Gaio Sallustio Crispo

storico e senatore romano
(Reindirizzamento da La congiura di Catilina)

Gaio Sallustio Crispo (86 a.C. – 34 a.C.), storico e politico romano.

Gaio Sallustio Crispo

La congiura di Catilina

modifica

Originale

modifica

Omnis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope niti decet ne vitam silentio transeant, veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedientia finxit.[1]

Vittorio Alfieri

modifica

Agli uomini, che ambiscono esser da più degli altri animali, conviene con intenso volere sforzarsi di viver chiari; e non come bruti, cui natura a terra inchinò, ed al ventre fe' servi.

Luca Canali

modifica

Tutti gli uomini che si studiano di superare ogni altro vivente, con somma energia conviene si adoprino per non trascorrere la vita nel silenzio, come le bestie che la natura fece chine in terra e solo ubbidienti agli impulsi del ventre.

Lidia Storoni Mazzolani

modifica

Tutti gli uomini che mirano a emergere su gli altri esseri animati debbono impegnarsi con il massimo sforzo, se non vogliono trascorrere l'esistenza oscuri, a guisa di pecore, che la natura ha create prone a terra e schiave del ventre.

Silvia Perezzani e Sandro Usai

modifica

Per tutti coloro che mirano a emergere su altri esseri viventi, è conveniente applicarsi con fortissimo impegno al fine di non trascorrere la vita senza lasciare memoria di sé, a guisa di bestie che la natura ha formato prone a terra e dedite unicamente alla preoccupazione del cibo.

Giuseppe Pontiggia

modifica

Tutti gli uomini che desiderano eccedere fra gli esseri del mondo, con ogni mezzo debbono prodigarsi per non condurre oscuramente la vita, come gli animali, che la natura ha foggiato con il capo rivolto a terra, e schiavi del ventre.[2]

Citazioni

modifica
  • Ogni nostra forza è posta nell'anima e nel corpo: la prima è destinata a comandare, l'altro ad ubbidire; l'una ci accomuna agli dèi, l'altro ai bruti. (I, 2)[3]
  • Infatti la fama delle ricchezze e della bellezza è fugace e fragile, la virtù è considerata illustre ed eterna.[2]
Nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur. (1.4)[1]
  • La prosperità mette alla prova persino l'animo dei saggi. (XI, 8)[4]
  • Volere e non volere le stesse cose, questa è la vera amicizia.[2]
Nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est. (20, 4)[1]
  • Più grande è la fortuna, tanto minore la libertà d'azione.[2]
Ita in maxuma fortuna minuma licentia est. (51, 13)[1]
  • [...] un non far guerra e non aver pace [...]. (31; 1998)
[...] neque bellum gerere neque pacem habere [...].
  • Ma chi avrà da ridire su una punizione decretata contro assassini dello Stato? Le circostanze il tempo la sorte, il cui capriccio governa le genti.[2]
At enim quis reprehendet quod in parricidas rei publicae decretum erit? Tempus dies fortuna, quoius lubido gentibus moderatur. (51,25)[1]
  • Tutte le cattive azioni derivano e prendono a esempio delle buone azioni. (Cesare, commentando il precedente che costituirebbe la messa a morte di un cittadino romano: 51,27)[2]
Omnia mala exempla ex rebus bonis orta sunt.[1]
  • [Catilina] Sempre, in battaglia, è più grave il pericolo per coloro che hanno il maggior timore; l'audacia è un baluardo. (58; 1998)
Semper in proelio iis maxumum est periculum, qui maxume timent; audacia pro muro habetur.

