Mary Wortley Montagu

scrittrice e poetessa inglese
(Reindirizzamento da I patetici versi a me son sacri?)

Lady Mary Wortley Montagu (1689 – 1762), scrittrice, poetessa e aristocratica inglese.

Mary Wortley Montagu, dipinto di Charles Jervas (1716 ca.).

Citazioni di Mary Wortley Montagu

modifica
  • [Su Alexander Pope] Aveva tutto il fuoco della giovinezza, e tutta la forza dell'età matura.[1]
  • Il fine ultimo della tua educazione era di fare di te una buona moglie.[2]
  • Il vaiolo, così fatale e così diffuso tra noi, è qui del tutto innocuo per l'invenzione dell'innesto [variolizzazione].[3]
  • La natura ha di rado torto, i costumi sempre.[4]

Lettere orientali di una signora inglese

modifica
 
Letters of Lady Mary Wortley Montague, 1800
  • Genova sorge in un bellissimo golfo sulle pendici di una collina e, abbellita com'è da una splendida architettura e da giardini, offre dal mare una vista superba [...] (p. 237)
  • I Genovesi una volta erano padroni di varie isole dell'arcipelago ed anche di quella parte di Costantinopoli chiamata Galata. Per aver tradito la causa cristiana facilitando la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi, si meritano ciò che è capitato loro in seguito, la perdita di tutte le loro conquiste in quelle regioni a favore degli Infedeli. (p. 237)
  • Le signore [genovesi] affettano modi francesi e hanno più grazie di quelle che imitano. (p. 238)
  • Non so se hai mai sentito parlare di queste bestie rare. Parola d'onore, solo vedendoli con i miei occhi mi son potuta convincere che esistono esseri del genere sulla faccia della terra. [...] I cicisbei sono dei gentiluomini che si consacrano al servizio di una dama (voglio dire una donna sposata; le ragazze, confinate nei conventi, nessuno le vede). Hanno l'obbligo di accompagnarla dappertutto: a teatro, all'opera e alle riunioni, che qui si chiamano «conversazioni», dove si mettono dietro la sua seggiola, si occupano del suo ventaglio e dei suoi guanti se lei gioca, hanno il privilegio di sussurrarle all'orecchio ecc. Quando lei esce le fanno da lacchè, trottando gravamene al lato della carrozza. È loro dovere farle un dono ad ogni occasione di gala e così pure per il suo compleanno. In breve, devono mettere tutto il loro tempo e il loro denaro a sua disposizione e lei li ricompensa seguendo la sua inclinazione (e certamente non gliene mancano le occasioni), ma ai mariti non è permesso di avere l'impudenza d'immaginare che possa esserci fra loro niente di più che una semplice amicizia platonica. Cercano, è vero, di dare alla moglie un cicisbeo di loro scelta ma se la signora non condivide i gusti del marito (cosa che capita spesso) lei tanto fa che riesce immancabilmente ad averne uno che le vada a genio. (pp. 238-239)
  • Questo mi fa venire in mente i palazzi di qui che non riuscirò mai a descrivere in modo adeguato. Ma non è abbastanza se dico che sono stati quasi tutti disegnati dal Palladio? La strada chiamata Strada Nova è un'infilata di edifici che sono forse tra i più belli del mondo. In particolare ti faccio il nome dell'imponente palazzo dei Durazzo, di quelli dei due Balbi, collegati da un colonnato stupendo, di quello degli Imperiali a San Pier d'Arena e di un altro palazzo dei Doria. In questa città è possibile vedere un'architettura perfetta e la più incredibile profusione di mobili preziosi, disposti con gusto, eleganza e sontuosa magnificenza, ma quello che mi avvince più di tutto è la collezione di quadri usciti dal pennello di Raffaello, Paolo Veronese, Tiziano, i Carracci, Michelangelo, Guido e Correggio. (p. 239-240)
  • La chiesa dell'Annunziata è squisitamente ricoperta di marmo con le colonne di marmo bianco e rosso [...] (p. 240)
  • [Su Villa Imperiale] [...] un palazzo costruito da Palladio, così ben disegnato e di proporzioni così armoniose che era un piacere aggirarvisi. (p. 240)

Che comodi bensì, ma non delizie

modifica

Che comodi bensì, ma non delizie
la vita coniugale a l'uomo arrechi,
disse saggio novello[5], e applauso n'ebbe
da la gente che sola esser nel mondo
colta si vanta e dar le leggi e i nomi
del costume leggiadro a tutta Europa.

