Alfonso Gatto

poeta e scrittore italiano (1909-1976)

Alfonso Gatto (1909 – 1976), poeta, giornalista e scrittore italiano.

Alfonso Gatto nel 1975

Citazioni di Alfonso Gatto modifica

  • Chi è stato in un nuraghe, chi c'è stato davvero, dall'alto e dal basso riunendo nell'impressione l'immagine infinitamente grande e infinitamente piccola di quelle architetture secche, non potrà più dimenticare un senso di sgomento fisico e di tetra dignità che tocca il cuore.
    Siamo riportati alle origini, alla nascita degli umani accorgimenti, alla rivelazione di gesti che si ripetono, si provano, si associano per dar forma e luogo al lavoro e alla vita.[1]
  • I tuoi occhi son come la giovinezza | grandi, perduti, lasciano il mondo. | Potrebbero dirti morta senza rumore | e incamminare su te il cielo, | passo a passo, seguendo l'alba. (da Potrebbero dirti morta, Poesie d'amore, Mondadori)
  • In quel grande silenzio dove arriva | l'alba dai porti delle nebbie, ai vetri | d'una casa straniera, io parlerò | della vita perduta come un sogno | e tu m'ascolterai dentro al tuo freddo | chiudendo gli occhi a poco a poco, azzurra. (da E tu m'ascolterai, Poesie d'amore, Mondadori)
  • L'uomo è solo, d'argento in mezzo ai giunchi| dell'acqua immota, giocano in un bunker | i bambini zittiti da quest'ora | di sempre... Scenderà dalla controra | un ragazzo affannato senza voce | ... a far cenni di là che sulla foce | del Sele... Ascolta, appare il suo soldato | vestito da ramarro, s'è bagnato | il volto con la mano, con lo stecco | ha scritto il nome sopra il fango secco. | Un uomo, e s'è disteso in quel frinire | di cicale roventi per morire. | Scendeva il Mississipí dall'eterno | silenzio degli Alburni verso il mare | dei templi: era l'estate di Salerno | azzurra bianca, ventilava chiare | nuvole in cielo... (da Il Castoro, n. 63, La Nuova Italia, Settembre 1976)
  • Le poesie della Cumani-Quasimodo, ora che sono stampate, non sfuggiranno, secondo me, ad una alternativa di parti: la fine di una connivenza umana può diventare, per volontà soltanto di lei, una strana simbiosi di poetica di cui lui, Quasimodo, partecipa con le parole della sua poesia – che non sono più sue, ma della poesia – e lei con l'immagine e la finzione di sé medesima che non è più sua, ma anch'essa della poesia. Poeticamente la Cumani-Quasimodo è fatta delle sue stesse parole alle quali dà fede nel momento stesso in cui vuole togliergliela.[2]
  • Nella giovinezza, se non addirittura nell'adolescenza, la contemplazione dell'amore e la contemplazione della morte sono veramente nel nostro sguardo. Ma direi di più. Sono il nostro sguardo.[3]
  • Quando si nasce poeti, l'amore e la morte si fanno compagnia e tutti e due hanno le tasche bucate per non contare gli anni.[3]
  • Restarono i carnefici soltanto | vivi davanti ai morti [...] || Ed ogni giorno, | ogni ora eterna brucia a questo fuoco, | ogni alba ha il petto offeso da quel piombo | degli innocenti fulminati al muro. (da Per i martiri di piazzale Loreto[4])
  • Salerno, rima d'inverno, | o dolcissimo inverno. | Salerno, rima d'eterno. (da Salerno, rima d'inverno)
  • Tenere d'ocra e d'erbe vecchie tombe | – le dicono «a scogliera» − del Verano. | Il mare è il tempo, s'odono le rombe | dei treni, qualche fischio da lontano. (Vecchie tombe al Verano[5])
  • Universo che mi spazia e m'isola, poesia.[6]

