Alida Airaghi

poetessa italiana (1953-)

Alida Airaghi (1953 – vivente), poetessa italiana.

Alida Airaghi nel 2010

Citazioni di Alida Airaghi

modifica
  • Altro da me e da tutto, | non visto non visibile: muto. | Solo e inconosciuto, | lontano – irraggiungibile. | E in ogni cosa, in ogni rosa; | abisso e vetta, pantano | e volo. Tu, sordo | a qualsiasi grido, tu – grido. | Puro e trasparente, insanguinato | e lordo. Mio Dio, mio io, | mio muro. O niente.[1]
  • Intercettare dio, | il dio della pazienza e del conforto, | il dio che aspetta, e sa, e non ha fretta; | fermo nella potenza, | a sé risorto; visibile | in una chiara, arresa | trasparenza. Così arpionarlo, | con dita scorticate | tremanti, innamorate: | pretesa indifferibile | dopo una vita avara.[2]

L'Arena, 2 dicembre 1993; ripubblicato in alidaairaghi.com.

  • Si è tenuta a Pavia, nella Sala dell'Annunciata, la mostra "I colori della storia: Alfonso Gatto, poesia e pittura", curata sapientemente da Anna Modena. L'esposizione ha offerto al pubblico immagini e documenti messi a disposizione dalla compagna del poeta campano, Graziana Pentich. La mostra, e l'elegante volume edito da Vanni Scheiwiller, che ne è spunto, catalogo e sintesi, narrano tredici anni di una vita e di un amore che si intuiscono lacerati e regali, addirittura oltraggiosi nella loro ricerca dell'assoluto. Come tanti, si dirà. Certo, ma questa storia ha qualcosa di più tragico e necessario insieme, che brevi cenni biografici basteranno a illuminare.
  • Alfonso Gatto e Graziana Pentich si incontrano nel dopoguerra, lei pittrice triestina, lui già noto e inquieto poeta dai vasti orizzonti: passano insieme vent'anni, «sempre in piedi sul ciglio di un abisso, ma col coraggio noncurante e divertito degli equilibristi». Hanno un figlio, Leone, «bello e prodigioso, forte e cattivo, delicato, come è la vita, come deve essere». Gatto muore in un incidente stradale nel '76, il figlio si uccide tre mesi dopo. Per dieci anni, Graziana Pentich si vieta anche solo il recupero mentale di un passato irripetibile e miracoloso, rifiutando ostinatamente la consolazione della memoria. Ma poi le si impone l'esigenza di un risucchio dal nulla e di una comunicazione illuminante agli altri della sua esperienza: «I buoni, i cari gesti della vita resistevano intatti in quegli sparsi disegni e dipinti ritrovati: ogni figura rimossa dal buio e dal disordine alla luce chiamava a sé altre figure, moltiplicava i gesti, le voci, i passi perduti...».
  • Il volume si apre con lo schizzo di alcuni nomi preparati per il bambino che sta per nascere. Tra essi campeggia, perentorio nel suo stampatello, quello poi effettivamente scelto di Leone, «un nome che avrebbe arricchito di felinità il cognome Gatto». Dopo 280 pagine, il libro si chiude su un ritratto della madre fatto dal figlio dodicenne. In mezzo, riproduzioni di circa trecento disegni, acquerelli, ritratti, poesie, lettere, che stordiscono il lettore quasi con una continua febbre, lo emozionano come la rivelazione di un incanto che si sa destinato a spezzarsi. L'artista che ricompone e cuce gli strappi, che tenta di raggiungere nell’appagamento dei colori un lembo di serenità è lei, Graziana Pentich; e i suoi dipinti sono densi, pieni, sicuri di un bene che si conosce sicuro: orgogliosi della bellezza del figlio, carichi di stupore verso le cose e i colori della vita. Poi ci sono i disegni di Leone, questo ragazzino sorprendente che a otto anni era in grado di raccontare suo padre intero con pochi tratti di matita (Babbo col basco), e di scrivere dediche come questa: «Caro babbo, auguri al tuo quarantottesimo anno di vita, di scrittore e poeta. Il mese quando tu sei nato è caldo come sei tu quando ti arrabbi. Il mese di luglio è bello quanto te babbo perché ha i fiori rossi gialli blu, i vestiti gai dei bambini».

Intervista di Grazia Calanna, lestroverso.it, 2 marzo 2018.

  • La poesia aiuta, di certo, a superare il dolore. Esattamente come la musica, un'amicizia, un amore, o qualsiasi altra esperienza vivificante, può riuscire a curare le ferite, ad alleviare i momenti di infelicità. Ciascuno di noi si aggrappa a una zattera per salvarsi nella burrasca. Per me è sempre stato difficile giustificare la sofferenza, soprattutto quella innocente, immeritata. E più quella degli altri che la mia, al punto che spesso non riesco nemmeno a guardare un tg per intero, e mi accontento di leggere i titoli di testa. In questo senso, la voce dei poeti mi è servita, già dall'adolescenza, come un rifugio, un porto sicuro cui approdare. Se abbia la stessa funzione riparatrice, consolatrice, ma anche di supporto e rafforzamento a livello collettivo, sociale e politico, non sono sicura di poterlo affermare. In passato abbiamo avuto una poesia civile capace di catalizzare entusiasmi e ribellioni, una sorta di collante comune: dalla metà del secolo scorso credo che questa funzione venga svolta con più verità e successo dalle canzoni. La poesia più che mai rimane un'arte di nicchia, con scarsa capacità di pungolo e traino nella società.
  • Presumo che la poesia necessiti di silenzio, come la preghiera. Ma temo che questa mia convinzione derivi soprattutto da un mio tratto caratteriale. Nutro dei dubbi riguardo alla necessità e alla moda dei festival, delle letture ad alta voce, della spettacolarizzazione: mi sembra che il pubblico che assiste a queste manifestazioni sia interessato all'evento sociale, a conoscere il personaggio-autore, più che a fare risuonare dentro di sé l'eco della poesia. Tanto è vero che alla fine i libri di versi non si vendono, non li legge quasi nessuno. Anche il Vangelo lo leggono in pochi, persino tra i praticanti.
  • Mi piace moltissimo fruire della poesia, quasi più che scriverla. Siccome però sono tardigrada, mentalmente e fisicamente, in genere un bel verso non mi accelera un bel niente! Semmai mi stordisce, mi immobilizza: quasi come una paralisi improvvisa. È una rivelazione.
  • Una poesia non deve mai dire tutto, deve nascondere la sua intenzione più segreta: altrimenti diventa una pagina di diario, che è altra cosa. Spetta poi al lettore scoprire significati suppletivi, magari anche illusori, falsi, che il poeta nemmeno conosceva o celava addirittura a sé stesso. Ci sono poesie a cui io davo un determinato significato, e poi leggendo diverse interpretazioni critiche, mi accorgevo di essere completamente fuori strada. O magari si sbagliavano i critici, chi può dirlo? 
  1. Da Elsewere, in Un diverso lontano: 1997-2001, Manni, San Cesario di Lecce, 2003. ISBN 88-8176-411-3; citato in Francesco Forlani, I poeti appartati: Alida Airaghi, nazioneindiana.com, 30 agosto 2020.
  2. Da Consacrazione dell'istante, citato in Francesco Forlani, I poeti appartati: Alida Airaghi, nazioneindiana.it, 2 ottobre 2018.

Altri progetti

modifica