Léon Bloy

scrittore, saggista e poeta francese

Léon Bloy (1846 – 1917), scrittore, saggista e poeta francese.

Léon Bloy nel 1887

Citazioni di Léon Bloy modifica

  • La forma letteraria di Huysmans ricorda quelle inverosimili orchidee dell'India che fanno sognare così profondamente il suo des Esseintes, piante dalle esfoliazioni inattese, dalle inconcepibili fioriture, che hanno una maniera di vita organica quasi animale, atteggiamenti osceni o colori minacciosi, qualcosa come appetiti, istinti, quasi una volontà.
    Spaventa per forza dominata, violenza repressa, vitalità misteriosa.
    Huysmans concentra idee in una sola parola e comanda ad un numero infinito di sensazioni di stare nell'angusto involucro di una lingua da lui dispoticamente piegata alle ultime esigenze della più irriducibile concisione. La sua espressione, sempre armata e in atto di sfida, non sopporta mai costrizioni, neppure quella di sua madre, l'Immagine, che oltraggia alla minima velleità di tirannia e trascina continuamente, per i capelli o per i piedi, nella scala, rosa dai tarli, della Sintassi atterrita.
La forme littéraire de Huysmans rappelle ces invraisemblables orchidées de l'Inde qui font si profondément rêver son des Esseintes, plantes monstrueuses aux expholiations inattendues, aux inconcevables floraisons, ayant une manière de vie organique quasi animale, des attitudes obscènes ou des couleurs menaçantes, quelque chose comme des appétits, des instincts, presque une volonté.
C'est effrayant de force contenue, de violence refoulée, de vitalité mystérieuse.
Huysmans tasse des idées dans un seul mot e commande à un infini de sensations de tenir dans la pelure étriquée d'une langue despotiquement pliée par lui aux dernières exigences de la plus irréductible concision. Son expression, toujour armée et jetant le défi, ne supporte jamais de contrainte, pas même celle de sa mère l'Image, qu'elle outrage à la moindre velleité de tyrannie et qu'elle traîne continuellement, par le cheveux ou par les pieds, dans l'escalier vermouleux de la Syntaxe épouvantée.
[1]
  • Ogni cristiano senza eroismo è un porco.[2]
  • Non si può essere ed essere stati. Ma sì! Si può essere stati imbecilli ed esserlo ancora.
On ne peut être et avoir été. Mais si ! On peut avoir été un imbécile et l'être toujours.[3]
  • Per la ragione è intollerabile che un uomo nasca colmo di beni e che un altro veda la luce in un letamaio.[4]

Il mendicante ingrato modifica

  • Il caso non esiste, perché il caso è la provvidenza degli imbecilli, e la giustizia vuole che gli imbecilli siano senza provvidenza.[5]
  • Jeanne mi ha detto: La croce di Gesù è la sua ombra. Se un uomo spalanca le braccia in pieno sole, davanti a un muro, dietro di lui vedrà la croce. E quando il sole tramonta, la croce copre la terra.[6]
  • La croce per quanto piantata dagli idolatri, è sempre il simbolo della redenzione.[7]
  • La mia collera è l'effervescenza della mia pietà.[8]

L'anima di Napoleone modifica

Incipit modifica

La storia di Napoleone è certamente la più ignorata tra tutte le storie. I libri che pretendono raccontarla sono innumerevoli e i documenti d'ogni specie sono infiniti. In realtà, Napoleone ci è forse meno noto di Alessandro o di Sennacherib. Quando più lo studiamo, più ci accorgiamo che egli è l'uomo a cui nessuno somigliò. Questo è tutto; questo è l'abisso.

