Giovanni Camerana
poeta, critico d'arte e magistrato italiano
Giovanni Camerana (1845 – 1905), poeta, critico d'arte e magistrato italiano.
Citazioni di Giovanni Camerana
modifica- Ave, Maria, di stelle inghirlandata, | curvo e triste nell'ombra io pur t'imploro; | la valle imbruna, è il fin della giornata; | coi mandriani dell'alpe io pur t'adoro. || Tu che salvi dall'ira del torrente, tu azzurra vision nell'uragano, | tu ospizio fra le nevi ardue, tu olente || aura, in che orror mi affondo, in che agonia; | l'onta, il ribrezzo, il gran buio crescente, | tu lo sai, tu lo vedi: Ave, Maria.[1][2]
- Come un bel sogno il bel giorno passò, | le tetre dune[3]sfuman nel crepuscolo, | sfuma il nordico mar dentro la nebbia, | come un bel sogno il bel giorno passò. || Le tetre dune sfuman nel crepuscolo, | le vigilanti del nordico mar: | desolati profili, enormi tumuli, | catene eterne del nordico mar. || Come un bel sogno il bel giorno passò. | Un fil d'ombra divien la freccia gotica; | lontan lontano, gigantesca lucciola, | già splende il faro; il bel sogno passò. || Un fil d'ombra divien la freccia gotica, | dei mulini il torneo strano finì; | sul cielo giallo nereggian le immobili | braccia di spettro; il bel sogno svanì. (Helder[4]; in Dal testo alla storia dalla storia al testo, vol III, tomo I, pp. 802-803)
- Costei è il nero fatto carne viva | per l'alta ebbrezza nostra ed il tormento; | certo costei dal buio abbracciamento | degli uragani e della notte usciva. || Certo nata è costei, tigre lasciva, | cupa tigre dal passo ambiguo e lento, | quando, o Trinacria, te comprime il vento | d'Africa e strugge la gran vampa estiva. || Qual nome darti, o audace imperio, o muto | fascino delle chiome atre? Chi sei | tu, fatta d'ombra e fatta di velluto || come una bara? Quale a saziarti | basterà, o tigre, fra i tripudii rei, | o implacabile rea, quale a placarti? (Tenebre, in Poesie, a cura di G. Finzi, Einaudi, Torino, 1968.[5])
- Per una adolescente. J'aperçois tes yeux dans les flammes des phalariques et sur la dorure des boucliers.[6]FLAUBERT| Crescerai bruna e trionfal, destando | su dal cuor delle turbe, al tuo passare, | come olibani[7]effusi ad un altare, | grida e plausi, che sprezzerai, varcando. || Dai neri occhi usciran lampi di brando | e altezze d'inconturbato mare; | fascini vaghi avrai d'alba lunare, | possanze d'ombra, imperïal comando. || Degna eri tu di scintillar nell'alto | di un'acropoli, al sol punico, ritta | sovra un trono di smalto e di basalto; | e da gli elefantarchi[8]e le coorti | verso la fosca tua bellezza invitta | clamasse il glorïal canto dei forti. (Salammbô[9])
- Il pioppo nell'azzurro | è un vivo tremolio di grigio e argento; | fa in mezzo ai rami il vento | lento sussurro. || Per la marea dorata | delle messi, olmi e noci hanno sembianza | grave; la lontananza | splende infiammata. || Rosseggia il cascinale | fra pianta e pianta; il muricciuol di creta | piove una larva queta | dentro il canale. || Dentro il canale, a riva, | cinque bianche anitrelle in concistoro | si dicono fra loro | l'egloga estiva. || Verran le luccioline | stasera, or pieno è il prato di farfalle: | candide, glauche e gialle, | grandi e piccine. || Al gaio torneamento | la libellula mesce il suo ronzio; | e il pioppo è un tremolio | di grigio e argento. (da Il pioppo nell'azzurro[10])
