Cimitero monumentale di Staglieno

cimitero di Genova
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Citazioni sul cimitero monumentale di Staglieno a Genova.

Cimitero di Staglieno

Citazioni

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  • A Genova ..., per più di un secolo, le famiglie dei grandi mercanti o professionisti fecero a gara nell'erigere cappelle squisitamente domestiche. Le vediamo tutt'attorno a due grandi quadrilateri e sulle terrazze della collina, dove gli echi di Canova evidenti nei primi esempi, si smorzano in sussurri di Mestrovic e di Epstein nei più recenti. Sono in marmo o in bronzo: un affastellato compatto ed intricato. Figure più o meno drappeggiate, simboli di lutto e speranza. Sono qui collocate in disinvolta intimità con i ritratti dei defunti di un realismo inquietante. Qui stanno le immagini dei cari estinti che mostrano, sull'arco di un secolo, le mutevoli mode: l'uomo coi basettoni, vestito alla finanziera, occhialuto; la signora in crinolina, scialle guarnito di pizzi, il cappellino di piume, ogni bottone o laccio esattamente riprodotto... E gli angeli di marmo che emergono, consolatori, dalle porte di bronzo, sussurrano qualcosa all'orecchio dei parenti inginocchiati: veri tableaux vivants! In uno di questi gruppi l'illusione doppia: una mamma di marmo regge il bambino che bacia il busto di marmo del padre! Verso gli anni '80 lo stile liberty ammorbidisce il troppo acuto cesello. Quello che è stato fatto dopo il 1918 non ha alcun interesse per il vero conoscitore. Il Camposanto di Genova, nel pieno e vero senso della parola, è un museo dell'arte borghese della seconda metà del secolo scorso. Il Père Lachaise e l'Albert Memorial sono nulla al confronto e la loro scomparsa non sarebbe una perdita grave fino a quando questa collezione esisterà. (Evelyn Waugh)
  • A Staglieno c'è materia da morbosi sogni, al contatto degli orrori metafisici suggeriti dalle visioni e dalle statue, vagando in una avvolgente voluttà del disgustoso. Se tanta stupidità spenta, risorgendo, andasse a mescolarsi a quella oggi viva, chi reggerebbe? Oh terra tienili sotto per sempre, non riaprirti! (Guido Ceronetti)
  • Adesso sono a Genova. Qui c'è un mucchio di navi e un famoso cimitero, ricco di statue. E di statue, effettivamente, ce n'è molte. Vengono raffigurati interi, in grandezza naturale, non solo i defunti, ma persino le loro inconsolabili vedove, suocere e figli. C'è la statua d'una vecchia signora, che tiene in mano due ciambellette ucraine col ripieno. (Anton Čechov)
  • Dopo aver visitato le antiche e nobili dimore di Genova e ammirato alcuni quadri fra i quali i tre capolavori di Van Dyck, non rimane da vedere che il Camposanto, il più bizzarro, sorprendente, macabro e comico museo di sculture funebri che vi sia al mondo. Lungo l'immenso quadrilatero corre una galleria, come un chiostro gigantesco aperto su un cortile che accoglie le tombe dei poveri ricoperte da lapidi bianche come neve. Percorrendola, si passa davanti a una processione di borghesi di marmo che piangono i loro morti.
    Che mistero! Queste statue testimoniano una grande capacità, un vero talento da parte degli artigiani che le hanno realizzate. La natura dei vestiti, delle camicie, dei pantaloni rivela una lavorazione di fattura stupefacente. Ho visto un abito di amoerro a cui i tagli netti della stoffa davano un aspetto di totale verosimiglianza. Non vi è niente di più irresistibilmente grottesco, mostruosamente ordinario, indegnamente comune di queste persone che piangono gli amati congiunti.
    Di chi è la colpa? Dello scultore, che nei lineamenti dei suoi modelli ha visto soltanto la volgarità dei borghesi moderni e non ha saputo trovarvi quel riflesso superiore d'umanità che i pittori fiamminghi hanno colto così bene nei tipi più laidi e plebei della loro razza? Dei borghesi, ai quali il basso livello di civilizzazione democratica ha eroso e cancellato ogni carattere distintivo e ha fatto perdere i segni di originalità di cui ogni classe sociale è sempre stata dotata?
    I Genovesi sembrano molto fieri di questo sorprendente museo che disorienta e rende difficile il giudizio. (Guy de Maupassant)
  • È una necropoli che frinisce, che gorgheggia, che urla, che fischia, che di notte non dà regua a noi poveri vivi. (Guido Ceronetti)
  • Il Campo Santo genovese è la valle di Giosafatte della morte e della sepoltura. Nella conca di pietra, al di là di bianche pareti e file di cipressi, c'è la città dei morti. [...] In esso manca il tono elegiaco tipico del fiorentino San Miniato, la modesta semplicità e il senso di commozione trasmesso dai nostri cimiteri di campagna. Qui gli abbracci della morte sono potenti e soffocanti. (Boris Zajcev)