Citazioni modifica

  • Napoleone è la Faccia di Dio nelle tenebre. (da Introduzione, cap. I, p. 29)
  • Napoleone è inspiegabile; è senza dubbio l'uomo più inspiegabile, perché è, innanzitutto e soprattutto, il Prefiguratore di COLUI che deve venire e che forse non è più molto lontano: un prefiguratore e un precursore vicinissimo a noi, significato lui stesso da tutti gli uomini straordinari che lo hanno preceduto in tutti i tempi. (da Introduzione, cap. I, p. 30)
  • Nessuna creatura umana è capace di dire, con certezza, ciò che essa è. Nessuno sa ciò che è venuto a fare in questo mondo; a che cosa corrispondono i suoi atti, i suoi sentimenti, i suoi pensieri; chi sono i suoi più prossimi tra tutti gli uomini; quale è il vero nome, il suo nome imperituro nel registro della Luce. Imperatore o facchino, nessuno conosce il suo fardello o la sua corona. (da Introduzione, cap. II, p. 34)
  • La Storia è come un immenso testo liturgico in cui gli iota e i punti valgono quanto i versetti o i capitoli interi; ma l'importanza degli uni e degli altri è indeterminabile e profondamente nascosta. (da Introduzione, cap. II, p. 34)
  • I fatti storici sono lo stile della parola di Dio e questa parola non può essere condizionale. (da Introduzione, cap. XI, p. 54)
  • Le lampade o i fari del suo [di Napoleone] genio diffusero uno splendore che dura ancora e che si estinguerà all'alba del Giorno di Dio. (Da cap. I, L'anima di napoleone, p. 62)
  • «Ogni uomo è l'addizione della sua razza» ha detto profondamente un filosofo. Ogni grande uomo è una addizione di anime. (da cap. II, Le altre anime, p. 70)
  • [La Francia] [...] l'anima vivente di tutti i popoli. (da cap. IV La battaglia, p. 77)
  • «Il deserto, dice Las Cases, aveva sempre avuto per l'Imperatore un fascino particolare... Egli si compiaceva di fare notare che «Napoleone» vuol dire Leone del deserto». In quale lingua? Non lo so. Ma è certo che questo miraggio della sua fantasia è una profonda realtà. Lui stesso era il deserto, e faceva attorno a sé, vivo o morto, un deserto così vasto che gli uomini di tutta la terra non sarebbero capaci di riempirlo e dove la loro moltitudine vi apparirebbe come inesistente, sotto l'occhio di Dio, nel silenzio dello spazio. (da cap. V, Il globo, p. 86)
  • Certo, è una tradizione costante ed è una giurisprudenza immutabile degli uomini di Stato che tutti i mezzi sono buoni in politica e che il denaro viene nobilitato dall'intenzione di prevaricare o assassinare. (da cap. XI, I mercenari, p. 119)
  • Non si può capire nulla di Napoleone se non si vede in lui un poeta, un incomparabile poeta in azione. Il suo poema è tutta la sua opera, e non c'è chi l'uguagli. (da cap. XIV La guardia indietreggia!..., p. 135)
  • «Ubi thesaurus, ibi cor. Dov'è il tuo tesoro c'è anche il tuo cuore». Il cuore di Napoleone non era una cittadella imprendibile, ma quelli e quelle che vi penetrarono dentro credettero che non ci fosse niente perché il tesoro era invisibile. Questo tesoro era il segreto della sua poesia grandiosa, l'arcano di questo Prometeo che ignorava se stesso, le cui colpe più gravi hanno avuto la stessa scusa di Polifemo o di Anteo: che egli cioè non si sapeva così colossale e così predestinato. (da cap. XIV La guardia indietreggia!..., p. 138-139)

La Cavaliera della Morte modifica

Prefazione modifica

La Cavaliera della Morte è la mia prima prova letteraria. Essa fu scritta interamente nel 1877, in un ufficio della Compagnie du Chemin de Fer du Nord, di cui ero, in quel tempo ormai lontano, uno dei peggiori impiegati. (Prefazione del 1896)

Incipit modifica

DIES IRAE

Fuissem quasi qui non essem, de utero translatus ad tumulum.[9] (Giobbe, 10-19)

Maria Antonietta nacque il Giorno dei Morti. La Chiesa cantava l'Ira e le assise tremende del Giudice Giusto. I santuari cattolici tutti echeggiavano delle lamentazioni dei vivi che pregavano per i defunti.
Maria Antonietta, la bionda Cavaliera di una Morte più spaventosa e più bella della simbolica falciatrice di Alberto Dürer, Maria Antonietta, arciduchessa del Sacro Impero dei Sette Dolori, venne alla luce del giorno in quel lutto dei giorni, precipitandosi dal seno materno alle fasce funebri del suo destino.
I suoi primi vagiti dovettero sembrare un'eco della Sequenza terribile, e mai quest'eco si spense nella sua povera anima.

