Tommaso Landolfi

scrittore, poeta e traduttore italiano (1908-1979)
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Tommaso Landolfi (1908 – 1979), scrittore, poeta e traduttore italiano.

Tommaso Landolfi

Citazioni di Tommaso Landolfi

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  • Al mondo non sempre i buoni e i generosi hanno la ricompensa che si meritano. (da Il principe infelice, Adelphi)
  • Eppoi si facciano al minimo cambiar nome, i lavoratori, se vogliono accreditare presso i migliori la loro causa. Ma che davvero si può seguitare con denominazioni come: masse lavoratrici, camera del lavoro, confederazione del lavoro, o con quell'altra simile al rumore d'un ventre diarroico, di proletario, con relativo proletariato, eccetera? E facciano cambiar nome ai loro dirigenti (altra bella e, per chi è diretto, onorevole parola). S'è mai sentito uno di costoro che avesse un nome con qualche luce di spirito o con qualche destino? (da Cancroregina, Adelphi, Milano, 1993, p. 80)
  • I motorini ad esempio (veicoli) son crebramente sgradevoli, e sono in pari tempo la vera voce della democrazia: onde io vorrei cavare un di quei raziocini che i trattati di logica condannano, ma che almeno alleggeriscono il cuore. (da Le più belle pagine, Rizzoli, Milano, 1989, p. 413)
  • Il bianco è il colore sfacciato del pudore. (da Racconti, Vallecchi, 1961)
  • Il diritto divino era pure un'idea: come potrebbe esserlo la sovranità popolare, che nel migliore dei casi è dell'ordine delle volgari necessità? Necessità non fa idea.[1]
  • Il ricordo è un compromesso: gli uomini si difendono con quello. (da Racconti)
  • L'arte [...] si afferma, crea una nuova e più congrua realtà: sì certo, quella appunto dell'arte, che non si dà chi non sarebbe disposto a barattare contro un minuzzolo di quest'altra vile e spregiata. (da A caso, Rizzoli)
  • L'uomo decade e involgarisce, si fa grosso ed ottuso, secondo o quando decade in lui il senso religioso delle parole. (da Ombre, Adelphi, Milano, 1994, p. 104)
  • Ciò che io contemplo è l'ultimo paese, / È l'estrema dimora del mio sguardo: / Ché se la morte attendo ad ogni istante, / Ogni istante è la morte (da "Viola di morte", Adelphi, pag. 161)
  • Le responsabilità sono di chi se le prende, di chi le sente come tali, laddove io non ho mai sentito niente di simile nei confronti della famiglia, degli altri in generale e in ultima analisi di me stesso. Per la via della responsabilità si arriverebbe al famigerato rispetto per se medesimi e, chissà, forse anche della democrazia: ci mancherebbe altro! (da Tre racconti, Rizzoli, 1990, p. 96)
  • [...] per bambino prodigio bisognerà forse intendere quell'infante che già conosce le vie degli uomini, che sappia con loro liberamente comunicare e fornire un apporto al loro comune lavoro. Peraltro anche codesta razza d'infanti resta poi sovente, per non dir sempre, a mezza strada quando la prodigiosità manifesti caratteri eccessivi, mostruosi, non adeguati all'età: quasi, appunto, la benigna natura si fosse esaurita nel suo sforzo iniziale, ovvero gli infanti medesimi dovessero pagare un duro scotto per aver concentrato la loro vita in un unico gruppo di facoltà (a detrimento di altre facoltà e di altri sensi) e avere anzi tempo tentato una sintesi del mondo, invece di perdervisi prima. Tutti i grandi scrittori, per esempio, furono in certo modo bambini prodigio, solo che in generale non esagerarono, ossia lo furono moderatamente, e ciò permise loro di diventare col tempo grandi scrittori. (da Le poesie di Minou[2])
  • Ultimo forse rappresentante genuino della gloriosa nobiltà meridionale, io sto da solo in questa casa crollata più che per metà, e che seguita a crollare un poco ogni giorno, in cui il vento si insinua gemendo, zufolando, facendo garrire le pendule tappezzerie. Ormai, per volger dei tempi, povero in canna, mi scaldo la minestra da me, poi passeggio infaticabilmente nelle sale vuote, più sovente in cucina a causa del freddo; e tutto pur di non lavorare, che sarebbe cosa vergognosa, ma in ispecie direi pur di non vivere. (da Opere, I, Rizzoli, Milano, 1991, p. 667[3])
  • Sì, sì sì, il presidente d'una repubblica democratica fondata sul lavoro non appartiene a se stesso. E allora, bah, passatemi il frac. (da Racconti impossibili, Vallecchi, Firenze, 1966, p. 110)
  • Una fede: come si può affrontare la morte senza fede (non parlo già di una fede propriamente religiosa) o senza ad essa diuturnamente e quotidianamente prepararsi? Estote, estote parati, diceva quella zia, e il raddoppiamento dell'imperativo mi dava, non so perché, un'infrenabile allegria. E ancora eviterò, oggi e forse sempre, questo mio supremo argomento della morte, colla scusa della stanchezza e dell'impotenza (non ho Pascal, e avrei bisogno di rileggere quelle sue prime pagine sulla morte). (da Rien va, 10 giugno 1958)
  • Vedete un po': se, verbigrazia, voi foste imparentato colla dinastia regnante del Siam (o Thailand), non sarebbe questo comunque un vostro diritto, sebbene (per dir così) in potenza? È solo un esempio, d'altronde. O piuttosto: se foste imparentato, sia pure remotamente, a membro di famiglia che già avesse regnato sul Siam (o Thailand), dei cui diritti l'attuale famiglia regnante fosse considerata usurpatrice (non fosse che da un uomo al mondo)? Evidentemente, fra l'altro, il sovrano considerato legittimo, o chi ne discende, ha un intero sciame d'altri parenti più o meno stretti, più stretti nondimeno di voi medesimo, i quali tutti potrebbero, al momento opportuno, prima di voi far valere le loro pretese (ossia ciascuno in caso d'estinzione del ramo più prossimo); ma pure un diritto, se non altro teorico al trono del Siam (o Thailand) ce l'avreste in ogni modo né vorreste rinunziarvi. È chiaro? (da Il matrimonio segreto, in La Spada, p. 28)
  • Vi è forse qualcosa di più ignobile della democrazia?[1]

