Francesco Piccolo (filologo)
filologo, critico letterario, saggista, giornalista, docente di letteratura italiana e di filologia (1892-1970)
Francesco Piccolo (1892 – 1970), filologo, critico letterario e docente universitario italiano.
Saggio d'introduzione alla critica del romanticismo
modifica- [...] io cercavo una più profonda esperienza, e pensavo a Dante mistico e sentimentale, innamorato e tremebondo, poeta e uomo politico, piccolo borghese e filosofo, patriota ed esiliato: pensavo a Dante che in esilio dà la scalata al trono di Dio, Dante che tenta di fissare i suoi occhi d'aquila in Dio, Dante che ricrea la beata Beatrice ghermitagli, che plasma il suo mondo morale, che calca il suo piede sulla vanità, che par persona, delle ombre terrene e sotterranee, Dante romantico in una parola, il primo romantico del nostro mondo neolatino. (pp. VII-IX)
- «Classico» e «romantico» designavano sì diverse e opposte tendenze, ma se in sé non erano e non sono nomi vuoti, erano vuoti ne' modi onde venivano usati, il secondo più del primo, che attraverso tutte le significazioni e i traslati indica null'altro che l'opposto di «romantico» equivalente a «moderno»: cosi poteva dire amante e imitatore degli scrittori antichi i quali erano «classici» nel senso che facevano testo in questioni di lingua (Mazzoni). Il contrasto fra classico e romantico, fra classicismo e romanticismo parte così da questi valori; classicismo, arte fatta di equilibrio interiore, ma sorpassata con l'avvento del Cristianesimo e della Cavalleria: romanticismo, complesso di aspirazioni e tendenze all'equilibrio interiore, uno stato della psiche in dissidio, in contrasto fra l'interno e l'esterno, la coscienza e la realtà. (p. 5)
- [Johann-Peter Eckermann] [...] questo mediocre spirito di campagnuolo che non può scendere sino alle profondità dello spirito del Goethe, dal quale egli restava accecato e abbagliato [...]. (p. 7)
- Già nel 1816 «romantico» valeva liberale, e classico era una parola come un'altra per dire spia e reazionario. (p. 38)
- [...] romanticismo non era solamente arte con contenuto nuovo. Ogni fenomeno d'arte ha avuto e avrà in sé gli elementi logici e indispensabili della modernità senza essere romanticismo; come si vedono esclusi dal pieno ardore romantico molti che pure trovavano ispirazioni e movimenti e sentimenti nella modernità.
Il romanticismo è stato un rivolgimento europeo che ha disorientato tutti i criteri, i quali, senza poter trovare un punto unico di partenza o un centro d'appoggio, si sono sbizzarriti dietro le più infondate e più soggettive impostazioni di questioni: e queste senza risolversi e senza decidere intorno alla essenza del fenomeno, appena lo sfioravano, lasciandolo più aggrovigliato e più privo di luce e di semplicità fondamentali. Perché dai concetti e dalle critiche di quelli che vi han collaborato non può desumersi una ragion critica di un fenomeno d'arte e tanto meno una intuizione unica del romanticismo che è di mille forme e di mille aspetti. (pp. 38-39)
- C'è, nell'arte romantica, un tono unico e fondamentale che prepondera in ambedue gli elementi costitutivi, cristianesimo e cavalleria, ed è l'amore. (p. 60)
- Euripide segna il passaggio dalla tragedia alla filosofia, dall'arte alla speculazione, dal tormento dell'elaborazione estetica a quello del concetto. (p. 94)
Zodiaco letterario
modifica- In Ugo Foscolo lottano il letterato e il poeta. Le caratteristiche dell'«enfant du siècle» sono decise, marcate: un'età intera vive e si dibatte in lui, non soffocando, anzi rivelando e il letterato e il poeta. Quando le passioni del tempo tacciono, quando l'anima e il cuore e il sangue tumultuosi riposano e si rifugiano in un ideale di pura bellezza, il poeta rimane, sommo. (p. 11)
- La poesia dei Sepolcri nasce direttamente dall'animo appassionato del Foscolo. La poesia sepolcrale che ha negli altri sempre ispirazione o soggettiva o a freddo, non le aggiunge né il calore né l'intonazione formale. Forse, se il Foscolo avesse avuto presente uno schema, ne sarebbe venuto fuori un lavoro letterariamente perfetto, ma perfetto come puro pezzo di letteratura e chiuso in uno svolgimento di motivi lirici serrati; ma è difficile dire fino a qual punto sarebbero giunte la nostra commozione e la nostra adesione. (p. 16)
- Per molto tempo la poesia dei Sepolcri è stata catalogata per carme d'intonazione civile, e non è dubbio che tale fosse nell'intenzione del poeta, inquadrato nella storia, e riferito alle leggi che lo avevano ispirato. Ma il carme d'intonazione civile finisce con la prima parte, come s'è detto: il poeta prende la mano, l'intonazione cambia, la visione diventa più alta, il respiro più ampio, il colore più dolce (Ma cipressi e cedri — Di puri effluvi i zefiri impregnando — Perenne verde protendean su l'urne... Le fontane versando acque lustrali — Amaranti educavano e viole) tutto è assorbito e fuso nel calore della fantasia che ricompone in salda unità poetica gli elementi del carme, apparentemente frammentarii: apparentemente, perché il respiro musicale tra una visione e l'altra definisce una per aprirne un'altra la quale è già virtualmente contenuta nella precedente, e perché avvertiamo che il tono con cui ciascuna di esse incomincia è artificioso e oratorio: A egregie cose... Felice te che il regno... E me che i tempi e il desio d'onore. (pp. 17-18)
- Leopardi è ancora solo. La sua poesia sarà sempre in alto e sola, nell'eternità.