- Il tugurio è lugúbre, la campagna è profonda. | Il tugurio è una tetra macchia meditabonda; | come una grande affranta la campagna sospira. | Bacian le nebbie il prato, le nebbie il prato attira | voluttuoso. È l'ora che si acquetan gli ardenti | uragani dell'anima, e che i chiusi lamenti, | le rivolte, le seti sconfinate, i blasfemi | superbi e rimbalzanti fino ai cerchi supremi | paion volgere in mite preghiera. È l'ora strana | in cui si fa di intenso cobalto la lontana | montagna e di vïola finissimo; e fra i torvi | tronchi, e nei rami brulli, abitati dai corvi, | splende, fornace enorme, tempesta incandescente | d'oro, d'ambra e di sangue, l'autunnale ponente. | E quell'orgia di brace, la campagna profonda, | il tugurio, funerea macchia meditabonda, | e dei tronchi e dei rami le buie forme nude | si specchian capofitte nella plumbea palude. | Beinette, 14 novembre 1882. (Note morenti, in Il decadentismo, pp. 103-104)
- La nera solitudine alla nera | solitudine; – il sogno alto al profondo | pensier; – la sera che è triste alla sera | che piange; – al mondo infranto il bieco mondo.[11]
- Quando, angoscioso come una sventura, | striscia e pesa sui campi il sepolcrale | buio notturno, e, ragno enorme, il Male | trama in silenzio la sua tela oscura, || io per le vacue vie, lungo le mura | gialle, ove occhieggia e si dibatte e sale | l'Incùbo, io sogno un sogno mio spettrale: | e il ricordarlo, e il dirlo, m'impaura. || La terribil scalèa, più solitaria | che la più solitaria gola alpina, | la scalèa maledetta e leggendaria, || fra cento archi e colonne ascende e gira, | irta di travi, cadente in rovina, | tetra Babele dalla immane spira. | Torino, maggio 1881. (Piranesi, in Il decadentismo, p. 103)
- Sogno e medito e invidio il velo nero, | il vel che avvolge la tua faccia pallida, | che recinge la tua testa ineffabile; | sogno e medito e invidio il velo nero! || Felice il vel, perché ti bacia e tocca, | perché freme del tuo fiato al tepore; | felice il vel, beato il tenebrore, | felice il velo che ti bacia e tocca! || Felice l'ora che non verrà mai | di sentir fra le mie convulse mani | il vel, il viso ed i capelli strani! | Ora infinita che non verrà mai! || Il velo, il viso e gli strani capelli, | i capelli d'abisso e di fuligine | negri cotanto da parer cerulei! | Il velo, il viso e gli strani capelli! || Ora infinita e grigia dei tramonti | d'autunno! Il velo soffuso di stille | di nebbia, e gli occhi vibranti faville, | tigre fatal nel grigio dei tramonti, || io, più raggiante che un levar di sole, | ti coprirei di baci e di carezze, | ti morderei nelle più estreme ebbrezze, | io più raggiante che un levar di sole! || Gli occhi, la testa bella, il velo nero, | i capelli d'abisso e di fuligine, | tutte del corpo tuo le arcane tenebre! | Sogno e medito e invidio il velo nero. (Il velo nero, in Dal testo alla storia dalla storia al testo, vol III, tomo I, p. 801)
Poesie
modifica- Sembra un'eco tranquilla di gironda | fra i tuoi monti il tuo nome, o Chamonì; || verde, selvosa, remota, profonda, | fin dall'infanzia ti sognai così. | Chamonix, 13 agosto 1882. (p. 20)
- Tempo di morte, sepolcral coperchio | di angoscia e d'afa nella cupa estate; | o lèmuri di fiamma che tremate | sull'immenso dei campi arido cerchio || e sprona intanto lo ardor già soverchio | la beffarda cicala; o fulminate | dal sollïon boscaglie, o arroventate | mille torture, io voi stringo e rincerchio || nel nodo mio furente d'anatèma; | mentre al buio pensier tornano e fremono | i bei verdi del Potter e di Hobbèma, || e gruppi e fila di molini a vento, | poi, nel vanir dei piani, Harlem, che premono | nuvole sopra nuvole d'argento. | Torino, 8 agosto 1904. (Canicola, p. 45)