  • Il giorno dopo papà ci portò al famoso cimitero di Genova, il Camposanto. [...] E tuttavia, col Camposanto successe il contrario del mare. Ci piacque così tanto e sinceramente come nemmeno Michelangelo avrebbe potuto! La chioma scura, intagliata dei cipressi, folta come la pelliccia d'un cane (e per di più foderata!), il cielo d'un lilla mai veduto, profumo di alloro riscaldato dal mite calore del giorno (dopo le piogge autunnali di Mosca), e in mezzo a tutto questo il battito di ali marmoree nel silenzio di pietra del cimitero, città di cripte e monumenti su chi, un tempo, lì aveva passeggiato, respirato, come noi adesso. Che cosa poteva importarci, bambine di dieci e otto anni, che la posa della donna in lacrime inginocchiata accnato alla lastra di marmo fosse oltremodo patetica? E quel marmoreo dito affusolato, accostato a labbra anch'esse di marmo, non esprimeva ciò che anche noi sentivamo fra le tombe? Quel silenzio altissimo non paralizzava a un tempo le statue e noi? Ammaliate, andavamo per la bianca città dei morti richiamando da sotto le zolle immote la vita degli uomini spenti che vi giacevano. (Anastasija Ivanovna Cvetaeva)
  • La nostra ultima visita fu al cimitero (costruito per ospitare 60.000 salme) e continueremo a ricordarcelo dopo che avremo dimenticato i palazzi. È un ampio corridoio di marmo fiancheggiato da colonne che si stende intorno a un grande quadrato di terreno libero; il suo spazioso pavimento è di marmo e su ogni lastra c'è un'iscrizione, giacché ogni lastra ricopre una salma. Da una parte e dall'altra, avanzando nel mezzo del passaggio, vi sono monumenti, tombe, figure scolpite squisitamente lavorate, tutte grazia e bellezza. Sono nuove, nivee; ogni lineamento è perfetto, ogni tratto esente da mutilazioni, imperfezioni o difetti; perciò, per noi, queste lunghissime file di incantevoli forme sono cento volte più belle della statuaria danneggiata e sudicia salvata dal naufragio dell'arte antica ed esposta nelle gallerie di Parigi per l'adorazione del mondo. (Mark Twain)
  • La sorpresa del detective aumentò quando gli vide tra le mani [...] una monografia sul cimitero genovese di Staglieno, prima meta di visita per soddisfare un vecchissimo desiderio di Carvalho, innamorato di un camposanto progettato secondo i principi dell'Illuminismo e di uno scarso senso del sacro. (Manuel Vázquez Montalbán)
  • Mi fu raccomandato di andare a vedere i cimiteri di Genova. Raggiunsi in tram un antico camposanto in una valle del fiume Bisagno, molto amena e placida, e mi riferirono che a poca distanza ve n'era un altro [il cimitero di Staglieno], pieno di statue. Lo vidi e non mi piacque per niente. Mi diede l'impressione di un baraccone di figure di cera, prive di colore. (Pío Baroja)
  • Mi sono letteralmente innamorata di quella piccola parte del cimitero antico. Ho visto una galleria meravigliosa di tombe imponenti fatte erigere nell'Ottocento da ricchi e colti genovesi. Decine e decine di sculture raffiguranti famiglie di commercianti e industriali, di quella borghesia intelligente che aveva fatto la fortuna della città, e che aveva chiamato a lavorare eccellenti scultori perché raccontassero, con una precisione "fotografica", fisionomie e consuetudini familiari. [...] Detestavo ciò che molte sculture rappresentavano, per esempio lo stereotipo della donna timorosa e dipendente dagli uomini, ma ero anche colpita dalla capacità di chi, ancora in vita, aveva progettato la propria tomba. Le guardavo con occhio ammirato e ho cominciato a fotografare appassionandomi sempre di più, di tomba in tomba, di scultura in scultura, trascinandomi dietro una scaletta per avere un punto di vista più elevato. Ho copiato decine e decine di scritte tombali. Ho preso anche la bronchite. (Lisetta Carmi)
  • Si è parlato del culto genovese dei morti, che talvolta palesa un grandioso concetto della classe. La visita a Staglieno, il più famoso cimitero d'Italia, mostra come quel concetto sia stato tramandato dall'aristocrazia alla borghesia filantropica. Nemmeno il Cimitero Monumentale di Milano offre una tale antologia di autocelebrazioni mediante il sepolcro. Qui vedi il finanziere in panciotto di marmo bianco, che si congeda dalla moglie piangente; ma si congeda in un palazzo; e morire significa andare di là di un tendaggio di broccato dalle ricche pieghe. Un altro defunto appare nella veste di un angelo che versa da una ciotola una pioggia di monete d'oro; ed un altro, dice l'epigrafe, «cessò di vivere ma non di beneficare – legando a pietosi istituti – parte non umile del ricco suo censo». (Guido Piovene)
  • Si passeggia al Camposanto, uno dei più notevoli cimiteri del mondo. (Erika e Klaus Mann)