Silvia Perezzani e Sandro Usai

modifica
  • La vita è breve ma viene resa più lunga dal ricordo che di noi lasciamo. Infatti il prestigio, che ci viene dal denaro e dalla prestanza fisica scorre come un fiume ed è fragile come un fuscello. La rettitudine, invece, risplende eternamente. (p. 17)
  • Nella molteplicità delle attività umane la Natura offre sempre a ciascuno la propria strada. (p. 19)
  • Ai potenti risulta più sospetta l'onestà che la depravazione e per loro la virtù è fonte di angoscia. (p. 23)
  • In tutte le cose la sorte è padrona e a suo capriccio, più che in base alla verità, le imprese vengono rese illustri oppure oscure. (p. 25)
  • L'avidità non ama che il denaro, cosa non certo tipica dei saggi; questa forma di avidità è simile ad un veleno mortale; illanguidisce il corpo e l'animo dell'uomo; è sempre inesauribile e insaziabile, né l'abbondanza, né la penuria di mezzi riescono a placarla. (p. 27)

Ritratto di Catilina (5,1-8)

modifica
1. L. Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi et corporis, sed ingenio malo pravoque. 2. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere, ibique iuventutem suam exercuit. 3. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae supra quam cuiquam credibile est; 4. animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator, alieni adpetens, sui profusus, ardens in cupiditatibus. 5. Satis eloquentiae, sapientiae parum vastus animus immoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat. 6. Hunc post dominationem L. Sullae lubido maxuma invaserat rei publicae capiundae, neque id quibus modis adsequeretur, dum sibi regnum pararet, quicquam pensi habebat. 7. Agitabatur magis magisque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum, quae utraque iis artibus auxerat quas supra memoravi. 8. Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant.[1] 1. Lucio Catilina, nato da una famiglia nobile, fu un uomo di grande energia intellettuale e fisica, ma di natura maligna e cattiva. 2. Fin dall'adolescenza trovava il suo piacere nelle guerre civili, nelle stragi, nelle rapine e nella discordia civile, e lì trascorse la sua gioventù. 3. Aveva un fisico capace di sopportare i digiuni, al freddo e alle veglie più di quanto sia credibile a ciascuno. 4. L'animo audace, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di qualunque cosa, avido delle cose altrui, sperperatore del proprio, ardente nei piaceri. 5. Non privo di eloquenza, ma di poco giudizio: un'indole insaziabile in lui desiderava sempre cose smodate, incredibili, troppo alte. 6. Dopo il dispotismo di Lucio Silla, lo assalì un desiderio grandissimo di impadronirsi dello Stato, e non dava importanza in quali modi otteneva ciò pur di procurarsi il potere. 7. Sempre più di giorno in giorno l'animo fiero è turbato dalla mancanza di un patrimonio familiare e dalla consapevolezza dei misfatti, frutto tutti e due della condotta di vita che ho già prima ricordato. 8. Inoltre lo incitavano i costumi corrotti della città, che due mali pessimi e diversi tra loro, il lusso e l'avidità, corrompevano.[2]

Un drammatico confronto (31,1-9)