- Augustal Reno, vasto e lento Reno, | vasto qual frase Beethovenïana, | lento come un gran pianger di campana | languida in decembral vespro sereno, || verso qual cielo, in qual profondo seno | del tempo dileguò l'ora lontana? | Dove il salve mio primo a tua sovrana | onda, e la strofa d'ombra e di baleno? || Inabissaron gli urli e la zagaglia | delle Valchirie? Ove spirar gli squilli, | gli squilli che scotean rupi e boscaglia?... || Parla il fiume: «Com'io revolvo in sorte | cieca, e così lo Universal. – Tranquilli | forse responsi ha l'isola di morte». | Ad Arnoldo Böcklin. Strasburgo, 9 ottobre 1904. (p. 47)
- Tranquilla Oropa, ove sognai, lontano | da tutti gli echi del mondo; tranquilla | piazza, ove d'ambra e d'oro è il sol montano, | e il grigio fonte secolar zampilla; || trasparenze e bianchezze infra il silvano | mister sui clivi, e della occidua squilla | dolci vibrazïoni e pianto arcano; | tenebra chiusa, olente, in cui sfavilla || come un bracier di dïamanti e come | una queta invernal notte serena, | la fosca Etìope da le fulve chiome; || fra voi questa parea pugna terrena | svanir, fantasma stanco e senza nome, | in un'Ave Maria, gratia plena. | Trofarello, 15 settembre 1892. (p. 58)
- Ti ho veduta al finir del giorno, quando | si arrampica la febbre per le mura | erte. Una melma lenta, gorgogliando, | si trascinava alla tua bocca oscura. || Ogni macchia più ambigua, ogni nefando | miasma, il baccanal della sozzura; | lo strano ritmo andava fluttuando | fra odor di cesso e odor di sepoltura. || Ed io pensavo: «Dentro i limbi tuoi | quante al Tebro portasti e all'oceàno, | sconcezze, o fogna, da Tarquinio in poi! || Ma poiché lasci indietro il cuore umano, | poiché il suo fango vomitar non puoi, | senti!... anche il tuo, cloaca, è un nome vano». | Roma, maggio 1878. (Alla cloaca massima, p. 133)
- Si dirada, agonizza e poscia appieno | scompar l'alpina flora. | Splende il ghiacciaio sul cielo sereno. | Dalla grigiastre basi escon rigagnoli | frementi in rauca melopea sonora. || Noi, vinta la morena erta e montona, | calchiam l'argenteo deserto. È una pace | candidissima, bieca, | e affascinante; ogni fragor si tace. | Parlan di morte i bei crepacci glauchi. | Scricchiola il ghiaccio; il gran bianco ne accieca. | Ghiacciaio del Saint Théodule, 1880. (Sul ghiacciaio, p. 135)
- Non già nel saldo scintillante argento, | ma nelle strofe mie battuta e chiusa, | questa grave, Jerace, a te presento | medaglia trïonfal di Siracusa. || Dal centro splende, i forti ricci al vento – | come un astro – il profil dell'Aretusa; | amor fremon le nari avide, il mento | impera; e la stupenda testa, inclusa || fra i guizzanti delfin, canta il Peana | della quadrupla immensa Urbe, la gloria | feral d'Imera e la doma Catana. || Ecco a te il decadramma! – A retro, scalpita, | coronata dal vol della Vittoria, | la gran quadriga – e il saldo argento palpita. | a Francesco Jerace. Palermo, 1895. (Decadramma, p. 175)
In Poesia italiana, a cura di Maurizio Cucchi
modifica- É autunno. Il parco tanto verde un dì, | splendido tanto, | intirizzisce nella nebbia; il canto | cessò nei rami; ogni allegria finì: | È il triste ottobre. I fracidi sentier | son seminati | di foglie gialle e piene d'acqua; i prati | fumano, come un immenso incensier; | sullo stagno, che attonito squallor, | che strana calma! | Forse lenta nel fondo erra la salma | di qualche ondina dai capelli d'or; | le bacian l'alghe flessuose il piè | fatto di neve; | non è una morta, è un'ombra bianca e lieve, | una ideale trasparenza ell'è; | nel buio specchio rigato qua e là | di un tenue filo | bianco, immerge la selva il suo profilo, | la sacra selva per antica età; | è autunno, è il pianto fúnebre, il respir | dell'agonia; | gravi echi d'arpa e strofe d'elegia | paion dal lago e dalla selva uscir... (Corot, p. 776)