In Un poeta e la sua città modifica

  • E forse il sogno del piccolo e del povero poeta che io sono è che un giorno, tra molti anni, diciamo, un ragazzo come me, con la testa pesante, sul collo magro, passi per questa marina e pensi anche lui alle proprie parole che lo ricorderanno un giorno, pensi anche lui che per amare dovrà dare dolore a suo padre, a sua madre, alla sua città e lasciare la casa, partire. (da La risposta di Alfonso Gatto, p. 41)
  • I poeti nuovi, molti di questi poeti nuovi, non a caso partivano allora dal Sud, da Salerno, dalla Lucania, dalla Sicilia: avevano scoperto che finalmente per l'Italia c'era una tradizione più antica di quella che le ultime storie le avevano proposto.
    E la terra di Campanella, la terra dei presocratici, la terra che incominciava a parlare con Alvaro, aveva ancora qualcosa da dire in una tradizione veramente intesa, veramente aperta alle sue contraddizioni ed ai suoi contrasti, una tradizione seria e non più giubilante. Io direi che nel momento in cui l'Italia ha scoperto la sua serietà, il Sud è entrato nella storia d'Italia. (da La risposta di Alfonso Gatto, p. 42)
  • Tra l'essere e il non essere, Napoli appare. Siamo davanti alle rovine di un paese felice da cui giungono i primi segni di vita.
    Gli scampati chini a raccogliere la propria ombra stendono il sole, luminoso prima che caldo. Si lasciano accogliere nelle strette di quel paesaggio ormai illeso e silenzioso al quale è stata tolta la parola. Di colpo, come da una pietra smossa, brulicano i bambini e al loro salto – di casa in casa, sembra –, al loro risalire, la platea di sasso scoscende nell'Ade o s'alza nella sua scena. La luce pesca tutti a uno a uno. Assenti le voci, e pure udite per quell'assiduo fervore, i vivi provano le braccia, le gambe, gli occhi di cui ancora non sanno che fare.
    Crediamo di vedere, remoto nel suo avvenimento, un passato giunto a noi da secoli di luce. (da Oggi si vive, Carlomagno nella grotta, (Mondadori), p. 219)
  • Se parliamo di Napoli, una città interrotta, sappiamo che «qualcosa» deve finire. Che sia l'inganno della distanza – quanto è più vicina – il fascino della sua verità?
    Il luogo comune nasconde il suo genio o tardi lo rivela, a nostre spese. Napoli è un idolo sconsacrato e ignoto, un avanzo di storia, al quale diamo un nome, una leggenda. La prendiamo in giro e per secondare il gioco, per divertirci, lei ci tiene a distanza. Non ha nulla da riconoscersi, prestigio o fama, ma fa sue le lodi di chi la cerca. Napoli è la nostra provocazione che le fa gioco. Questo deve finire. (da Oggi si vive, Carlomagno nella grotta,(da Oggi si vive, (Mondadori), p. 220)
  • [Il napoletano] Paziente, trasmoda dalla sua pazienza, non la perde. Rinuncia all'attacco per attecchire nel luogo e nel tempo che gli è dato vivere. Non ha radici, ma il fusto interrato come una croce. Potremmo scalzarlo, ma l'arma della sua punta – l'unica ch'egli possiede – sempre lo porterebbe a cercare in ogni sistema, in ogni rapporto, l'eterna provvisorietà del suo appiglio. Chiameremo «reazionario» l'inane opportunista che difende la sua superficialità, la sua parte di spillo a furia di penetrazione, a furia di cadere e d'essere vibrato dall'alto?
    Io non so rispondere, ma vedo la morte ch'egli ha sulle spalle, quel suo bisogno di penetrare nelle sue ristrettezze come la zeppa di legno in uno spacco, il soliloquio delle parole tenere che nessuno mai gli dirà. (da Oggi si vive, Carlomagno nella grotta, (Mondadori), p. 224)
  • Sono venuto a Salerno, a risciacquare i miei panni in Irno... e su queste rive ho appreso la mia bella lingua.[7]

