Giornalismo di guerra

branca del giornalismo

Citazioni sul giornalismo di guerra e gli inviati di guerra.

  • Fare l'inviato di guerra è il mestiere probabilmente più straordinario, disperato, difficile e magnifico che esista. Si tratta di raccontare la storia mentre la storia accade. Quando lo facevo io, vent'anni fa, la storia in qualche maniera aveva una forma di rispetto, per chi la raccontava. Oggi non c'è più. Noi potevamo passare da una parte all'altra del conflitto portando la pelle a casa – spesso, non sempre e non tutti, purtroppo. Non eravamo noi gli obiettivi, noi eravamo i testimoni. Adesso tutto è diverso, i giornalisti sono diretti obiettivi. Pensate a quello che accade in Siria, in Afghanistan o in Iraq. Cercano i giornalisti per farne martirio, per ucciderli in diretta davanti all'occhio dei telefonini per poi mettere sul web la loro uccisione. Oggi non è più possibile fare il giornalismo che ho fatto io, è morto. (Franco Di Mare)
  • Ho capito che anch'io sono stata per anni inghiottita dall'idea che raccontare la guerra fosse sostanzialmente il resoconto di un catalogo dei morti. E invece no: c'è chi lotta per sopravvivere e sopravvive. Quindi in realtà il racconto della guerra è un grande racconto della vita che resiste, o perlomeno ci prova. [«Quindi cosa cerchi nelle storie delle persone?»] Nelle storie delle persone cerco quello che ci rende tutti simili, cioè l'istinto di sopravvivenza. Ognuno ce l'ha modulato nella realtà in cui vive. Ogni scenario mi ha insegnato molto, anche quelli non di conflitto; penso ad esempio al racconto delle zone dimenticate della nostra società [...]. Chi, come me, si è erroneamente sentito meno esposto al rischio di catalogazione del mondo in realtà ne è influenzato. Le persone, quando le ascolti, ti insegnano sempre che la realtà è tanto diversa da come la si schematizza. E questo vale a Corsico, in periferia di Milano, come a Baghdad. (Francesca Mannocchi)
  • Se tu vai avanti su questo itinerario della disperazione collettiva, diventa una tua disperazione personale. Io mi sono messo su una strada dalla quale, in qualche modo, non posso più uscire. (Ettore Mo)
  • Voi siete stati travolti da questa ondata di mezzi tecnologici che a un certo punto vi impediscono, nonostante tutta la vostra buona volontà di fare questo mestiere, vi impediscono, perché dite: basta schiacciare un bottone e hai tutta la storia, non so, dell'Etiopia o dell'Afghanistan nel giro di un paio di minuti.
    Ma se tu non vai, se non senti l'odore, anche di questo fiume, se tu non vai, la gente non ti crederà mai più, non sei credibile. La gente capisce se tu ci sei lì o non ci sei, basta alle volte un aggettivo, basta qualcosa, basta un particolare che non avresti potuto avere se non eri lì in quel momento. E allora adagio adagio il nostro giornalismo si svilisce. Diventa una cosa altamente tecnica, specializzatissima ma senza cuore, senza anima. (Ettore Mo)
Giornalisti in zona di guerra

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