- Se non ci sei, mi sembra un sepolcreto | questo villaggio; | svanita è la malìa del paesaggio, | del verde idillio queto, | se non ci sei. || Se non ci sei, rifaccio il mio sentiero | a fronte bassa, | e i colli, i fior, la nuvola che passa, | tutto mi è strano e nero | se non ci sei. || Se non ci sei, se non ti leggo in volto | che sai ch'io t'amo, | che irrequïeto ti sogno e ti chiamo, | che il raggio mio m'è tolto | se non ci sei; || se non ci sei, mi avvinghia oscuramente | nelle sue braccia | la Noia, incùbo dalla tetra faccia; | l'ore son nebbie lente | se non ci sei; || Ma se ti trovo, sfuggon via col volo | delle farfalle; | ride la casa, un cantico è la valle, | un trillo d'usignuolo, | quando ti trovo! (Se non ci sei..., pp. 781-782)
- Tu sei mia. Dal triregno[12]alto raggiante, | cui sormonta la croce aurea, dal fiero | triregno cuspidal fino alle piante, | Tu sei mia; Tu il profondo astro, Tu il nero || astro fascinatore, il dïamante | notturnamente abbagliator; mistero | di penombre e di lampi, sfolgorante | Sirio, fascinator del mio pensiero. || Tu sei mia Tu che sei nera ma bella, | nera come la intensa lava Etnea; | bella come gli Etnei clivi al bel sole; || sei mia, perché sei nera e arcana e bella, | mia fra i veli del sogno e dell'idea, | mia nel bivio fra il sogno e le parole. (Oropa e la statua, p. 783)
Note
modifica- ↑ Poesia dedicata, insieme a molte altre, alla Vergine del Santuario di Oropa. Cfr. Storia della letteratura italiana, vol. V, p. 132.
- ↑ Citato in Storia della letteratura italiana, vol. V, p. 133.
- ↑ Le dune del Mare del Nord. Cfr. Dal testo alla storia dalla storia al testo, p. 802.
- ↑ Località dell'Olanda. Cfr. Dal testo alla storia dalla storia al testo, p. 802.
- ↑ Citato in A. Tocco, G. Domestico, A. Maiorano e A. Palmieri, Parole nel tempo, Testi, contesti, generi e percorsi attraverso la letteratura italiana, 2B, La letteratura dell'Ottocento, Loffredo Editore, Napoli, p. 1269. ISBN 978887564209-9
- ↑ Scorgo i tuoi occhi nelle fiamme delle falariche e sulla doratura degli scudi.
- ↑ Incensi.
- ↑ Comandanti di squadroni di elefanti da guerra.
- ↑ In La letteratura italiana, Storia e testi, direttori Raffaele Mattioli, Pietro Pancrazi e Alfredo Schiaffini, Poeti minori dell'Ottocento, vol. 58, tomo I, a cura di Luigi Balducci, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, p. 938.
- ↑ Citato Tiziano Franzi e Simonetta Damele, Stai per leggere..., 2 Generi, temi, laboratorio felle abilità, Loescher Editore, Torino, 2010, p. 577. ISBN 9788820119669
- ↑ Citato in Storia della letteratura italiana, vol. V, p. 129.
- ↑ Tiara papale.
Bibliografia
modifica- G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti e G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Letteratura italiana con pagine di scrittori stranieri, Analisi dei testi e critica, vol III, tomo primo, Dal Neoclassicismo al Verismo, Storia del teatro e dello spettacolo a cura di Gigi Livio, Paravia, Torino, 1993. ISBN 88 395 0452 4
- Il decadentismo, a cura di Enrico Ghidetti, Editori Riuniti, Roma, 1976.
- Poesia italiana, Il Settecento, a cura di Giovanna Gronda, L'Ottocento, a cura di Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano, 19931. ISBN 88-11-20453-4
- Giovanni Camerana, Poesie, a cura di Gilberto Finzi, Einaudi, Torino, 1968.
- Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, cinque volumi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1972.
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