Antonio Starabba, marchese di Rudinì

marchese di Rudinì, politico e prefetto italiano

Antonio Starabba, marchese di Rudinì (1839 – 1908), nobile, politico, prefetto e patriota italiano.

Il marchese di Rudinì in un ritratto di Giovanni Boldini (1898)

Citazioni di Antonio Starabba

modifica
  • Signori, noi ministri mettendo in disparte quel fragile strumento che era la famosa lente dell'avaro, ci siamo, mi si passi la celia, costituiti nella famosissima Compagnia della Lesina, che ebbe le sue leggi e i suoi precetti, dai quali questo scegliemmo a nostro consiglio: che ciascuno debba guardarsi ed astenersi da ogni superflua ed impertinente spesa, come da fuoco, né mai si spenda un quattrino se non per marcia necessità, perché con tal regola e per tal via si dà buon principio all'augumentare, e far capitale. Quod est principalis intentio læsinantium.[1]

Citazioni su Antonio Starabba

modifica
  • Benché si sapesse che di Rudinì non godeva della piena fiducia del re, la classe politica riconosceva in lui un monarchico leale e un uomo onesto, che – a differenza di Crispi – non si era appropriato del denaro delle banche né si era arricchito con la vendita di titoli onorifici. Dal punto di vista di Umberto, di Rudinì aveva il vantaggio di essere più malleabile ed arrendevole del suo predecessore. (Denis Mack Smith)
  • Bisogna notare che il marchese Di Rudinì, a Corte, non aveva che pochi amici. La morte del conte Visone[2] gli avrebbe offerto forse l'occasione di nominare – come avrebbe tentato Crispi – un ministro politico di sua fiducia presso la persona del Re; ma lui, anima troppo superiore di fatalista, non pensò mai all'opportunità di coprire quel vuoto... anche per evitare una noia a S. M. [Umberto I], che non amava vedersi intorno visi nuovi.
    Rudinì, a chi ripetutamente gli consigliava tale nomina, rispondeva, a propria scusa, che non si sentiva abbastanza forte per imporsi alla Corona... E, fra una stretta di spalle e l'altra, non ne fece mai nulla. (Leopoldo Pullè)
  • Il Presidente del Consiglio, marchese Antonio di Rudinì, è nel parlatorio di Trinità dei Monti in presenza della superiora e della figlia.
    Per nulla intimidita Alessandra lo guarda sorridendo; finge di non accorgersi dell'impazienza e della collera che traspare dal suo sguardo.
    Infatti il marchese non riesce a sorridere. L'uomo abituato ad affrontare con disinvoltura le situazioni più gravi si trova ora a disagio di fronte a una piccola mortificazione personale e familiare: sua figlia, scacciata dal collegio come una borghese qualsiasi! Egli soffre per questa umiliazione in tutte le fibre del suo aristocratico orgoglio. (Lucy Napoli Prario)
  • Sindaco di Palermo a ventisette anni, aveva affrontato con molto coraggio la rivolta che vi era scoppiata nel '66, e questo lo aveva accreditato come il fanciullo-prodigio del moderatismo, destinato a gloriose imprese. Ma, diceva De Sanctis, col passare del tempo, il prodigio dileguò e rimase solo il fanciullo. Ministro degl'Interni a trent'anni in uno dei governi Menabrea, la sua carriera si era fermata lì. Pure, la fama di "uomo forte" gli era rimasta addosso, suffragata anche dalla sua alta statura, dai lampeggiamenti del monocolo, dalla fluente barba, dalla nobilesca alterigia. Idee, non ne aveva. Ma aveva delle impennate che facevano credere alla sua risolutezza. E questo, in una Destra impoverita di personalità di rilevo, gli era bastato per guadagnarsi i galloni di capo. (Indro Montanelli)
  1. Dal discorso tenuto a Milano nel teatro della Scala il 9 novembre 1891; citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921, p. 37.
  2. Giuseppe Visone, ministro della Real Casa di Umberto I di Savoia.

Altri progetti

modifica