Salvatore Lupo
Salvatore Lupo (1951 – vivente), storico italiano.
Citazioni di Salvatore Lupo
modificaCitazioni in ordine temporale.
Intervista di Attilio Bolzoni, repubblica.it, 28 febbraio 2016.
- La mafia è stata sempre un potere minore rispetto a quello ufficiale dello Stato e delle élite sociali. Dobbiamo considerare l'era dei Corleonesi come una parentesi nella storia della mafia. La stagione del terrorismo mafioso è terminata, spero definitivamente. Io non posso certo prevedere il futuro, però non ci sono elementi che indichino ritorni a quel passato tragico, ve ne sono invece che indicano il contrario. Quella guerra è finita. Il numero degli omicidi in questo Paese è drasticamente diminuito, il Mezzogiorno sta nella media nazionale, in Sicilia si ammazza meno che in Lombardia. Se penso al 1991...
- [«Da più parti si dice che dopo le stragi del '92 la mafia sia stata colpita ma solo nella sua struttura militare, non in quella "politica". È andata così?»] Non mi pare che nella considerazione di questo fenomeno possa essere introdotta una distinzione così netta. La mafia è un incrocio di criminalità violenta, politica e affari. Lo era tra '800 e '900, quando i mafiosi erano uomini di fiducia dei proprietari fondiari. "Facinorosi della classe media", li chiamava Franchetti nel 1877. Lo era anche dopo, quando i mafiosi servivano da terminale periferico di macchine politico- elettorali. Non possiamo insistere su schemi dicotomici come quelli cui lei accennava. Riveleremmo un'incapacità di fondo di capire di che si tratta.
- [«Dunque, secondo lei, lo Stato ha vinto e la mafia ha perso. Molti però dicono che c'è una nuova mafia...»] Sì, e allora? Questo non cancella ciò che è avvenuto: uno scontro tremendo conclusosi con l'annientamento del gruppo di comando di Cosa nostra. Si tratta di una vittoria transitoria? Ciò non toglie che sia storicamente molto rilevante. Niente trionfalismi, certo. Lo stato di salute cagionevole (uso un eufemismo) della democrazia e della morale pubblica in Italia, e in particolare in Sicilia, esclude rivolgimenti palingenetici. Però non è giusto né utile dimenticare che questa nostra epoca è diversa da quella sanguinosa di 35 anni fa. C'è un pezzo di opinione pubblica che ragiona come se quei fatti tragici fossero avvenuti ieri, anzi che si sente come bloccata in quel passato. Vogliamo ammetterlo che tanti sforzi, tanti sacrifici – anche della vita – sono serviti a qualcosa? È paradossale e frustrante che uno dei pochi risultati conseguiti in questo Paese non sia riconosciuto.
Intervista di Simonetta Fiori, repubblica.it, 30 settembre 2022.
- [Il fascismo] È stata la risposta alla crisi della democrazia liberale dopo un evento traumatico come la Grande Guerra. Il conflitto armato diventa un modello di governo della società, sia in pace che in guerra. Quando usiamo il termine totalitarismo intendiamo questo.
- [Mussolini] Non rinunciò mai all'idea della rivoluzione, tanto da andarsi a suicidare in una prova sproporzionata rispetto alle sue forze: la guerra fu vista come l'unico modo per stabilire un ordine nuovo, mentre si sarebbe rivelata distruttiva per il Paese e per lo stesso fascismo. Da questo punto di vista l'idea di rivoluzione, seppure demagogica e irrealistica, restituisce tutta la dimensione tragica dell'esperienza fascista.
- A me pare che in Fratelli d'Italia siano finora sopravvissuti alcuni tratti della cultura politica neofascista come il nazionalismo, l'antieuropeismo, l'ostilità verso i paesi ricchi quali Germania e Francia.
- La violenza è un elemento costitutivo del fascismo. Una violenza "chirurgica" - per usare una definizione di Mussolini - che doveva costringere il Paese ad avviarsi sulla strada della rigenerazione. L'ideologia dello squadrismo, che si manifesta fin dalle origini, è destinata ad accentuarsi nel corso del decennio successivo: basti pensare alle stragi in stile squadrista perpetrate in Etiopia dopo l'attentato a Rodolfo Graziani.
- Il razzismo ha la funzione di radicalizzare l'adesione degli italiani al regime. La strada indicata da Mussolini è questa? Allora bisogna seguirla. A tirarsi indietro furono in pochissimi.
- È vero che l'Italia ha inventato il fascismo, in minima parte l'ha anche esportato. Ma questo non vuol dire che ci sia un fascismo eterno che covi sotto la cenere. Il nostro Paese ha fatto anche la storia dell'antifascismo.
Benito Mussolini nacque il 29 luglio del 1883 in Romagna, a Predappio, da una famiglia di modesta condizione sociale: la madre faceva la maestra e il padre l'artigiano. «Figlio di fabbro», l'avrebbe detto l'agiografia di regime desiderosa di sottolineare come il duce scaturisse da un popolo antico, forte e laborioso; «sono venuto dal popolo», avrebbe confermato egli stesso nel corso della celebre intervista concessa a Emil Ludwig[1]. Un aspetto diverso evidenziò invece Paolo Monelli, giornalista di punta durante il ventennio, autore di una fortunata biografia postbellica del capo sconfitto[2], in cui i Mussolini erano raffigurati come una famiglia di piccoli proprietari decaduti, appartenenti alla classe «che non ama lavorare la terra dopo che ne ha perduto la proprietà, che invidia i borghesi agiati, che ha una sua passione per leggere e per imparare, ma non ha la disciplina dell'istruzione» – il tutto per disegnare, in maniera alquanto tendenziosa, un contesto sociale ispirato al modello salveminiano della piccola borghesia affamata e politicante.
Note
modificaBibliografia
modifica- Salvatore Lupo, Il fascismo. La politica di un regime totalitario, Donzelli editore, Roma, 2005. ISBN 88-7989-924-4
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