Che grande errore imporla nelle scuole, trascinare la dolente pensosa figura del poeta per le chiuse aule scolastiche dove è appena lecito declamare per esercitazioni mnemoniche e oratorie: Ancor dal monte...[1] o Agile e solo vien di colle in colle...[2] Habent sua fata pöetae. Non c'è al mondo altra poesia più della leopardiana lontana dalla scuola e dalla mentalità scolastica, se togli la canzone all'Italia e l'altra per il monumento di Dante; eppure il destino del Leopardi è stato questo: che il riconoscimento della grandezza della sua poesia dovesse essere ufficiale, incominciando dalla scuola, sulla cui soglia la si abbandona quando si entra nella vita. (pp. 20-21)
- [...] tolte le canzoni di carattere patriottico ed encomiastico, il mondo poetico del Leopardi si riduce a quello morale e a quello sentimentale - critico che è assorbito dal primo perché le donne amate dal poeta sono come foglie cadute, figure di cose passate, travolte dalla morte, tornate nel nulla. E queste figure di donne senza contorni, senza qualità speciali, inindividuate, non sono mai il centro di una rappresentazione di arte, ma pure entrando direttamente nella emozione e nella ispirazione del poeta, restano poi fuori della poesia alla quale non importa che cantare il pensiero dominante: il nulla, il vuoto, nulla l'amore, nulla l'illusione, nulla la gloria. (p. 24)
- Nessun amore del Leopardi risulta poeticamente giustificato. Fantasie, sogni torbidi, vaneggiamenti: amore no. Nessuna figura di donna ha lasciato nell'anima e nel corpo del poeta un solco profondo. Non possiamo immaginare che vergine il Leopardi: vergine nella carne e nell'anima, con le labbra sottilissime immuni di contatto carnale. In poesia figure di donne passano fugacemente e vaniscono: Silvia, Nerina, Geltrude Cassi e qualche altra. Apparizioni. Dico che questi amori, vissuti forse realmente ma non poeticamente appieno, e passati così, inani, non giustificano empiricamente questo inabissamento e annihilamento del mondo, dello spazio, del tempo, della propria personalità e del mondo esteriore, ridotti al nulla eterno, alla indifferenza assoluta, alla non esistenza. Che diventa materia di poesia. Nella distruzione tragica del mondo circostante, tempo e spazio, qualche cosa si salva, vien su da tanta feroce e voluttuosa rovina, la coscienza di sé, la coscienza dell'intimo individuale dolore. (p. 27)
- Quando il Carducci morì, parve per un momento che la sua statura morale dovesse oscurare a lungo quelle della generazione a lui contemporanea e di altre successive che avrebbero dovuto attingere alla poesia gli ideali e alla personalità morale di lui norme di vita. In verità scompariva e scendeva con lui nella tomba una Italia che i panegiristi, i chroniqueurs, i falsi scolari, i critici maggiori e minori credevano d'intendere, gridando a gran voce con lagrime di dolore le lodi di un uomo che, vivo, si sarebbe violentemente e rudemente liberato di quel coro profano: che non sarebbe stato né posa né gesto platonico, come non erano state ciò le ribellioni del Carducci alla esaltazione cieca della sua personalità poetica e prattica. (Da Carducci a D'Annunzio, p. 69)
- Quando pensiamo al Carducci uomo non sappiamo separare questo dagli altri elementi del suo carattere morale, sicché noi lo vediamo ancora un po' come il maestro e il consigliere di tutte le generazioni. Per altro egli rimane ancora vivo nella coscienza di tutti, anche se ad uso d'una certa coscienza giovanile in formazione è stato ridotto a pezzi d'antologia i quali non danno la misura né del carattere morale né del carattere poetico di lui. Rimane nella scuola, perché la scuola è la più conservatrice di tutte le istituzioni. (Da Carducci a D'Annunzio, p. 71)
- Bernardino Zendrini non ebbe anima di poeta: il suo nome è più legato alla traduzione delle poesie di Heine che al resto: vaneggiamenti d'una brava persona che si esercita a costruir versi senza fermarsi su un argomento, poeta disinteressato e astratto, moraleggiante, umorista, innamorato, senza un contenuto serio, poetico. Nonostante la varietà grande degli argomenti intorno ai quali presumeva costruire l'arte sua, questa risulta povera e scheletrica, priva di forma. (Da Carducci a D'Annunzio, p. 97)
- Sì. Emilio Praga fu un poveruomo, debole e malato. Lo ha visto bene il Croce tanti anni or sono, e non ci sarà chi voglia rifare al poeta una sanità intatta di corpo e di mente; ma è perché la sua poesia rimane in questa atmosfera di malattia e di debolezza ch'essa ci commuove e ci attrae. (Da Carducci a D'Annunzio, p. 97)
