Guido Gatti

giornalista, critico musicale e musicologo italiano (1892-1973)
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Guido Gatti, noto anche come Guido Maria Gatti oppure Guido Maggiorino Gatti (1892 – 1973), giornalista, critico musicale e musicologo italiano.

Citazioni di Guido Gatti

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  • Giorgio Bizet non fu un rivoluzionario, né un musicista d'avanguardia: nella sua figura morale, nella sua figura intellettuale – persino nella sua figura fisica – non ci è possibile ritrovare alcuna di quelle note caratteristiche, proprie delle creature eccezionali che procedono i tempi, che sconvolgono il loro secolo, che squassano violentemente l'edificio di una tradizione. Giorgio Bizet non ebbe alcuna di quelle qualità – insieme di originalità e di bizzarrie – che compongono la figura, ad esempio, d'un Berlioz.[1]

Musicisti moderni d'Italia e di fuori

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  • Com'è stato più volte ripetuto, durante tutto l'ottocento il pubblico italiano s'è avvezzo a considerare la sinfonia come una pianta esotica, per cui il clima meridionale non sia propizio; s'è persuaso di dover accettare come una necessità colturale – e però senza simpatia e commozione – le periodiche esecuzioni di sinfoneti stranieri, per cui le nostre orchestre si sobbarcavano a fatiche immani, sottoponendosi ad un regime di prove che nessun musicista italiano avrebbe pensato di richiedere, senza pericolo di essere linciato. In fondo questo eterno fanciullo ch'è il nostro pubblico si consolava correndo al teatro e abbandonandosi al fascino della melodia cantata con la voluttà dello scolaro che esce dall'aula dopo la lezione subita e prova l'elasticità delle gambe su per le aiuole dei giardini pubblici; e guardava con indifferenza e quasi con una punta di rancore il musicista che non s'accontentasse di fornirgli ogni anno il piatto nazionale: melodramma storico o verista, avventura in costume medioevale o fatto di cronaca nera. Tanto più poi se il musicista lo avesse già rapito in estasi precedentemente con una romanza divenuta popolare! (Franco Alfano, p. 4)
  • Quest'opera [L'ombra di Don Giovanni del 1913] viene dopo il profondo lavoro di scavo e rassodamento compiuto con la sinfonia [Prima Sinfonia del 1910] ed a quella si riallaccia direttamente, pur mantenendosi in quel campo lirico, nel quale Alfano sa raccogliere i più bei fiori della sua sensibilità. Quello che ci pare innanzi tutto in essa è la da quantità della musica. (Più tardi ne vedremo la qualità ch'è, se così si può dire, di primo ordine.) Non c'è momento in cui il musicista ceda le redini dell'interesse al poeta; il dramma lirico c'è ed ha situazioni che si dicono comunemente teatrali. Alfano avrebbe potuto sfruttarle, mettendosi le mani in tasca e lasciando che i gesti dei personaggi e le loro grida s'incaricassero di avvincere l'attenzione del pubblico. Ma per far questo occorreva non essere un musicista, come è il nostro; ma semplicemente un arruffianato conoscitore di platee e di ribalte. Alfano ci ha dato ad ogni pagina flutti di musica, tutto trasformando, tutto interpretando; di un dramma poetico ha fatto un dramma musicale. Prima la musica, poi il teatro: o l'una e l'altra cosa insieme, ma senza compromessi. (Franco Alfano, pp. 5-6)
  • Un critico bolognese ha detto acutamente che in Alfano c'è quasi un senso figurativo di poesia. Questa musica è pervasa di poesia, è essa stessa una poesia musicale per cui tutto si distacca dalla materia e pare trasfigurarsi. Soltanto che non svanisce: il musicista rimane musicista e non suggerisce – come altri – sentimenti poetici: li crea. Non si contenta di iniziarvi alla religione, della poesia, ma ve l'esprime con i suoi mezzi sonori; ve la figura: è come se egli parlasse per versi musicali creando nello stesso tempo l'atmosfera entro cui essi vivono e si chiamano a vicenda. (Franco Alfano, p. 8)