Citazioni modifica

  • Il Libro, il Trono, il Giudice, la sicurezza precaria dei giusti, lo stupore sovrumano della natura e della morte: fu questo il canto della natività, questo l'epitalamio eseguito in un tristissimo modo minore, nell'oscurità della notte nuziale, dall'invisibile coro delle centotrentadue persone calpestate in piazza Luigi XV.
    Quando la Regina di Francia andrà a farsi assassinare, potrà udirlo un'ultima volta, e sarà l'epitalamio delle nozze eterne al suo ingresso nei cieli.
    Davvero allora sarà venuto il giorno delle lacrime, del cuore contrito come cenere, della separazione dai maledetti e della speranza erta verso Dio, come torre solitaria, nella fiamma inestinguibile dell'olocausto! (da Dies irae, p. 14)
  • Che straordinario destino, e che portentoso onore! È vero che altre grandi vittime erano già state deposte sul candelabro delle Espiazioni, e si sa che ogni secolo di storia è scavato nel centro, come se fosse un borro, dal fiume di sangue degli innocenti scannati per il riscatto dei rei. Ma io credo che nessun'altra sventura umanamente patita abbia mai serbato tanta bellezza in mani di alabastro come queste, le più pure e le più stupidamente stritolate dal maglio insanguinato delle mutilazioni rivoluzionarie. (da Dies irae, p. 15)
  • Fino a quel giorno, 16 ottobre 1793, era stato dato di vedere regine decapitare regine, ma una regina ghigliottinata giuridicamente dalla Canaglia, questa becera maestà dei tempi attuali, non si era vista mai. (da Dies irae, p. 15)
  • Maria Antonietta ha fatto come san Dionigi. Ha raccattato la sua testa mozzata e si è messa a camminare e a regnare da sola, con la sua testa in mano. (p. 15)
  • La Regina Ghigliottinata, la prima di questo nome, regnerà sopra tutti i diademi degli imperatori e dei re, e sopra la corona di abiezioni dei nostri burgravi parlamentari, sino a che in Europa non si saranno estinti l'ultimo cuore dell'ultimo uomo, l'ultimo pudore dell'ultima donna, e la suprema scintilla delle cavalleresche indignazioni della coscienza cristiana! (da Dies irae, p. 15)
  • Se Maria Antonietta ci tocca così profondamente e signoreggia le anime con un potere di commozione tanto sovrano, è solo perché non è una santa.
    Non lo è, almeno, nel senso in cui l'intende la Chiesa, e perciò i suoi formidabili tormenti di regina, di sposa e di madre non possono propriamente essere chiamati un martirio. (Dies irae, p. 16)
  • Il mondo di allora, anzi, andava alla filosofica conquista della disperazione con la sicurezza più inaudita, e con tutto l'entusiasmo possibile scambiava per un delizioso fior di pubertà il temibile e osceno balbettio dell'ultima fanciullezza. (da Le bucoliche di Moloch, p. 24)
  • Le celebri parole dell'abate Edgeworth ai piedi del patibolo di Luigi XVI[10]sono vere in tutti i sensi e sembrano ispirate dal sovrannaturale; ma sono parole che avevano bisogno di essere dette. Davanti al patibolo della regina sono inutili: poiché Maria Antonietta, per suo infinito rammarico e sua infinita consolazione, sa una cosa che Luigi XVI non ha mai capito. Sa di essere la regina espiatoria di tutti i peccati della discendenza di Luigi il Santo, e che sotto la lama infame essa portorisce alla gloria del Paradiso gli antenati del suo sposo. (da Al popolo la leonessa, p. 54)
  • Cosa ne sarebbe stato della Francia se Maria Teresa non avesse dato in sposa Maria Antonietta al delfino di Francia? Forse oggi vi regnerebbero ancora i Borboni in maniera assoluta e tutto sarebbe oggi come allora, si avrebbe una corte corrotta che venderebbe anche l'anima per poter in qualche modo possedere sempre più denaro, no non si poteva andare avanti così, anche lei stessa non sopportava tutto ciò, bisognava dare un taglio e il destino la prescelse, per dare un taglio a tutto ciò, ma con il proprio sangue, lei pagò per tutti quei secoli di oppressione, di tirannia da tutti coloro che furono i reali di Francia.
  • Mia Signora e Sovrana,
    allorché ho sollecitato l'onore di difendere Vostra Maestà, non ho certo pensato che una parola umana, per grande che fosse, potesse salvare una Regina già condannata.
    Tutto l'apparato che ci circonda non è che una pomposa rappresentazione giuridica, simulacro tenebroso di un Giudizio che verrà, più temibile, alla fine dei tempi, quando tutti i giudici, fedeli o prevaricatori che siano, saranno a loro volta chiamati.
    Sapevo con certezza l'assoluta inutilità della difesa e l'eccessiva temerità di un simile cimento. Sapevo che in questi tempi di fraternità e libertà l'innocenza degli accusati è la più audace delle presunzioni, e che la difesa non è che un bisbiglio all'orecchio impenetrabile del Crimine.