modifica
1. Quis rebus permota civitas atque inmutata urbis facies erat. Ex summa laetitia atque lascivia, quae diuturna quies pepererat, repente omnis tristitia invasit: 2. festinare, trepidare, neque loco nec homini quoiquam satis credere, neque bellum gerere, neque pacem habere, suo quisque metu pericola metiri. 3. Ad hoc mulieres, quibus rei publicae magnitudine belli timor insolitus incesserat, adflictare sese, manus supplices ad caelum tendere, miserari parvos liberos, rogitare, omnia, <omni rumore> pavere,<adripere omnia> superbia atque deliciis omissis sibi patriaeque diffidere. 4. At Catilinae crudelis animus eadem illa movebat, tametsi praesidia parabantur et ipse lege Plautia interrogatus erat ab L. Paulo. 5. Postremo, dissimulandi causa, aut sui expurgandi, sicut iurgio lacessitus foret, in senatum venit. 6. Tum M. Tullius consul, sive praesentiam eius timens, sive ira conmotus, orationem habuit luculentam atque utilem rei publicae, quam postea scriptam edidit. 7. Sed ubi ille adsedit, Catilina, ut erat paratus ad dissimulanda omnia, demisso voltu, voce supplici postulare a patribus coepit ne quid de se temere crederent; ea familia ortum, ita se ab adulescentia vitam instituisse ut omnia bona in spe haberet; ne existumarent sibi patricio homini, cuius ipsius atque maiorum pluruma beneficia in plebem Romanam essent, perdita re publica opus esse, cum eam servaret M. Tullius, inquilinus civis urbis Romae. 8. Ad hoc maledicta alia quom adderet, obstrepere omnes, hostem atque parricidam vocare. 9. Tum ille furibundus: «Quoniam quidem circumventus – inquit – ab inimicis praeceps agor, incendium ruina restinguam.»[1] 1. La popolazione era sconvolta da queste notizie e l'aspetto della città era cambiato. Da una somma gioia e spensieratezza, che aveva procurato un lungo periodo di quiete, ben presto la mestizia invase tutti: 2. si agiva in fretta, si trepidava, non ci si fidava abbastanza né delle circostanze né di nessun uomo, non si faceva la guerra, né si aveva la pace, ognuno misurava i pericoli dal proprio timore. 3. Inoltre le donne, per le quali era diventato insolito il timore della guerra per la grandezza dello Stato, si affliggevano, tendevano le mani supplichevoli al cielo, compassionavano i figlioletti, chiedevano con insistenza, temevano tutto, messi da parte la superbia e i piaceri non avevano fiducia in se stesse o nella patria. 4. Nè desisteva il crudele animo di Catilina dai suoi fini portava avanti quei piani sebbene le difese fossero state preparate ed egli fosse stato messo sotto accusa da Lucio Paolo in base alla legge Plozia. 5. Infine, per dissimulare e per discolparsi, come se fosse stato provocato da un attacco, giunse in Senato. 6. Allora il console Marco Tullio, sia poiché temeva la sua presenza, sia perché mosso dall'ira, tenne un discorso eloquente e vantaggioso per lo Stato, che in seguito rese per iscritto. 