George Gissing
scrittore inglese
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George Robert Gissing (1857 – 1903), romanziere britannico.
Sulla riva dello Jonio
modifica- [...] è scoraggiante sotto qualunque cielo osservare i cambiamenti di Napoli. Lo sventramento prosegue e intere zone sono trasformate. Penso che sia un bene che l'ampio Corso Umberto I tagli il vecchio Pendino; ma quale contrasto tra il pittoresco di prima e la volgarità cosmopolita che ne ha preso il posto! «Napoli se ne va!» (da Partenza da Napoli, p. 22)
- Passo da Santa Lucia con gli occhi bassi, mentre i ricordi di dieci anni fa si fanno strada contro l'opaco presente. Il porto dal quale si partiva per Capri è colmato; il mare è stato scacciato a una disperata distanza, dietro squallidi mucchi di rifiuti. Vogliono fare un argine lungo e diritto da Castel dell'Uovo al Porto Grande, e tra non molto Santa Lucia sarà una strada qualunque, chiusa fra alti caseggiati, senza nessuna veduta. Ah, le notti che si passavano qui, osservando i rossi bagliori del Vesuvio, seguendo la linea scura del promontorio di Sorrento o aspettando che il chiaro di luna spandesse la sua magìa su Capri, a fiore delle acque! [...] Santa Lucia era unica. È diventata squallida. (da Partenza da Napoli, pp. 22-23)
- Non ci sarebbe da stupirsi se il rimodernamento della città, insieme alla situazione generale italiana, avesse un effetto calmante sui modi napoletani. Sotto un aspetto le strade sono indubbiamente meno gaie. Quando venni a Napoli per la prima volta non si stava mai, letteralmente mai, senza sentire un organetto; e questi organetti che in generale avevano un timbro particolarmente armonioso suonavano le arie più brillanti; banali, anche volgari, se volete, ma sempre melodiose e care a Napoli. Ora la musica per le strade è rara, e sento che un regolamento di polizia ostacola già da tempo quei teneri strumenti. Ne sento la mancanza [...] (da Partenza da Napoli, pp. 23-24)
- I recipienti per gli usi più comuni hanno, tra i contadini calabresi, un'armonia di linee, un incanto di colori che di gran lunga supera qualsiasi prodotto dei nostri più ambiziosi negozi di porcellane. Qui si vede ancora una traccia dell'antica civiltà. Devono esservi grandi capacità in un popolo che ha conservato questa esigenza di bellezza attraverso secoli di sofferenza e di schiavitù. (da La tomba di Alarico, p. 39)
- [In visita alle Tavole Palatine] Mentre sostavo là, si risvegliò in me un po' della profonda emozione che avevo provato anni addietro, fra i templi di Paestum. Certo questa rovina seminascosta[1]non può paragonarsi alla gloria senza pari di Paestum, ma anche qui come là è soverchiante il pathos di una antichissima desolazione; in mezzo a un silenzio che la voce non ha il potere di rompere, l'eterna vitalità della natura trionfa sulla grandezza di uomini dimenticati. (da La tavola dei paladini, p. 59)
- Ascoltate un contadino calabrese cantare mentre segue i buoi lungo il solco o scuote i rami del suo ulivo. Quella voce dolente nell'antico silenzio, quel lungo lamento per confortare un lavoro mal ricompensato viene dal cuore stesso dell'Italia e risveglia la memoria del genere umano. (da Figli della terra, p. 94)
- Era il tramonto quando scesi a Marina, e mentre aspettavo il treno secondario, i miei occhi godettero una festa di colori che mi fece dimenticare il malessere della stanchezza. Tutt'intorno erano aranceti, i più belli che abbia mai visto, e sulla massa compatta dello scuro fogliame, gremito di frutti quasi maturi, si effondeva lo splendore del cielo occidentale. Era un quadro insuperabile nella ricchezza dei toni; il denso fogliame, del verde più intenso e più caldo, brillava e lampeggiava, con una magnificenza accresciuta dal riverbero delle innumerevoli sfere d'oro che lo ornavano. Al di là, il mare incantato, rosso e violaceo, mentre il sole splendeva all'orizzonte che si faceva indistinto. A levante, al disopra dei contrafforti della Sila, era una luna quasi piena, gialla come le foglie autunnali, in un cielo leggermente rosato.
Nella mia geografia sta scritto che fra Catanzaro e il mare si trovano i giardini delle Esperidi. (da Il monte del rifugio, pp. 101-102) - La mattina presto vidi la cresta dell'Etna brillare mentre il primo raggio di sole colpiva il suo crinale bianco; al tramonto, quando la cima era avvolta fra nubi pesanti e i raggi occidentali venivano di dietro il monte, quelle alture fredde e remote rilucevano debolmente in una tinta del più pallido smeraldo, e sembravano la visione di un paradiso al tramonto, diafano, sul punto di svanire. (da Reggio, p. 144)
- Solo e silenzioso ascoltavo lo sciacquio dell'onda; vidi scendere la sera sull'Etna ammantata di nubi, e tremule luci apparire su Scilla e Cariddi; e mentre davo un ultimo sguardo in direzione dello Jonio avrei voluto potermi aggirare senza fine nel silenzio dell'antico mondo, dimenticando il presente ed ogni suo suono.
Alle diciotto circa, mentre Harvey Munden stava per finire il lavoro della giornata, e sentiva che aveva fame, qualcuno bussò alla porta esterna, un tocco timido, che voleva segnalare la presenza di una persona di nessuna importanza. Andò ad aprire e vide un uomo che riconobbe subito.
Note
modifica- ↑ All'epoca del viaggio di Gissing, un muro alto tre metri costruito molto vicino alle colonne proteggeva il tempio dai saccheggi. Cfr. Sulla riva dello Jonio, pp. 58-59.
Bibliografia
modifica- George Gissing, Sulla riva dello Jonio, Appunti di un viaggio nell'Italia meridionale, traduzione e introduzione di Margherita Guidacci, Cappelli, Bologna, 1962.
- George Gissing, Un'ispirazione ed altre novelle, traduzione di Francesco Badolato, EPIDEM, Novara 1977.
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