Indro Montanelli e Mario Cervi: differenze tra le versioni

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====Citazioni====
*[[Giuseppe Romita|Romita]] era un ingegnere sulla sessantina. Tortonese di nascita, si era formato, come militante socialista, a Torino. Il padre, «capomastro», era stato fervente monarchico e galoppino elettorale di deputati conservatori. Molto piccolo di statura, con una faccia brutta e simpatica da gnomo, Romita aveva modi bonariamente bruschi. I giornalisti che lo interrogavano sapevano che, se la domanda era appena impertinente, avrebbero avuto per risposta un ceffone semipaterno o un pugno. (Capitolo primocap. I, Il Re di maggio, p. 21)
*La Costituzione passò con 453 voti a favore e solo 62 contrari, di destra: una maggioranza cui anche quarant'anni dopo, ad esempio per l'elezione del Presidente [[Francesco Cossiga|Cossiga]], sarebbe stato dato il nome – improprio, anzi truffaldino – di «arco costituzionale». La nuova struttura del governo ampliò e consolidò invece il blocco anticomunista, mentre prendeva definitivamente forma il Fronte popolare di Togliatti e Nenni: e insieme delineò la formula di maggioranza politica sulla quale la democrazia italiana si sarebbe retta, sia pure con tentennamenti e lacerazioni, nei decenni successivi. (cap. VIII, La Costituzione, pp. 192-193)
*La Magna Charta della Repubblica italiana fu concepita sotto l'ossessione di un ritorno alla dittatura, ossessione che ne condizionò e spesso viziò gli istituti: e venne tenuta a battesimo, nella sostanza, da due forze politiche – la cattolica e la marxista – che erano state estranee al Risorgimento, quando non ostili, e che erano per tradizione, e per i personali convincimenti di alcuni loro uomini, scarsamente sensibili ai grandi ideali liberali. Tortuosa e farraginosa fu inoltre la procedura attraverso la quale si arrivò alla formulazione di questa legge fondamentale. Dai 600 costituenti fu espressa una commissione più ristretta, detta dei Settantacinque, che a sua volta si divise in sotto-commissioni per la redazione di questa o quella parte, di questo o quell'articolo. I testi che dai gruppi settoriali risalivano ai Settantacinque, e dai Settantacinque all'assemblea plenaria, erano sganciati l'uno dall'altro e scaturivano a volte da ispirazioni diverse. Con la conseguenza, rilevata da Piero Calamandrei, che «quando si arriverà a montare questi pezzi usciti da diverse officine potrà accadere che ci si accorga che gli ingranaggi non combaciano e che le giunture del motore non coincidono: e potrà occorrere qualche ritocco per metterlo in moto». La Costituzione ebbe una impronta unitaria, e omogenea, proprio in quella che si rivelerà una delle sue caratteristiche più negative: la voluta debolezza del potere esecutivo, cioè del governo, nel nome di un parlamentarismo esasperato che il tempo trasformerà in partitocrazia e lottizzazione.
*Nessuno dei freni che in altri paesi già esistevano o furono adottati per scongiurare l'instabilità dei governi – e in definitiva del sistema – e la frammentazione del quadro politico fu accolto dai costituenti. Niente collegio uninominale, niente soglia del cinque per cento (come nella [[Germania|Germania federale]]) per l'ammissione di un partito in Parlamento, niente premio di maggioranza (nel '53 De Gasperi tenterà di introdurlo con quella che sarà malignamente bollata come la «legge truffa», e sarà battuto), niente obbligo di presentare una maggioranza di ricambio già pronta prima di far cadere la maggioranza sulla quale si regge il governo. Tutto il potere al Parlamento, non soltanto l'esame delle leggi importanti ma anche quello delle famigerate «leggine», una giungla nella quale il lavoro di deputati e senatori dovrà aprirsi il varco con stento, e in tempi lunghi. Il sistema bicamerale, sicuramente utile per correggere taluni errori d'una Camera, finiva per diventare, in quel trionfo della lentezza, un ulteriore motivo di ritardo all'iter dei disegni di legge.