7. Ma quando egli si sedette preparato com'era a fingere tutto, con il volto avvilito, con la voce supplichevole cominciò a chiedere ai senatori che non credessero qualcosa di lui sconsideratamente; egli disse che nato da quella famiglia aveva condotto una vita, fin dall'adolescenza in modo tale da sperare ogni bene; e disse loro di non pensare che lui, un patrizio i cui benefici e quelli dei suoi antenati verso la plebe romana erano moltissimi, avesse bisogno di distruggere lo Stato, mentre Marco Tullio inquilino nato fuori dalla città di Roma lo conservasse. 8. Aggiungendo a queste anche altre ingiurie, tutti gridavano e lo chiamavano nemico e parricida. 9. Allora quello disse furioso: «Poiché circondato da nemici sono spinto alla rovina, spegnerò il mio incendio con la rovina».[2]

Cesare e Catone a confronto

modifica
1. Igitur eis genus, aetas, eloquentia, prope aequalia fuere; magnitudo animi par, item gloria, sed alia alii. 2. Caesar beneficiis ac munificentia magnus habebatur, integritate vitae Cato. Ille mansuetudine et misericordia clarus factus, huic severitas dignitatem addiderat. 3. Caesar dando, sublevando ignoscendo, Cato nihil largiundo gloriam adeptus est. In altero miseris perfugium erat, in altero malis pernicies. Illius facilitas, huius costantia laudabatur. 4. Postremo Caesar in animum induxerat laborare, vigilare, negotiis amicorum intentus sua neglegere, nihil denegare quod dono dignum esset; sibi magnum imperium, exercitum, bellum novum exoptabat ubi virtus enitescere posset. 5. At Catoni studium modestiae, decoris, sed maxume severitatis erat. 6. Non divitiis cum divite neque factione cum factioso, sed cum strenuo virtute, cum modesto pudore, cum innocente abstinentia certabat. Esse quam videri bonus malebat; ita, quo minus petebat gloriam, eo magis illum assequebatur. 1. Essi ebbero dunque la stessa origine, età, eloquenza quasi uguali; uguale grandezza d'animo, parimenti la gloria, ma diversa nell'uno e nell'altro. 2. Cesare era considerato grande per i favori e per la generosità, Catone per l'integrità della vita. Quello era diventato famoso per la mitezza e per la pietà, a questo l'austerità aveva aggiunto dignità. 3. Cesare conseguì la gloria col dare, con l'aiutare, con il perdonare, Catone con il non concedere niente.In uno c'era rifugio per i miseri, nell'altro rovina per i malvagi. Di quello veniva lodata l'indulgenza, di questo la coerenza. 4. Alla fine Cesare si era deciso a darsi da fare, a vegliare, interessato agli affari degli amici, a trascurare i propri, non negando niente che fosse degno di un dono. Desiderava per sé un grande potere, un esercito, una nuova guerra dove il valore potesse risplendere. 5. Ma Catone aveva la passione della modestia, del decoro, ma soprattutto dell'austerità. 6. Gareggiava non in ricchezza con il ricco, non in faziosità con il fazioso, ma con il valoroso in valore, con il modesto in pudore, con l'onesto in temperanza. Preferiva essere buono piuttosto che apparire; così quanto meno aspirava alla gloria tanto più questa lo inseguiva.