Des mois

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1963, NOVEMBRE
La voce del Minimus è in fiocchi come la neve; richiama anche certe nuvole in falda, nell'azzurro.

Citazioni

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  • È possibile fare checchessia senza recar danno a qualcuno? Sfido chi si voglia a dimostrarlo possibile. Il nostro bene è dunque un male, quand'anche fosse il minore. (p. 48)
  • Ma ecco, perché diavolo sono stasera ai ricordi? Ricordare non serve... Eppure non si sa cosa si potrebbe fare di meglio. (p. 53)
  • Non importa se sei gobbo, tu puoi di codesta gobba farti una gloria, un merito e un'arte di salvezza, quale forse non possono sperare quei dalle spalle piane e diritte... Ah, ma chi mai potrà mai ripagarli del non avere spalle piane e diritte, appunto del non averle, dal dover faticosamente trasformare la propria gobba in una prova d'amore del loro dio, e soprattutto sostituir ciò, senza ambagi, che essi hanno perduto e perdono colla loro gobba? Gli altri vanno a letto colle belle donne; loro non possono, e questo rimane, questo oltraggio è insopprimibile, checché il bieco sacerdote inventi per ridurre il tanto peggio in tanto meglio. O dunque bisognerà lasciar languire i gobbi nella loro inguaribile vedovanza? (pp. 59-60)
  • [...] il gatto è forse il solo animale che conosca la noia umana, ossia di tipo umano; noia vera e non pretesa, da vuotezza e non da esuberanza o almanaccamento, noia sconsolata, nell'esercizio e nella pena del quale sentimento esso può dar dei punti pure all'uomo. (p. 72)
  • Ma, santo Dio, si rifletta che un vero conforto non può venirci se non da un verso solo: lasciamogli spiegare il canto, al poeta, e ci avvedremo di non aver nulla in comune con lui e che egli non può giovarci in alcun modo. (pp. 99-100)
  • In breve, eccomi ridotto come il tale cui il medico disse: "Già, lei sta male. Vediamo: fa troppo all'amore, passa le notti al gioco, beve, fuma?" e, ottenute altrettante risposte negative, soggiunse: "Ma allora, in nome di Dio, perché si ostina a vivere?" (p. 145)

C'è qualcosa di impavido nel sonno dei morti.

Il mar delle blatte

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  • Il mare a perdita di vista, senza una terra all'orizzonte, sotto la cappa affocata del cielo, appariva nero come l'inchiostro, e di una lucentezza funebre; una quantità sterminata di blatte, tanto fitte da non lasciar occhieggiare l'acqua di sotto, lo copriva per tutta la sua distesa. Nel gran silenzio s'udiva distintamente il rumore dei loro gusci urtati dalla prua. Lentamente, a fatica, la nave poteva avanzare, e subito le blatte si richiudevano sul suo passaggio.
  • Contro quella sterminata progenie non c'era nulla da fare; per ogni blatta uccisa dieci, mille ne rispuntavano ormai da ogni parte. Uno si buttò in mare e perì così fra le compagne delle assalitrici. Le blatte entravano dovunque, si arrampicavano dovunque, colmavano ogni cavo, pendevano dai cordami e dalle tende, annerivano le vele.