  • [...] se altri musicisti si sono dedicati con più o meno fortuna alla musica orchestrale, anche Alfano ha maturato la sua espressione sinfonica: e dalla suite folkloristica in quattro tempi, attraverso alla sinfonia è giunto alle partiture dell'Ombra e di Sacùntala. Il progresso è rilevante: queste due ultime opere ci presentano decisamente un Alfano più sereno e più padrone e dominatore dei suoi mezzi. Ma il musicista non ha perduto la sua giovinezza e la sua forza; gli anni non hanno indebolito l'irrompente musicalità di chiara sorgiva mentre gli apportavano l'esperienza e la severità dell'autocritica. La vena non è rimpicciolita, ma ha lasciato nel suo letto molti ciottoli e terra che si trascinava via dalla polla: è divenuta più limpida e più pura. (Franco Alfano, p. 10)
  • Casella è sempre stato profondamente artista. La sua opera è multiforme: racchiude le pagine più diverse e più lontane per forma e per sostanza musicale ed anche per valore. Chi confronti oggi una delle due sinfonie giovanili con il poema a notte alta per pianoforte è colpito dalla evoluzione dell'espressione, che quasi fa dubitare dell'identità dei due autori. (Alfredo Casella, p. 3)
  • Tutte le composizioni di Casella sono sovratutto musicali: la loro essenza, scaturisce da una sorgente esclusivamente sonora, si veste e si rimpolpa di soli elementi musicali. Casella non è un letterato della musica, né un alchimista; la sua natura è stata, dirò, trattata in un ambiente saturo di musica quale fu quello della sua infanzia: ed il suo temperamento ha attinto la via per esprimersi attraverso ad una educazione musicale classica e sicura. (Alfredo Casella, p. 4)
  • A Pratella per giudicarlo come si merita e con equilibrio occorre togliere mentalmente quel brutto attributo di «futurista» che gli s'è appiccicato dietro e che non vuol dir nulla. Dimentichiamo ch'egli è stato il firmatario dei due manifesti della musica futurista e che una sua «distruzione della quadratura» ci viene incontro con un'apparenza dinamitarda per poi dirci onestamente le cose più sensate di questo mondo: almeno per la maggior parte. E non soffermiamoci a certe novità grafiche, che hanno pure il loro peso, ma non tanto da gettare una luce singolare sul profilo di chi le ideò. Così accostiamoci alla musica di Francesco Balilla Pratella con animo cordiale, senza saper nulla di lui: se non che egli vive per la sua arte, in atto leggermente disdegnoso, su terra di Romagna: ed ha una volontà di creare che la solitudine ogni giorno gli sostanzia maggiormente. Soltanto così, sbarazzando il terreno da certe... assonanze mentali, riusciremo a scorgere in pieno e nella miglior luce il musicista Pratella, ed ambientarlo al punto giusto nella vita musicale italiana d'oggi, a comprenderne l'anima e le sue intenzioni. (Balilla Pratella, p. 3)
  • [Francesco Balilla Pratella] [...] a leggere le composizioni di questo romagnolo ci si persuade subito d'essere dinanzi ad un vero musicista, ad una sincera forza di cui l'espressione e il linguaggio non possono essere che una cosa sola: canto. (Balilla Pratella, p. 3)
  • Canto, dunque: e vocalità essenziale. Ecco dunque una prima limitazione dell'opera di Pratella: ed ecco stabilita la superiorità delle composizioni per la voce in rispetto di quelle strumentali. Basta leggere una delle ultime liriche, una delle Canzoni del niente o degli Stati d'anima: dove tutta la espressività e la commozione estetica del lavoro è nella parte cantata, che soverchia e copre lo scialbo e trascurato commento pianistico od orchestrale. Qui c'è una voce che canta prepotentemente, senza vincoli e senza freni; e risveglia qua e là qualche eco nell'istrumento, che fa sì e no di sfondo alla monodia. Talora la deficienza dell'elaborazione strumentale è tale che si preferirebbe non ci fosse affatto: e riportarsi in aperta terra e pensare che la voce sia quella di una spigolatrice, inebriata di sole. (Balilla Pratella, p. 4)
  1. Da Giorgio Bizet, La riforma musicale; citato in Giulio Confalonieri, Come si ascolta la musica, Edizioni Rai, Torino, 1966, cap. XXII, p. 184.

Bibliografia

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