Mario Tedeschi

giornalista e politico italiano tra i mandanti della strage di Bologna (1924-1993)

Mario Tedeschi (1924 – 1993), giornalista e politico italiano.

Mario Tedeschi

Roma democristiana modifica

  • L'essere stata a lungo sede del governo papale, ha impedito a Roma di avere un terzo stato; la borghesia romana è formata da funzionari (ossia gente remunerata a stipendio) e, per quel che riguarda il commercio, da rivenditori. L'industria è tutta sul piede di quelle piccole aziende che stanno a mezzo tra l'impresa moderna e l'artigianato; mentre i sette-otto nomi «grandi», partoriti dalle speculazioni edilizie, non bastano a costruire una classe a sé. (cap. I, p. 18)
  • L'uomo che gettò le basi e codificò le regole della speculazione edilizia a Roma, fu un belga, monsignor Francesco Saverio De Merode. Ministro delle Armi dello Stato pontificio nella seconda metà del 1800. [...] Saverio De Merode, infatti, fu il primo a comprendere che la Roma papale si sarebbe estesa verso Termini. Perciò, quando i bersaglieri entrarono da porta Pia, tutta la zona su cui successivamente sorse la cosiddetta «Roma umbertina» apparteneva al prelato belga: e questi nel 1871, avviò la speculazione basata sull'espediente di far dichiarare «zone fabbricabili» i quartieri in suo possesso. Fu il primo caso pratico di conciliazione fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica: e l'esempio fu contagioso. (cap. V, p. 40)
  • [Roma] La città, il cui volto un giorno era stato possibile identificare nelle nobili linee della via Giulia, ha ormai trovato la sua nuova espressione grazie al cartone colorato dei Parioli. È destino, del resto, che ogni epoca, arrecando il suo contributo di incremento al disordine edilizio romano, lasci dietro di sé un piccolo nucleo ben preciso come punto di riferimento. I Savoia lasciarono via Cavour, piazza Indipendenza e le caserme del Macao; Mussolini lasciò via dell'Impero; Roma democristiana lascia i Parioli. (cap. V, p. 51)
  • Chi si affaccia da un balcone dei vari «pentacamere extralusso triservizi termocentrale panoramico» dei Parioli, ha la visione di un villaggio di cartapesta sul quale un pittore impazzito abbia menato colpi a vanvera con il pennello: prima sbaffando le case e poi schiacciandole, contorcendole. I raggi del sole riflettono, qua e là i tubi cromati, le nichelature; alle finestre, la popolazione particolarissima che la domenica affolla la chiesa di San Bellarmino in «Ungheria Square». Per le strade contorte scivolano silenziose macchine con targhe straniere o rumorosi motoscooters; dappertutto si avverte un'atmosfera da repubblichetta sudamericana, da paese dove le abitazioni sono costruite per ministri e generali che, al momento opportuno, fuggono in aereo con tutta la cassa dello Stato. È il comfort razionale americano portato sul piano della brillantina all'eliotropio; la pianificazione in un quartiere delle case inventate per Frank Costello e Gusmik «pollice unto». (cap. V, pp. 51-52)
  • Soltanto Marcello Piacentini resta oggi a difendere i Parioli «prima tanto decantati e apprezzati, oggi disprezzati e aborriti», affermando che «nel suo insieme questo immenso quartiere può reggere il paragone con molti altri creati in paesi più ricchi del nostro». Marcello Piacentini è forse l'unico architetto in tutto il mondo che rapporti i problemi di estetica e di urbanistica alla ricchezza dei paesi; e questo è un dato molto indicativo per un giudizio sull'opera sua. (cap. V, p. 52)
  • Se la sconfitta dell'Italia nel 1943 non avesse fermato Marcello Piacentini, oggi una parte di Villa Borghese sarebbe distrutta, via Vittoria «sventrata», via Condotti pure; e al posto delle tre piazze di Capranica, Colonna e Montecitorio, si stenderebbe una specie di deserto di Gobi, gelido regno della tramontana in inverno, assolato inferno d'estate. (cap. V, p. 53)
  • Maghi e indovini dominarono con facilità la nuova capitale della superstizione, finché apparve, come un piccolo Rasputin romano, certo Achille d'Angelo [...] soprannominato il «Mago di Napoli».
    L'avvio alla professione magica non fu semplice per Achille d'Angelo, il quale giunse a scoprire le sue eccezionali possibilità dopo aver fatto l'uomo sandwich e il camminatore sui trampoli; in compenso però egli non ebbe mai crisi mistiche. Nella sua vita di perfetto taumaturgo dei nostri tempi, vi fu sempre soltanto il sano desiderio di progredire, aumentando i guadagni e allargando la schiera delle amicizie. (cap. VIII, p. 84)
  • [Achille d'Angelo] Ha dato informazioni sui prigionieri dispersi, ha magnetizzato la bicicletta di Coppi prima di un giro d'Italia, ha collaborato con la polizia per la ricerca di lestofanti e refurtiva, ha dato consigli politici: è una autorità. «Posso fare molto bene», diceva all'inizio della carriera, «ma posso anche portare una jella tremenda»: e questa frase funzionò per lui come un «carro di rottura», frantumando ogni tardivo desiderio di resistenza, annullando in ognuno il timore del ridicolo. (cap. VIII, p. 84)
  • Quando ci si reca a visitarlo, la sorpresa più bella viene alla fine, allorché Achille d'Angelo ha già offerto al visitatore il suo talismano eccezionale: una medaglietta di metallo argentato recante da un lato un quadrifoglio e dall'altro l'immagine del taumaturgo indovino [...]. Il Mago prende la medaglia, se l'appiccica sulla fronte con gesto deciso, e invita l'ospite a tendere la mano per raccogliere il talismano non appena cadrà. Poi con aria segretissima, apre il portafoglio e ne trae la fotografia formato tessera di Mario Missiroli, voltando il cartoncino per consentire la lettura della dedica: «Perché tu mi tenga sempre con te», scritta dal maestro del giornalismo italiano. Il «Mago del Regime», come è giusto che sia, ha il brevetto del Corriere della Sera. (cap. VIII, pp. 84-85)
  • Occupandosi da dilettanti di cinematografo e di giornalismo, padre Morlion e i suoi collaboratori ritenevano di aver «modernizzato» la Chiesa; e invece ne avevano ridotto gli insegnamenti al livello del comunismo da periferia. (cap. IX, p. 91)
  • Non appena Pio XII ebbe scomunicato i comunisti, fra il 1949 e il 1950, il padre Morlion si gettò con foga disperata a tenere comizi nelle sezioni del PCI per convincere gli iscritti che, nonostante le parole del Papa, non tutti si dovevano ritenere condannati in eterno, ma soltanto quelli che professavano scientemente il materialismo ateo. Secondo le statistiche della Pro Deo, in due anni più di trecentocinquantamila elementi del PCI ebbero direttamente dal padre Morlion questa rassicurante notizia, che li autorizzava ad essere comunisti purché fossero rimasti ignoranti. (cap. IX, p. 91)

Bibliografia modifica

  • Mario Tedeschi, Roma democristiana, Longanesi & C., Milano, 1956.

Altri progetti modifica