Il discorso di Catilina ai soldati

modifica
1. «Compertum ego habeo, milites, verba virtutem non addere, neque ex ignavo strenuum, neque fortem ex timido exercitum oratione imperatoris fieri. 2. Quanta cuiusque animo audacia natura aut moribus inest, tanta in bello patere solet. Quem neque gloria neque pericula excitant, nequiquam hortere; timor animi auribus officit. 3. Sed ego vos quo pauca monerem advocavi, simul uti causam mei consili aperirem. 4. Scitis equidem, milites, socordia atque ignavia Lentuli quantam ipsi nobisque cladem attulerit, quoque modo, dum ex urbe praesidia opperior, in Galliam proficici nequiverim. 5. Nunc vero quo loco res nostrae sint iuxta mecum omnes intellegitis. 6. Exercitus hostium duo, unus ab urbe, alter a Gallia obstant. Diutius in his locis esse, si maxume animus erat, frumenti atque aliarum rerum egestas prohibet. 7. Ouocumque ire placet, ferro iter aperiundum est. 8. Quapropter vos moneo uti forti atque parato animo sitis et, cum proelio inibitis, memineritis vos dìvitias, decus, gloriam, praeterea libertatem atque patriam in dextris vostris portare. 9. Si vincimus, omnia nobis tuta erunt; commeatus abunde, municipia atque coloniae petebunt. 10. Si metu cesserimus, eadem illa advorsa fient, neque locus neque amicus quisquam teget quem arma non texerint. 11. Praeterea, milites, non nobis et illis necessitudo impendet: nos pro patria, pro libertate, pro vita certamus; illis supervacaneum est pugnare pro potentia paucorum. 12. Quo audacius adgredimini, memores pristinae virtutis. 13. Licuit vobis cum summa turpitudine in exilio aetatem agere; potuisti nonnulli Romae, amissis bonis, alienas opes expectare. 14. Quia illa foeda atque intoleranda viris videbantur, haec seqi decrevisti. 15. Si haec relinquere voltis, audacia opus est; nemo nisi victor pace bellum mutavit. 16. Nam in fuga salutem sperare, cum arma quibus corpus tegitur ab hostibus avorteris, ea vero dementia est. 17. Semper in proelio eis maxumum est periculum qui maxume timent; audacia pro muro habetur. 18. Cum vos considero, milites, et cum facta vostra aestumo, magna me spes victoriae tenet. 19. Animus, aetas, virtus vostra me hortantur, praeterea necessitudo, quae etiam timidos fortis facit. 20. Nam multitudo hostium ne circumvenire queat prohibent angustiae loci. 21. Quod si virtuti vostrae fortuna inviderit, cavete inulti animam amittatis, neu capti potius sicuti pecora trucidemini quam virorum more pugnantes cruentam atque luctuosam victoriam hostibus relinquatis». 1. «So bene, o soldati, che le parole non infondono coraggio e che l'esercito da pauroso non diventa valoroso né da pigro diventa lavoratore con il discorso di un generale. 2. In guerra è solito manifestarsi quanto coraggio ciascuno possiede grazie alla natura o alla sua formazione. È inutile esortare colui che non è stimolato né dalla gloria né dai pericoli; la paura dell'animo è di ostacolo alle orecchie. 3. Io vi ho convocati soltanto per darvi qualche consiglio ed esporvi la ragione della mia decisione. 4. Come certamente sapete, o soldati, Lentulo con la sua negligenza e la sua vitalità ha provocato un enorme danno a sé stesso e a noi; mentre attendevo rinforzi da Roma mi è stato impossibile trasferirmi in Gallia. 5. Perciò in questo momento voi tutti vi rendete conto quanto me di quale sia la nostra situazione. 6. Ci sbarrano la strada due eserciti, uno da Roma, l'altro dalla Gallia. La scarsità di grano e di altri generi alimentari ci impedisce di restare più a lungo in questi luoghi anche se il nostro animo lo sopporterebbe: 7. in qualsiasi direzione si voglia andare, è necessario aprire il cammino con le armi. 8. Per questa ragione vi invito ad essere forti e risoluti e, quando inizierete la battaglia, a tenere presente che portate nelle vostre destre la ricchezze, l'onore, la gloria oltre alla libertà e alla patria. 9. Se vinceremo, sarà tutto nostro; ci verranno dati rifornimenti in abbondanza, i municipi e le colonie ci apriranno le porte. 10. Se la paura ci farà retrocedere, tutto si volterà contro di noi, non ci sarà un rifugio, non un amico proteggerà chi non si è saputo difendere con le armi. 11. Non incombe su di noi e su di loro, soldati, la medesima necessità: noi ci battiamo per la patria, la libertà, la vita; a loro poco importa combattere per il potere di pochi. 12. Siate dunque più arditi all'attacco, memori della virtù antica. 13. Avreste potuto trascorrere la vita vergognosamente in esilio; alcuni di voi, perduto ogni avere, avrebbero potuto vivere a Roma di carità. 14. Ma situazioni come queste sono sembrate vergognose e intollerabili a veri uomini e perciò avete preferito seguire questa via. 15. Se volete uscire dalla guerra, ci vuole coraggio; nessuno può mutare la guerra con la pace se non da vincitore. 16. Ma sperare la salvezza nella fuga, dopo aver distolto le armi con le quali si protegge il corpo, codesta è pura follia! 17. Nei combattimenti, il maggior pericolo lo corrono coloro che hanno più paura: l'audacia è la miglior difesa. 18. Quando vi considero, soldati, e valuto le vostre azioni passate, mi prende una grande speranza di vittoria. 19. L'animo, l'età, il vostro valore mi danno coraggio e inoltre la situazione disperata rende eroi anche i paurosi. 20. I nemici, benché più numerosi, non possono accerchiarci: infatti lo impedisce l'angustia dei luoghi. 21. E se la sorte si opporrà al vostro valore, badate a non cadere invendicati e a non farvi catturare per essere sgozzati come pecore, ma piuttosto battetevi da prodi e lasciate ai nemici una vittoria piena di lutti e di sangue.»