- Bertacchi pubblica ancora, Cesareo pubblica ancora, Baccelli trova il tempo, rimpiangendo la Minerva e preparando una campagna elettorale, di far versi, e non s'avvedono che nonostante l'impeccabilità della forma e le buone intenzioni con le quali danno corpo alle loro fantasie, essi sono alquanto ritardatarii, e che l'interesse del pubblico li ha abbandonati lasciando ai critici vecchio stile e ai bollettini bibliografici, organi delle case editrici, la cura di sunteggiarli come si conviene e presentarli ai lettori. (Le forme chiuse, p. 133)
- Guido Gozzano s'è sentito morire lentamente, giovanissimo. Quando lo leggemmo la prima volta, in La via del rifugio e nei Colloqui, e nelle novelle e fiabe, trascurando pochi movimenti di spensieratezza e atteggiamenti lirici classicisti, il suo mondo poetico che si conchiudeva in un respiro breve, affannoso e stanco, ci commosse. Il cliché del poeta di scuola, tradizionale, dalla voce rotonda, impersonale, era finalmente infranto: la poesia scendeva di tono, s'insinuava timida e modesta nella nostra vita [...]. (Decadenti e futuristi, p. 166)
- Non s'è mai potuto capire, [...], come e perché Govoni e Palazzeschi, per citar qualcuno, fossero assorbiti dal futurismo, etichettati così, trasformando la loro fisionomia di buoni provinciali e di buoni figlioli. (Decadenti e futuristi, p. 168)
- Che io sappia, Fucini non e stato mai dimenticato, e le cose sue sono state sempre tenute in onore; ma era un onore scolastico e convenzionale, che non usciva al di là dei banchi della scuola dove era facile trovar le Veglie di Neri; ed è bene che sia, finalmente, uscito dalla scuola per interessare una generazione che non sa scrivere, non sa stendere con naturalezza e semplicità una pagina discorsiva e non sa chiamare una cosa con la parola sua. (Narratori, p. 194)
- Chi è letto ancora, e sempre sarà, è De Amicis. La sua figura non scompare; molto tempo è passato da quando lo leggemmo la prima volta, e si riapre con lo stesso piacere, e sempre l'emozione è viva, quel vangelo educativo che ha provato la sensibilità di generazioni parecchie. (Narratori, p. 195)
- [Edmondo De Amicis] Era il buon borghese ex militare delle guerre d'indipendenza, il quale metteva la testa fuori ad ammirare le buone cose di casa altrui, contento che tutto fosse buono e bello, perché così s'avviavano ad essere le cose in casa sua: il buon borghese pronto a stringer la mano a tutti, e a dir bene di tutti. Temperamento oltremodo ingenuo, poco passionale, scrittore meccanico, ha visto tutto roseo, la vita militare e la lotta di classe. Leggendolo, avvertiamo che nessuno più di lui è schivo della menzogna convenzionale, e che l'esagerazione, l'ottimismo, la sensibilità eccessiva sono resultato del suo carattere ch'egli non deformò mai sugli esemplari altrui. (Narratori, pp. 195-196)
- [...] il più importante dei quali [scolari maggiori e minori di D'Annunzio] è Guido Da Verona contro la cui opera s'appuntano gli strali dei critici e degli scrittori falliti. A parte il cinismo e quella sete insaziata di esotismo e di cosmopolitismo che il Da Verona drammatizza nei suoi romanzi, è certo che qualità buone di scrittore – se non di artista – sono nel suo temperamento [...]. (Narratori, p. 196)
- Qualche anno fa, con la celebrazione dell'ottantesimo anniversario del Verga, ci fu una ripresa d'interesse per l'opera del maestro. Si dissero cose molto istruttive, e si predicò anche un ritorno al Verga. Un ritorno a Verga sarebbe stato un ritorno all'arte realista che in Italia era stata indicata, prima che dal Verga, dal Capuana, ingegno finissimo di critico e di artista. Di tutto il gran parlare d'allora restano qualche articolo e l'ottimo libro di Luigi Russo. Verga resta più lontano che mai, e più solitario che mai, nella sua grandezza non raggiunta. Tentativi d'imitarlo e di continuarlo non sono mancati, e ne resta qualche traccia isolata che documenta della inutilità della imitazione quando difetti il temperamento artistico. (Narratori, p. 197)
Note
modificaBibliografia
modifica- Francesco Piccolo, Saggio d'introduzione alla critica del romanticismo, Libreria Detken & Rocholl di B. Johannowsky, Napoli, 1920.
- Francesco Piccolo, Zodiaco letterario, Vallecchi Editore, Firenze, 1923.