Citazioni su Alfonso Gatto modifica

  • Alfonso Gatto e Graziana Pentich si incontrano nel dopoguerra, lei pittrice triestina, lui già noto e inquieto poeta dai vasti orizzonti: passano insieme vent'anni, «sempre in piedi sul ciglio di un abisso, ma col coraggio noncurante e divertito degli equilibristi». Hanno un figlio, Leone, «bello e prodigioso, forte e cattivo, delicato, come è la vita, come deve essere». Gatto muore in un incidente stradale nel '76, il figlio si uccide tre mesi dopo. Per dieci anni, Graziana Pentich si vieta anche solo il recupero mentale di un passato irripetibile e miracoloso, rifiutando ostinatamente la consolazione della memoria. Ma poi le si impone l'esigenza di un risucchio dal nulla e di una comunicazione illuminante agli altri della sua esperienza: «I buoni, i cari gesti della vita resistevano intatti in quegli sparsi disegni e dipinti ritrovati: ogni figura rimossa dal buio e dal disordine alla luce chiamava a sé altre figure, moltiplicava i gesti, le voci, i passi perduti...». (Alida Airaghi)
  • [Lettera a Graziana Pentich del 18 marzo 1985] Cara Graziana, la tua lettera dell'Epifania mi ha portato una ventata di ricordi. I miei ricordi di Alfonso sono soprattutto del 1946-47, Milano, Genova, forse Venezia ma soprattutto i mesi che avete passato a Torino, in quella camera d'affitto di via Garibaldi, ricordi di Alfonso e te insieme, noi tre che camminiamo ore e ore per quelle tristi vie discutendo, Alfonso a sopracciglio alzato gridando le sue invettive... Poi anche Roma, 1948, 1949... [...] Le amicizie sono sempre legate soprattutto a una stagione della vita e la nostra a quei nostri anni di miseria del dopoguerra, i cui ricordi restano folti e vivi sebbene sospesi in una nuvola quasi intemporale, come ricordi d'infanzia. (Italo Calvino)

Jolanda Insana modifica

  • La sua poesia, appare fedele a certi moduli linguistici, a certo ritmo e a certe forme che oggi si vorrebbero affossate. [...] A proposito della rima, lei ha scritto che essa è necessaria come due occhi sono necessari per un medesimo sguardo.
  • Lei è forse l'unico poeta che usi la parola «cuore» con molta frequenza. Anzi, «cuore» insieme ad «azzurro» (e forse anche «tremare» e «tremo») è uno dei segni più fitti del suo discorso.
  • Secondo me la sua pittura somiglia molto alla sua poesia per un fatto di colore e di tono.

Eraldo Miscia modifica

  • Alfonso Gatto è uno di quegli uomini che sembrano portarsi addosso tutto il peso del tempo, che non è soltanto passato ma anche futuro. Il suo è un volto "vissuto", con le tracce di una antichità concentrata, come se contenesse un po' di Empedocle e un po' di Ibico.
  • Alfonso Gatto può darsi che sia l'esemplare unico di una specie perduta; ma potrebbe anche essere il primo esemplare di una specie che non è ancora apparsa sulla terra.
  • Gatto crede nell'avvento dei mansueti nella stessa misura in cui sospetta della malafede e della prepotenza.
  • Il suo peccato più grande quello di credere nella poesia come ad una religione.

Filmografia modifica

Note modifica

  1. Da Napoli N. N., introduzione di Francesco D'Episcopo, Ripostes, Salerno, 1993, p. 88 [1].
  2. Citato in Maria Cumani Quasimodo, «O forse tutto non è stato», Nicolodi, Rovereto (TN), 2003, p. 6. ISBN 88-8447-064-1
  3. a b Citato in Jolanda Insana, A colloquio con Alfonso Gatto, La Fiera Letteraria, n. 17, aprile 1973.
  4. In La storia delle vittime. Poesie della Resistenza (1943-47, 1963-65), Mondadori, Milano, 1966, pp. 72-73.
  5. In Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2017, p. 435. ISBN 9788852082009
  6. Da Isola, "Poesia". Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  7. Citato in Giovanni Greco, Sulle tracce di Alfonso Gatto, un salernitano che risciacquò i panni in Irno, Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche, 41, no. 3, gennaio/giugno 2016.

Bibliografia modifica

  • Alfonso Gatto, Un poeta e la sua città, Omaggio del Comune di Salerno a Alfonso Gatto, con un saggio di Geno Pampaloni sulla poesia di Alfonso Gatto e un'antologia di poesie e prose dell'autore a cura di Pietro Laveglia, disegni di Mario Carotenuto, Municipio di Salerno, stampa (Scuola Arti Grafiche dell'Orfanotrofio Umberto I), 1964.

Voci correlate modifica

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