La guerra giugurtina

modifica

Falso queritur de natura sua genus humanum, quod imbecilla atque aevi brevis forte potius quam virtute regatur. Nam contra reputando neque maius aliud neque praestabilius invenias, magisque naturae industriam hominum quam vim aut tempus deesse.

Vittorio Alfieri

modifica

A torto si dolgono gli uomini d'essere, per la debile loro e poco durevol natura, più da fortuna che da virtù governati. Che all'incontro, chi bene investiga nulla troverà di più grande, di più eccellente, che la nostra natura; a cui l'industria bensì, ma non la forza vien meno, né il tempo.

Lidia Storoni Mazzolani

modifica

A torto il genere umano si duole della propria natura perché, debole e di breve durata, è dominata dal caso più che dal valore. Se vi si riflette, al contrario, non si troverà al mondo cosa più alta e mirabile; ciò che manca alla natura umana non è il vigore, non è il tempo, è la costanza nell'operare.

Citazioni

modifica
Concordia parvae res crescunt, discordia maxumae dilabuntur.
  • Ma il re [Giugurta] ormai s'era convinto che nulla fosse impossibile a Metello, l'uomo che, con la sua tenacia, aveva saputo dominare tutto: armi, dardi, terreni impervii, clima e la natura stessa, che è signora di tutte le cose. (LXXVI, 1; 2013)
Sed rex nihil iam infectum Metello credens, quippe qui omnia, arma, tela, locos, tempora, denique naturam ipsam ceteris imperitantem industria vicerat.
  • La natura umana, a mio modo di vedere, è la stessa e identica per tutti gli uomini e il più nobile è il più valoroso, chiunque esso sia. (Gaio Mario: LXXXV, 15; 2013)
Quamquam ego naturam unam et communem omnium existumo, sed fortissumum quemque generosissumum.
  • Ho imparato da mio padre e da altri uomini integerrimi che alle donne si addice la raffinatezza, agli uomini il lavoro e che alle persone di coscienza serve più il nome onorato che il denaro, più le armi che le suppellettili: poiché sono le armi che costituiscono il loro migliore ornamento. (Gaio Mario: LXXXV, 40; 2013)
Nam ex parente meo et ex aliis sanctis viris ita accepi, munditias mulieribus, viris laborem convenire, omnibusque bonis oportere plus gloriae quam divitiarum esse; arma, non supellectilem decori esse.
  • Io non posso, per conquistare la vostra fiducia, vantare ritratti o trionfi o consolati dei miei antenati, ma se necessario, posso mostrare lance, stendardi, falere, altre decorazioni militari, e infine le cicatrici che mi attraversano il petto. Questi sono i miei ritratti, questa è la mia nobiltà: non mi è stata lasciata in eredità come la loro, ma l'ho conquistata a prezzo di innumerevoli fatiche e pericoli. (Gaio Mario: LXXXV, 29-30; 2013)
Non possum fidei causa imagines neque triumphos aut consulatus maiorum meorum ostentare, at, si res postulet, hastas, uexillum, phaleras, alia militaria dona, praeterea cicatrices aduerso corpore. Hae sunt meae imagines, haec nobilitas, non hereditate relicta, ut illa illis, sed quae ego meis plurimis laboribus et periculis quaesiui.

Citazioni su Gaio Sallustio Crispo

modifica
  • Alto – se non altissimo – valore ha Sallustio come storico artista. Primo fra i Romani egli ha avuto il concetto, e Tucidide glielo ha dato, che la storia possa o debba non essere soltanto racconto chiaro e fedele di fatti, ed anche delle loro concatenazioni causali, ma anche un penetrare nell'intimo dramma umano che entro i fatti si racchiude; uno studio delle umane passioni, di individui e di moltitudini, e de' loro effetti; una rivelazione dell'uomo all'uomo; e che questa severa opera di pensiero dello storico richieda una espressione artistica alta e severa, e un linguaggio suo, schivo della naturalezza e delle agilità, sia pure artistiche, del linguaggio dell'uso. (Carlo Giussani)
  1. a b c d e f g h Da C. Sallusti Crispi, Catilina, Iugurtha – Historiarum fragmenta selecta – Appendix Sallustiana, a cura di L.D. Reynolds, Oxford University Press, 1991. ISBN 0-19-814667-1
  2. a b c d e f g h Da Sallustio, La congiura di Catilina, a cura di Giuseppe Pontiggia, Mondadori, Milano, 2010.
  3. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  4. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, Milano, 2013. ISBN 9788858654644

Bibliografia

modifica
  • Gaio Sallustio Crispo, La congiura di Catilina, a cura di G. Pontiggia, Mondadori, 1992.
  • Gaio Sallustio Crispo, La congiura di Catilina, a cura e versione di Silvia Perazzi e Sandro Usai, TEN, 1994.
  • Gaio Sallustio Crispo, La congiura di Catilina, introduzione e note di Riccardo Scarcia, prefazione e traduzione di Luca Canali, Garzanti, Milano, 1998. ISBN 88-11-58278-4
  • C. Crispo Sallustio, La congiura di Catilina e La guerra di Giugurta, traduzione di Vittorio Alfieri, Londra [i.e. Firenze], [Piatti], 1804.
  • Sallustio, La congiura di Catilina, a cura di Lidia Storoni Mazzolani, Rizzoli, 2013.
  • Sallustio, La guerra di Giugurta, a cura di Lidia Storoni Mazzolani, Rizzoli, 2013.

Altri progetti

modifica