  • Sono andato a Genova a vedere la tomba di Constance. È molto graziosa – una croce di marmo con foglie di edera scura intrecciate in un buon motivo. Il cimitero è un giardino ai piedi dei bei colli che si arrampicano verso i monti alle spalle di Genova. (Oscar Wilde)
  • Staglieno! Staglieno! Necropoli senza fine, paradiso del necrofilo mentale, giardino accademico dell'animista ateo! Staglieno, porto sepolto, sotterraneo, alle spalle della città portuale!
  • Staglieno affascina squilibrando, ti afferra in tentacoli morbidi di demenza... Mi veniva un pensiero terrificante: se davvero dovessero risorgere, e risorgessero così come appaiono nelle sculture, coi loro angeli custodi, i loro cristi di languore, tra lo sgomento degli ultimi viventi, potrebbe mai la terra sopportare il peso del loro delirio? Per lo più sono morti in pace, confortati dalla Religione, autorizzati dalla Scienza, tra le lacrime dei Congiunti, dopo vite probe, probissime – perché, in morte, sfogarsi in così scomposti deliri? Forse perché Staglieno è femmina, un piagnone, anzi una prèfica, isteria che si scatena al contatto del sepolcro, braccia che brancicano, labbra che succhiano, e ha un'anima di baccante, una febbre dionisiaca nelle vene, proprio lì, a due passi da un Bisagno al di sopra di ogni sospetto.
  • Staglieno è femmina e orientale, come Genova. Ha il disordine, la smania d'invadere e di straripare con attiva pigrizia, di tutti gli Orienti. I suoi morti sono stati i cittadini orientali di un regno nordico; cessati i doveri verso il re piemontese, si liberavano di ogni freno in morte.
  • Staglieno è un'enorme confessione collettiva, uno dei più grandi spettacoli del Teatro della Morte; si possono passare giorni (notti, ancora meglio, nascondendosi in qualche cappella), settimane intere ad ascoltare quelle tirate, quei monologhi, quei battibecchi su chi ebbe più meriti, su chi ha più ammassato patrimoni celesti, e sempre ti direbbero dell'insolito, dell'inaudito sulla nullità, il vuoto, la miseria, la stupidità inarrivabile, l'assurdità rovente, la disperazione infinita che i nostri gusci d'osso nascondono per vomitarli davanti alla faccia del cielo.
  • Caro amico, Le mando di corsa una cartolina solamente per comunicarLe la forte sensazione che ho in questo momento: credo che Lei e io siamo sulla via giusta! Solitudine e rigore nel giudicare noi stessi; mai più tendere l'orecchio agli altri, modelli e maestri! Una vita adatta e via via adattabile ai nostri desideri più profondi, un'operosità senza affanno, e senza nessuna coscienza estranea a vigilare su di noi e sul nostro operato! È così che tento ancora una volta di arrangiarmi, e Genova mi sembra il luogo adatto: ogni giorno per tre volte qui il cuore mi è traboccato, di fronte a questa vastità che chiama alle lontananze e al cospetto di una così imponente operosità. Qui ho la calca e il silenzio e sentieri sulle alture, e una cosa che è più bella di come l'ho sognata, il campo santo.
  • Forse accompagno l'amico a fare una gita sulla Riviera. Speriamo che gli piaccia quanto Genova: io qui mi sento davvero a casa mia. [...] Quando c'è stato il grande corteo di Carnevale siamo andati al Cimitero, il più bello tra i più belli del mondo.
  • Io amo te, antro dei sepolcri, | te, bugiarderia di marmo! | Sempre mi liberate l'anima | alla più libera beffa.
  • Così come lo ha pensato il Barabino, l'ideatore della Genova nuova, il camposanto di Staglieno era una perla incastonata nel verde cupo della valle; quasi un'isola con l'acqua del Bisagno da una parte e l'antico acquedotto del Veilino, a monte. Acqua che corre anche quando la vita è ferma.
  • Fortunatamente quando tu cammini nelle gallerie, lungo i viali che salgono la collina, ricuperi il senso perduto anche se l'arte ti affascina e ti ritrovi a cercare l'autore, lo stile, il bel pezzo. Ti accorgi nel lento andare che stai incontrando sembianze di un tempo passato. In nessun altro luogo al mondo il marmo sa darti liriche immagini e l'opera vivi ricordi, come in questa città di morti. È la testimonianza del forte legame che unisce i liguri al passato e li proietta all'avvenire, come sentissero questa calda terra urna che sa conservare il germoglio. [...]
    Ti accorgi passando davanti ai marmi stanchi che le fotografie sono volti veri, gente di ieri, e che per ognuno c'è qualcuno che ha sentito parole d'amore. Sai così che è grande il bisogno d'amore e di pace dell'umanità, e che la bontà è il denominatore comune degli uomini.
  • Questo spuntone di collina, allagato di mezzogiorno, fiorito come un parco e decorato come una reggia, con lunghe creuse, oasi di frescura, un cinguettare travolgente di uccelli, un rincorrersi di lussuose dimore in miniatura, è realmente la calda terra che sa conservare il germoglio, è solamente il momento più fiducioso dell'attesa.

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