    E dunque non ho parlato nella speranza di giustizia, ma per salvare l'onore del nome della Francia. Non ho voluto che fosse scritta nella storia l'incancellabile vergogna del silenzio di tutti i vostri sudditi. Non ho voluto che si potesse dire un giorno: "I francesi furono tanto vigliacchi che nessuno di loro volle esporsi per quella regina abbandonata!".
    Sono venuto a portare qui la mia indignazione e la mia testa. La prenda chi vuole, io non la difenderò più di quanto non abbia difeso l'augusta testa di Maria Antonietta di Francia, poiché mi riterrei ripagato delle mie parole se ottenessi l'onore di condividere il suo patibolo. (da Un ultimo spettro, p. 78-79)
  • Ma prima che scada definitivamente il tempo che ho a disposizione, degnatevi di tollerare, o mia Sovrana, l'ardire mio di difendervi contro il solo nemico davvero formidabile che voi abbiate da temere in quest'aula. Mi riferisco a voi, alla vostra grandezza.
    Abbiamo ancora bisogno della vostra pietà, nella nostra vigliaccheria e nel nostro avvilimento senza pari. Spegnete, se vi riesce, le fiamme del vostro legittimo risentimento, perdonate ai francesi, come il Re, vostro sposo, ha loro perdonato...
    Ci protegga la vostra rassegnazione, e l'anima vostra dolorosa diventi l'ultimo rifugio degli assassini che l'hanno contrita!
    Regnerete, così, più compiutamente e con più libertà che nella stessa Versailles, in seno alle magnificenze e alle schiavitù del potere supremo. Sarete potente nel fondo del feretro.
    O Regina perseguitata! Se tutte le lacrime dei cuori formano un grande fiume che sfocia nei cieli, Vostra Maestà, portata sopra quelle onde, non ha motivo di temere un lungo viaggio, poiché questo fiume di dolore è come un torrente in piena in questi giorni terribili!
    O Madre oltraggiata come mai fu madre dopo Colei le cui lacrime rinnovarono il diluvio, dai secoli chiamata Dolorosa, io vi domando, in nome di Dio misericordioso, la grazia e il perdono per questo povero popolo. (da Un ultimo spettro, pp. 79-80)
  • Alla vigilia della vostra nascita la terra si mise a tremare[11], e in quel terremoto distrusse una delle più grandi città del mondo. Da quale innominabile catastrofe la vostra morte non sarà accompagnata adesso, se la nostra terribile miseria non avrà nemmeno il diritto di fare assegnamento sulla intercessione del vostro supplizio!
    Questo è ciò che avevo da dire al vostro regale Dolore. Possa la vostra anima fiera esserne confortata in quel che sta per avvenire.
    Quanto a me, scomparirò come una volgare fiaccola che abbia cercato di contrastare il soffio della tempesta. Vostra Maestà perdoni infine a me medesimo d'aver aggiunto l'intemperanza dei miei discorsi alla straordinaria lungaggine di questo opprimente dibattimento, e voglia ricordarsi del suo impotente servitore nel Regno prossimo dove l'aspettano i Principi fedeli, i disgraziati privi di terrena consolazione e la falange dei santi Martiri! (da Un ultimo spettro, p. 80)
  • Invano si darà da fare il branco esultante degli onagri apocalittici del Libero Pensiero e del Materialismo. Non si può cambiare la natura delle cose, e l'uomo sarà sempre lo schiavo appassionato del Dolore. Sempre ne farà la sua bellezza, la sua forza e la sua gloria. Ad esso sempre si affiderà quando dovrà produrre un atomo della sua libertà, come i prigionieri si affidano alle loro catene per sfondare le porte della prigione.
    Il Dolore è un diamante di Golconda, sovrabbondante fino alla profusione più incredibile. Noi ne lastrichiamo le nostre città e le nostre strade, e finanche i nostri solitari sentieri nelle più remote campagne. Fabbrichiamo con esso le nostre case e i nostri palazzi. La colonna di place Vendôme è un monolito di questo inestimabile minerale umano. (da Dies natalis, pp. 82-83)
  • [La Ragion di Stato] Questa scannatrice è impenetrabile come l'inferno e al pari dell'inferno scimmiotta l'operato ineffabile della Provvidenza. Il suo velo è «intessuta notte», come diceva il vecchio Hugo parlando delle benedettine. Se ne sprigionano pallidissimi bagliori, freddi aghi di luce, che fanno supporre a volte la temibile complicità dell'Infinito.
    Non appena un brav'uomo ne è toccato diventa una tenebrosa e sanguinaria canaglia. Le menzogne più atroci appaiono facili, e la norma dei sentimenti è abolita nelle suggestioni omicide di una politica dalla testa di morto, la quale esorta a governare il genere umano dal fondo degli abissi.
    Ah, se la giustizia e la santa verità potessero mai un giorno trionfare, i potenti della terra dovrebbero andare nudi per le vie, con pesci marci appesi al collo, e al loro passaggio noi dovremmo gridare: Ecco l'abominio di Dio!... (da Il Principe Nero, pp. 99-100)