Sollecitata da l'istanze vostre

modifica

Sollecitata da l'istanze vostre
sovente replicate, alfin risolvo
di svilupparvi, o mia diletta amica,
i più arcani pensier de l'alma mia.

O mille volte voi felice e mille

modifica

O mille volte voi felice e mille
che abbandonate ognor la mente e il core
a de' piaceri sempre varî e nuovi!
La vostra mente per sei mesi volta
non era che a i palladici modelli,
né vi si udia parlar che di colonne
e di scale a lumaca e d'atrî e logge,
di passeggi coperti e vie nascoste

Poco conosci il cor che tu consigli

modifica

Poco conosci il cor che tu consigli.
Vegg'io con occhio egual la varia scena
delle cose fallaci, e della Corte
tra la gran folla io mi ritrovo sola,
e ad un trono più alto offro gli omaggi.

Se etade, infermità, dolori, angustie

modifica

Se etade, infermità, dolori, angustie,
m'assaliranno con tormenti alterni,
so che l'uomo a lagnarsi è destinato,
e a le fatiche ed a le noie mie
io sottrarmi saprò. Ma come io posso
non innalzar acute grida contro
il decreto del Ciel, che de' prodigi
inventa e manda per la mia rovina?

I patetici versi a me son sacri?

modifica

I patetici versi a me son sacri?
Tutto ciò dunque che vi diede il Cielo
inutilmente è sparso e a voi non giova
fortuna immensa e bella sposa? Assai
non è ricompensato il vostro amore,
la vostra vanità non è contenta?

Perché vivete voi così solinga

modifica

Perché vivete voi così solinga,
o Delia, e in languidezze ed in omei
trapassate la vita? Assai toglieste
a una folla d'amanti il vostro aspetto
per ber l'angliche gocce. Il volto mesto,
il mesto cor non renderà la vita
al diletto Damone. È lungo tempo
che i vermi il divorâr; né più il vedrete.

Colà vedete quelle due colombe

modifica

Colà vedete quelle due colombe
raddoppiare a vicenda i dolci baci,
e non curando l'invide censure
gl'innocenti piacer seguir contente.

Della notte secreta argentea Diva

modifica

Della notte secreta argentea Diva,
testimon fido de' piaceri ignoti,
custode degli amanti e delle Muse
fautrice, reggi me ne' boschi oscuri.

I nostri padri, nati schiavi, a forza

modifica

I nostri padri, nati schiavi, a forza
di contrasti, di sangue e di fatiche
comprâr la cara libertade; e noi,
posterità degenerata, tutto
per schiavi ritornar mettiamo in opra.

  1. Da Poema; citato in Alexander Pope, Eloisa ad Abelardo, a cura di Vincenzo Forlani, presso Giuseppe Rocchi, Lucca, 1792, p. 8
  2. Da una lettera alla figlia, 28 gennaio 1753, in Cara bambina. Lettere dall'Italia alla figlia (1747-1761), a cura di Masolino d'Amico, Adelphi, Milano, 2014. ISBN 978-88-459-7554-7
  3. Da una lettera a un amico, aprile 1717. Citato in AA.VV., Il libro della medicina, traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2021, p. 97. ISBN 9788858036730
  4. Da una lettera, 1709; citato in Fernando Palazzi, Silvio Spaventa Filippi, Il libro dei mille savi, Hoepli, Milano, 2022, n. 4772. ISBN 978-88-203-3911-1
  5. Il Sig. della Rochefoucaut nelle sue Massime [CXIII].

Bibliografia

modifica
  • Mary Wortley Montagu, Lettere orientali di una signora inglese, traduzione di Luciana Stefani, il Saggiatore, Milano, 1984
  • Mary Wortley Montagu, Poesie, traduzione di Antonio Conti, in Versioni poetiche, a cura di Giovanna Gronda, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1966.

Altri progetti

modifica