La biere du pecheur

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Mio Dio, mio Dio! da tanto tempo desideravo cominciare uno scritto con questa inutile invocazione. Ed ecco, almeno questo avrò fatto.

Citazioni

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  • Poniamo, la mia ultima crisi. Di dove m'è venuta? Di molto lontano, naturalmente; tuttavia mi sembra quasi che potrei sorprenderla nella sua estrema maturazione, aiutandomi beninteso con immagini o ipotesi della realtà, non con dichiarazioni di essa. Dico che sempre io mi son voltolato e rivoltolato nella vita «come un ammalato smanioso nel suo letto»; anche mi somiglio a quelle farfalle notturne sorprese dalla luce o dall'agonia che rimangono a sbattere disperatamente le ali sui nostri pavimenti. Donde dunque, se questo è il mio stato naturale, la particolare e totale mancanza di forze, il vigile spavento? (p. 44)
  • Sarebbe necessario, doveroso interrompere questo scritto. Credo invece che lo continuerò; e spero a caso. O dovrei finalmente parlare? Troppo difficili e faticose son le cose che avrei da dire...
  • Non potrò dunque mai scrivere veramente a caso e senza disegno, sì da almeno sbirciare, traverso il subbuglio e il disordine, il fondo di me?
  • Una materia che dominavo fin troppo, mi domina ora a sua volta, e il mio menomo scritto deriva, dalla penosa aspirazione a una umanità, verso la patologia pura e semplice.
  • Quegli sparsi oggetti erano soltanto, ecco, protesi con cieco dolore a un loro irraggiungibile compimento, se è vero che orfanezza e vedovanza della patria celeste è la sorte di tutte le cose quaggiù. (p. 104)
  • Cause di forza maggiore: la mia viltà. (Disse il mendicante a Marivaux: eh, sì, avete ragione, son giovane e forte, mais que voulez-vous, Monsieur, je suis si paresseux!) (p. 106)
  • Ed ecco anche il massimo effetto che possono ormai sortire i miei conati di terza persona. Quasi la terza persona non fosse un'attitudine profonda dell'animo, ma una mera questione grammaticale. (È manifesto che col riportare questa ignobile prosa vo perseguendo ragioni tutt'altre dalle letterarie. Santo nome di Balzac qui sopra invocato! dove meglio tornerebbe al proposito un Ferenc o un Lajos.) (p. 110)
  • Eppure dovrò smettere presto: un libro è come una malattia, e solo chi ha forza da vendere si può permettere di scriverlo, a momenti dicevo di passarlo. Ammirevoli personaggi, quei tali che tiran su un romanzo in quattro volumi, giungendo fino a riscriverlo sette volte; non pure per la loro forza taurina e resistenza al caldo della febbre, ma perché, arrivati a metà, credono ancora a quello che stanno facendo, e ancora ci credono arrivati al terzo volume, e ancora a una pagina dalla fine del quarto, e ancora alla prima, seconda, settima riscrittura; credono addirittura alla utilità, di quello che stanno facendo. Questo si chiama comunemente "fiato", e par nome acconcio. (p. 123)
  • Sono anche stanco di questa mia scrittura, giacché stile non si vuol chiamare, falsamente classicheggiante, falsamente nervosa, falsamente sostenuta, falsamente abbandonata, e giù con tutte le altre falsità; possibile che io non sappia arrivare a una onesta umiltà e che le frasi mi nascano già tronfie dal cervello come Pallade armata dal... ecco che ci risiamo? (p. 139)
  • Invero queste due ultime giornate sono inventate di sana pianta. D'altronde è appena necessario avvertirlo, né c'è lettore un po' fine che non se ne avvedrebbe. Beh, inventate non proprio tutte: da un certo limite assai arretrato in qua. Ma a quel lettore medesimo non sarebbe difficile, suppongo, situare quel limite colla sola analisi della scrittura. E come mai ho sentito il bisogno di scrivermi simili invenzioni, per giunta così poco originali? E che intendevo fare, gabellarle per cose vero, e soltanto ora ho cambiato idea? Ma ancora: si tratta appunto di invenzioni o non di immagini fedeli, anzi più vere del vero? A tutto ciò non so rispondere. Io devo ormai essere sincero: non so neppure materialmente, se queste siano invenzioni. (p. 157)

Mio Dio, mio irraggiungibile Dio!

