psicologica, capacità di assorbire traumi e affrontare avversità. C' è la resilienza ecologica, che riguarda le specie e il loro modo di affrontare le catastrofi ambientali. C'è la resilienza informatica, quella geriatrica e persino una resilienza che concerne la produzione di dentiere. Ma tutto quello che ha a che fare con questo concetto, all'apparenza tanto tecno e fico, appare, gratta gratta, malinconico e anziano. Sarà che viene da diffidare di termini astratti che non hanno dietro un verbo: la resistenza è l'azione di chi resiste, la residenza è la condizione di chi risiede, ma la resilienza? Chi di voi ha mai solo incominciato a resiliare?[1]
  • Conca: che bella parola! Non ce ne sono tante così fonosimboliche, ovvero capaci nel suono di dare un'idea quasi visiva del significato. La bocca si apre per pronunciare la C, e poi si allarga per la A finale.[2]
  • Della prima volta che scorse la scritta Arbeit Macht Frei [Primo Levi] dice: "il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni". Odori, suoni, luci si trasformano in sensazioni tattili, direttamente fisiche, e dolorose: percuotono. Come per molti usi leviani, anche questo è di derivazione dantesca: "Ne l'orecchie mi percosse un duolo" (Inf. VIII-65): è il dolore che si fa suono, il lamento degli ospiti di Dite, la città infernale a cui Dante si avvicina con Virgilio e a cui Levi assimila il lager.[3]
  • Il "benaltrismo" è quell'atteggiamento che rifiuta di affrontare qualsiasi problema poiché ne trova sempre uno più grosso e importante. L'ipotesi che per ogni problema è sempre possibile trovarne uno più grosso e importante ha basi solo induttive e non può essere verificata: ma di fatto non è mai stato trovato un singolo caso che la smentisse. Che sia introdotto da un "Benaltro" o da un più leggendario "Non dimentichiamoci che" si tratta sempre del passaggio da un palo a una frasca, nei casi più giustificabili, da una pagliuzza a una trave. Se non è un modo per sviare un discorso sgradito, è comunque sintomo di nevrosi, di un eterno decentramento del focus, una bulimia del problematico che si può risolvere solo con ben altro che una battuta di spirito.[4]
  • Nulla di quanto scrive Aldo Busi potrebbe essere scritto, se non come lo scrive lui. Non so di quanti altri scrittori italiani viventi lo si possa dire, soprattutto in riferimento a un'opera oramai imponente, costruita in decenni di attività nel silenzio e disinteresse della critica (né l'uno né l'altro davvero completi, però). [...] La sua letteratura, e El especialista de Barcelona lo conferma, ha una forte carica civile, ritraendo con acume rigoroso – non privo di pietas – la politica delle relazioni fra gli individui. Di questa attenzione per la politica delle relazioni è parte, e non solo espressione, la competenza sintattica e lessicale che Busi manifesta senza tradire sforzi. Il pensiero e il giro di frase di Busi dicono spesso, assieme, la stessa cosa: ed è qualcosa che ha a che fare con la vita delle persone, con il loro individualismo, la loro socialità.[5]
  • Tommaso Labranca ha così dovuto e/o preferito vivere di istinti, di scrittura, di sbalzi d'umore e di una marginalità difesa come un tratto identitario; delle risate che suscitavano certe sue fantastiche invenzioni e della solitudine insondabile da cui le generava. È andata così: è stato un grande peccato per tutti noi; è stato un peccato enorme, capitale, imperdonabile per lui.[6]
  • [Ad una domanda sul rapporto fra matematica e letteratura] Vedo con favore i rapporti di tutto con tutto, e della Matematica con la Letteratura in particolare. [...] Detto questo, diffido un po' delle pure suggestioni: i matematici leggono Borges, ascoltano Bach, i letterati leggono Hofstadter... [...] Posso visitare una regione esotica, inebriarmi di architetture e usanze che mai conoscerò e tornarmene a casa con il mio rullino di diapositive. Questo è ciò che chiamo suggestione.
    Un rapporto più profondo, invece, implica un vero e proprio "bilinguismo": Gadda era perfettamente "bilingue" (perfetto scrittore, perfetto ingegnere) e ha saputo raccontare complesse equazioni nel suo linguaggio irresistibile. Bilingue è Roubaud. Bilingue era Queneau.[7]

Intervista a Stefano Bartezzaghi, raicultura.it

  • Lolita è, in gran parte del romanzo, un mistero. È come la lepre che fugge dietro al branco che la insegue. Noi lettori non riusciamo mai a catturarla davvero. È un personaggio ambiguo, enigmatico, proprio nella sua apparente sfrontatezza, le bugie che dice alla madre e poi il rapporto di sotterfugi che usa, prima per avvicinarsi ad Humbert Humbert, e poi per allontanarsene. Trame complicate di bugie che non vengono mai rivelate compiutamente al lettore. C’è uno scioglimento, quando Lolita lascia Humbert Humbert e insegue questo suo misterioso ammiratore e lì molte cose si viene a saperle, ma sembra attraverso gli occhi di Humbert Humbert e la possibilità che lui si sia ingannato.
  • Lo scandalo di Lolita in realtà precede l’uscita del libro stesso. Nabokov non riusciva a pubblicarlo. Era già un romanziere affermato, anche se non aveva mai ottenuto le tirature che avrebbe fatto con Lolita, ma fu costretto a pubblicare il libro con una casa editrice abbastanza equivoca, che giocava appunto sulla possibile lettura morbosa del romanzo.
  • Nabokov era un entomologo molto esperto, in tutti i suoi libri ci sono farfalle. Aveva progettato una ricerca sulle farfalle che poi non ha portato a termine. Ha fatto una volta una viaggio in Italia, cercando in tutti i musei rappresentazioni di farfalle nei grandi quadri della tradizione artistica italiana. Ha anche dato un nome a delle farfalle da lui scoperte, come usa tra gli entomologi, e una di queste aveva nel nome un riferimento chiaro a Lolita: mi sembra ci fosse dentro la parola ninfetta, nel nome latino inventato da Nabokov.
  1. Da Resilienza, una parola al potere, la Repubblica, 29 febbraio 2012.
  2. Da La conca del Naviglio, repubblica.it, 25 febbraio 2004.
  3. Da Nel lager con Proust, il segreto di Primo Levi, Rep.repubblica.it, 26 dicembre 2019.
  4. Da Non se ne può più, Mondadori, 2012, p. 80. ISBN 8852025669
  5. Da una presentazione su Premiostrega.it.
  6. Stefano Bartezzaghi Tommaso Labranca, vivere di istinti, Doppiozero, 5 settembre 2016
  7. Dall'intervista di Rosi Tettamanzi Guerraggio, Giochi di parole, giochi di numeri.

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