La tristezza di non essere santi modifica

  • Centinaia di milioni di esseri umani hanno patito la vita e la morte senza ancora aver visto cominciare nulla[12].[13] (p. 50)
  • Eccellente frutto della mia confessione. Respiro Dio, come si respira l'aria del ciclo attraverso una porta aperta.[14] (p. 43)
  • Ho pensato spesso che il più pericoloso attentato che si possa fare all'anima è il peccato di omissione.[15] (p. 91)
  • I cristiani devono essere continuamente chini sugli abissi.[16] (p. 19)
  • Il dolore ci conduce per mano alla soglia della vita eterna.[17] (p. 108)
  • Il cuore d'oro vi metterà del piombo nella testa, del piombo nelle gambe e avrete subito un aspetto di piombo.[18] (p. 39)
  • Il sangue del ricco è un pus fetido travasato dalle ulcere di Caino. Il ricco è un cattivo povero, uno straccione troppo puzzolente di cui le stelle hanno paura.[19] (p. 102)
  • La nostra libertà è solidale con l'equilibrio del mondo: questo bisogna capire se non ci si vuol stupire del profondo mistero della reversibilità, che è il nome filosofico del grande dogma della comunione dei santi. Ogni uomo che compie un atto libero proietta la propria personalità all'infinito. Se dà malvolentieri un soldo a un povero, quel soldo trapassa la mano del povero, cade, buca la terra, fende i pianeti, attraversa il firmamento e compromette l'universo.[20] (p. 42)
  • Mettere da parte un po' di denaro. Chi mette da parte un po' di denaro è simile a un uomo che si fa costruire un sepolcro in un luogo asciutto al riparo dai vermi.[21] (p. 47)
  • Quando versiamo le nostre lacrime, che sono «il sangue delle nostre anime», esse cadono sul cuore della Vergine, e da lì su tutti i cuori viventi.[22] (p. 112)
  • Sulla terra noi vediamo l'Invisibile attraverso il visibile. Dopo la morte, vediamo il visibile attraverso l'invisibile.[23] (p. 67)
  • Una santa può cadere nel fango e una prostituta può salire alla luce.[24] (p. 52)