Le due zittelle

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In uno scuorante quartiere d'una città essa medesima per tanti versi scuorante, al primo piano d'una casa borghese vivevano due zittelle colla vecchia madre. E buon per il lettore ch'io non sento il dovere, che a quanto sembra altri sente imperioso, di descrivere minutamente simili luoghi! Ce ne sarebbe di che fare entrar le paturnie al meglio disposto. Con che costrutto non so vedere; dunque cercherò di limitarmi qui ai cenni strettamente indispensabili, che sarà fin troppo.

Citazioni

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  • E invero tutte le qualità che un accorto novellatore di razza umana, esperto quanto si voglia di caratteri, può rilevare in un animale o attribuirgli, non sono al postutto che mere supposizioni, cui solo il nostro smodato antropomorfismo presta verosimiglianza. Fra noi: in che modo penetrare d'un bruto i pensieri, il vero significato dei suoi gesti, anche ad adottare l'accezione umana di tali termini? Un uomo di fronte a un altro uomo ha almeno una convenzione, se non altro di linguaggio, alla cui stregua commisurarne gli attributi; ma riportare questa convenzione sugli animali sarebbe a dir poco arbitrario. Rispetto a che cosa, infine, ad esempio una scimia sarebbe buona o cattiva? Tanto vale dunque agnosticamente confessare dal bel principio di non capirci nulla, e chiudere l'imbarazzante parentesi. Quella scimia insomma era una scimia, con tutti gli attributi esteriori e le qualità apparenti della sua razza; era una creatura misteriosa. (III; 1992, pp. 28-29)
  • È costume degli uomini tenere se possibile in gabbia l'oggetto del proprio amore. (III; 1992, p. 29)
  • [A Nena, Lilla, Bellonia e il Tostini] Dio non è quello che credete. Dio è, monsignore [Tostini], al pari di me, al pari di quella scimia, estraneo alle vostre complicate partite di dare ed avere! Dio non ha nulla a che fare colle vostre o nostre istituzioni morali, coi nostri altari, colle nostre ostie consacrate; non dico che sia al disopra o al disotto di queste cose, dico anzi che esse non gli appartengono, non gli sono pertinenti, o almeno non più di altre, di tutte le altre cose, di tutti gli altri moti dell'uomo, degli animali o degli astri. Dio non è un dio di giustizia, non è neppure misericordioso, non è cattivo e non è buono... (Padre Alessio: VII; 1992, pp. 76-77)

Rien va

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Daemonium nobis haec otia fecit
4 giugno 1958
Ed ecco mi ritrovo ancora una volta a tu per tu colla mia anima fiacca e leggera. Signore! ma come è possibile seguitare così? seguitare alla cieca, senza alcun conforto? andare senza sapere dove né perché?

