Giovanni Tesio

filologo e critico letterario italiano

Giovanni Tesio (1946 – vivente), filologo e critico letterario italiano.

Giovanni Tesio

Citazioni di Giovanni Tesio modifica

  • A furia di frequentare testi e autori, di leggere libri, di trafficare parole, qualcosa emerge da un lontano paese che comincia a mettere germogli. E tu ti abbandoni fino a sentire la forza di un compito. Questo per me è accaduto soprattutto con la poesia, e in particolare con la poesia in piemontese. Scrivo anche in italiano, ma la sensazione di un vento che mi porta m'è venuta soltanto con il piemontese, con il piemontese mio, rustico, nativo, alimentato poi da letture assidue e interpretazioni di testi, il tutto congiunto con una speciale passione che per la poesia ho sempre provato.[1]
  • Accompagnato da una prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti, esce da Nicolodi (Rovereto) il secondo libro poetico del siculo-trentino Lillo Gullo, Sfarzo d’inesistenza. Diario minimo di due estati in una («Estate, molle stagione / di cocomeri e baci»), le poesie di Gullo si traducono in una sorta di elogio della stasi e della lentezza, dell’inerzia e del torpore. Un io negato (o meglio «sgovernato») che muove passi di lumaca catturando «calmeria di ozi» e «largheria di vedute». Ma soprattutto una cifra ironica e lieve. Giochi di lettera e di parola, rime argute, lessico estroso, musicalità metastasiana per un canto che «scarroccia» tra dolcezza e volubilità.[2]
  • Bisogna distinguere il senso dell'umorismo dal senso del comico, ma io credo che a Levi appartenessero l'uno e l'altro. Lettore di Rabelais e di Folengo, sapeva divertirsi alle cose più grasse. Ma direi che il senso dell'umorismo gli era fortemente connaturato. Lo ricordò anche Massimo Mila addirittura nel necrologio. Un senso dell'umorismo che troviamo depositato nell'opera. Pagine della Tregua, pagine della Chiave a stella, pagine di tanti racconti delle Storie naturali e di Vizio di forma, i racconti fantastici, i meno studiati.[3] 
  • [Sulla sua "avventura" letteraria] Comincia da lontano, da un paese contadino come Pancalieri, un luogo di frontiera tra le province di Torino e Cuneo, alla confluenza del Pellice col Po. Comincia da una casa senza libri e da un'età che dopo la guerra proseguiva con i suoi ritmi di sempre, che pareva non dovessero cambiare mai. Poi fu tutto un cambiamento e quel mondo oggi pare che non sia mai nemmeno esistito. Io ho avuto la fortuna rarissima in quel contesto di poter studiare, non senza aver provato più di un lavoro. Ho portato le mucche al pascolo, ho fatto il garzone muratore, ho anche lavorato in un mattatoio di polli. Correva l'anno anniversario del 1961, l'anno dell'eclisse totale di sole, l'anno di Ventiquattromila baci a Sanremo. Cominciai con una scuola per corrispondenza. Ricorderò sempre l'indirizzo, Roma via Arno 44. Venivo da tre anni di seminario e a casa non c'erano i soldi per continuare gli studi. Poi mio fratello decise: riprendi, ce la faremo. Ho cominciato a insegnare, ho fatto il maestro, ho fatto il professore in ogni ordine e grado, per approdare infine all'Università come docente di Letteratura Italiana, che è stata la mia passione di una vita.[1]
  • Mi pare di scrivere in una lingua di poesia vitalissima. So bene di votarmi alla marginalità, so bene di trovare non più che pochi lettori. Ma so altrettanto bene che per me questa è una necessità, e che in questa necessità confido. Coltivo in me il sentimento – cliente di Vassalli in questo – della cenere e della polvere. Scrivo una lingua, la lingua dei miei, che mi rappresenta appieno. Ma non dimentico mai l'orizzonte internazionale a cui non smetto di guardare. Né mai dimentico che la gloria letteraria non è più di questo mondo.[1]
  • Premesso che non sono mai stato uno che abbia inseguito la fama altrui; premesso che ho fatto il "critico militante" (e prego di mettere le virgolette) per trentacinque anni, Tuttolibri e La Stampa; premesso che ho presentato e prefato una quantità di opere e di autori, ma senza mai intrattenere rapporti in qualche modo simbiotici, la vicenda di Primo Levi è stata effettivamente notevole. Lo avevo incontrato perché mi stavo occupando delle due edizioni di Se questo è un uomo e lui mi accolse con semplicità e curiosità. Poi ne nacquero contributi critici, ma soprattutto una consuetudine per me proficua. Fino al momento in cui parlammo di scrivere insieme una "biografia autorizzata", che la morte interruppe sul nascere.[1]
  • Primo Levi diceva cose eleganti e precise, parlando un po' come scriveva. Ricordo espressioni che ho poi ritrovato nella sua opera, parole che sentii da lui per la prima volta. Lui diceva cose come: "aver cura di non presumere", parlava delle "due esperienze della vita adulta", pronunciava la parola "demotico" (un aggettivo che ho imparato da lui) non con la consapevolezza un po' libresca del dotto, ma con la naturalezza di uno che ama semplicemente dire cose ben definite.[3]

Note modifica

  1. a b c d Dall'intervista di Maurizio Crosetti, Tesio, scrittore «Io 'critico militante' tra Levi, Vassalli e il piemontese», repubblica.it, 19 marzo 2019.
  2. Da Lillo Gullo, Elogio della stasi e della lentezza, dell'inerzia, La Stampa-Tuttolibri, 10 settembre 2005.
  3. a b Dall'intervista di Maurizio Crosetti, Tesio: il suo umorismo e la storia incompiuta, repubblica.it, 7 aprile 2007.

Altri progetti modifica