Incipit di La donna povera modifica

«C'è puzza di buon Dio, qui!» Quest'ingiuria da teppista fu sputata, vomitata, sulla soglia dell'umile cappella delle Missioni Lazzariste della Rue de Sèvres, nel 1879.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni su Léon Bloy modifica

  • Per Bloy – è il caso di insistere – non c'è nulla di così rivelatore come l'inspiegabile. Un passo oscuro della Scrittura, un personaggio storico irriducibile alle norme correnti, possono far sospettare ad altri che vi siano lacune nel testo o informazioni insufficienti nella storia. Lo spirito di Bloy rovescia queste ipotesi rassicuranti: l'incomprensibile riempie di gioia un cuore avido di mistero. L'inintellegibile non può essere ricondotto alla ragione umana, ma è il segno manifesto di una ragione più impenetrabile. (Albert Béguin)

Note modifica

  1. (FR) Da Sur la tombe de Huysmans, pp. 19-20
  2. Da Quatre ans de captivité à Cchons-sur-Marne; citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  3. (FR) Da Exégèse des lieux communs, Mercure de France, (FR) citato in Jean-Yves Dournon, Dictionnaire des citations françaises, Solar, Parigi, 1997, p. 471. ISBN 2-263-02458-1
  4. Da Il sangue del povero, SE, Milano, 1995, p. 26; citato in Luigi Fenizi, Icaro è caduto Parabola storica dell'utopia moderna, Bardi Editore, Roma, 2003, p. 423.
  5. Citato in Edizioni Paoline, 1998, p. 100.
  6. Citato in Edizioni Paoline, 1998, p. 45
  7. Citato in Edizioni Paoline, 1998, p. 45
  8. Citato in Edizioni Paoline, 1998, p. 40.
  9. "Sarei come se non fossi mai esistito; dal ventre sarei stato portato alla tomba!"
  10. «Figlio di san Luigi, salite al cielo.»
  11. Il riferimento è al terremoto di Lisbona verificatosi il 1 novembre 1755, giorno precedente a quello della nascita di Maria Antonietta.
  12. L'avvento del Regno di Dio. Cfr. La tristezza di non essere santi, p. 50, nota.
  13. Da Le désésperé, XIII.
  14. Le mendiant ingrat, 16 marzo 1895.
  15. Da La porte des humbles, 6 aprile 1917.
  16. Da Lettres à sa fiancée, 11 dicembre 1889.
  17. Da L'invendable, 8 febbraio 1906.
  18. Da Exégèse des lieux communs, nouvelle série, XL.
  19. Da Le sang du pauvre, 23 gennaio 1909.
  20. Da Le désespéré, XXX.
  21. Da Exègese des lieux communs, nouvelle série, CVIII
  22. Da Dans les ténebres, IX.
  23. Da Quatre ans de captivité à Cochons-sur-Marne, 30 marzo 1903.
  24. Da Lettres à sa fiancée, 27 novembre 1889.

Bibliografia modifica

  • Léon Bloy, L'anima di Napoleone, introduzione e traduzione di Gennaro Auletta condotta sulla decima edizione francese, note di V. Gambi, Edizioni Paoline, Milano, 1962.
  • Léon Bloy, La Cavaliera della Morte, a cura di Nicola Muschitiello, Adelphi, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano, 1996. ISBN 88-459-1149-7
  • Léon Bloy, La tristezza di non essere santi: antologia dagli scritti, Paoline, Milano, 1998. ISBN 9788831515870

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