Citazioni

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  • Dovevo aggiungere alcunché di più importante e l'ho dimenticato: il decadere della memoria , che era in me viva, fa parte del mio avvilimento, o della mia ascesi. (pp. 21-22)
  • Come sono sciocco nelle mie dubbiosità e nei miei eterni problemi! Che davvero la proverbiale insipienza dei letterati non sia nella maggior parte dei casi se non ignoranza e mancanza di esperienza diretta? (È per esempio noto che poeti e scrittori rammentano oggetti, animali, piante che non hanno mai veduti... Ma io non ho parlato di primo, magro, posillipo, galanti? Tuttavia, per la verità, di queste piante io avevo larga, sebbene non partita, esperienza). (p. 30)
  • Il caso, non del caso, ma del concetto di caso è dei più curiosi ed esemplari. È difficile credere seriamente che un caso (che è sempre e tuttavia un accadimento) sia casuale, o insomma credere seriamente al caso. Pel semplice fatto che una cosa accade non può essere casuale – sembrerebbe di poter affermare con tutta sicurezza, benché la dimostrazione di un tale asserto sia tutt'altro che agevole e forse impossibile. Ma qualcuno ha inventato il caso e tutti i pensanti lo hanno accettato: anche coloro che mostrano di rifiutarlo quale ordinatore o disordinatore dell'universo lo ammettono poi implicitamente in ogni momento della loro giornata. (pp. 47-48)
  • "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro": ma bravi! Dicesse almeno sulla bontà, sull'intelligenza o che so io. Sul lavoro: che non è neppure un che ma un mezzo e per di più un mezzo inteso come indispensabile (benché non sia punto vero). Come dire: l'uomo è un essere fondato sulla necessità di mangiare e su quella di andare al gabinetto. Fondata su un mezzo indispensabile, cioè sulla schiavitù (e difatto...)! Beh, ciò che i magni legislatori intendono lo capisco perfino io, che chiudo la mia mente alle bestialità pubbliche, ma non potevano risparmiarci una tale stolta formulazione? "L'Italia è una repubblica democratica" non sarebbe stato fin troppo, ahi quanto troppo? (pp. 49-50)
  • Ho triste e grave il cuore (il mio così pieno di contraddizioni, come poi quello di tutti) per un minuto avvenimento che non so ormai se avrò la forza (fisica) di riferire. Le acacie del cortile (che figurano la mia vita, me stesso, come detto in qualche luogo) avevano avuto un figliuolo o una figliuola (mia figlia dunque), nato o nata in un angolo del cortile stesso in posto poco adatto. Naturalmente da mio padre, il responsabile poi dell'identificazione, e da me era stato dato severissimo ordine che nessuno scerpasse o toccasse la tenera piantina; ma il vento furioso, o qualcuno che non vuol confessarlo, la ha da qualche giorno fa cavata, e vano è risultato il ripiantarla in terra buona e l'averne cura, e la piantina è morta. (p. 78)
  • L'esistenza è una condanna senza appello e senza riscatto; niente vi è da fare contro di essa; ed è forse la nostra speranza soltanto, il nostro bisogno di riprender fiato come dall'acuto dolore d'una ferita, che ha immaginato uno stato altro dall'esistere, un nulla. Forse, mio Dio, tutto esiste, è esistito, esisterà in eterno. Non c'è niente da fare contro la vita, fuorché vivere, press'a poco come in un posto chiuso dove si sia soffocati dal fumo del tabacco non c'è di meglio che fumare. (p. 113)
  • Lungi dall'essere il movente di tutte le nostre azioni (come in alcuni scrittori si legge), l'egoismo è la più difficile delle conquiste: troppe cose di vari ordini vi si oppongono. L'arte stessa può essere concepita quale un progressivo avvicinamento all'egoismo, che resta tuttavia irraggiungibile. Esso è insomma, e in fondo per tutti, perenne aspirazione mai appagata; e conquista tanto più difficile in quanto è ben inteso che esso sia una male, benché necessario. (pp. 155-156)
  • Il mio culto dei luoghi comuni: mio modo di essere umano, di essere uomo. – Ma qui sembrerebbe implicito un omaggio a ciò che gli altri hanno fatto: in realtà i luoghi comuni non o non sempre si direbbero cose fatte dagli altri. Da chi o da che vengono dunque? Si pensa quasi a una loro origine divina, alle idee per es. di un De Maistre sul linguaggio, e a un loro valore mistico. (p. 158-159)
  • [...] da qualche tempo sembra che mi limiti a mettere nelle cose che faccio un che purchessia e non tutto quello che ci può stare. Insomma una sorta di malafede sarebbe al postutto possibile? Poca chiarezza e prontezza di idee, questo è certo e del resto scontato; e pigrizia, tanto il lettore può sempre pensare di non capire per colpa sua (anch'io ce n'ho messo del tempo a concludere che in certi casi era l'autore stesso ad avere le idee confuse), e tanto il poco che gli si dà è sempre troppo per lui, sicché da ultimo basta raggiungere una generica dignità. (p. 173)

Qui occorre ancora un rigo, che sto scrivendo, per poi passare a pagina nuova. Poi: quando?

Se non la realtà

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Scrivo da Venezia, e chi scrive da Venezia ne avrebbe delle cose da dire: specie ora colla Biennale, le mostre, i convegni, i teatri verdi e tutto il resto. Senza contare che insomma Venezia è, come dicono, una dimensione dell'animo, sicché con essa deve prima o poi fare i conti chiunque usi tener la penna in mano.
Eppure, o sia umore o naturale pochezza, io sono stavolta propenso a lasciare ad altri meglio qualificati il lumeggiarne gli aspetti ufficiali, spettacolari o universali, e per conto mio mi atterrò piuttosto a qualche minuto episodio di cui un vagabondare senza meta mi abbia fatto testimonio. Così, se non di altri, riscuoterò almeno l'approvazione di coloro che amano «la vita colta sul vero». In conclusione, il lettore resti avvertito: non cerchi in queste pagine che quanto io gli prometto. E, per cominciare, si disponga a udire di due tipi per qualche riguardo notevoli che mi è capitato d'incontrare nei passati giorni.
[Tommaso Landolfi, Se non la realtà, Adelphi, Milano]

Citazioni

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  • Ceprano era stazione confinaria al tempo del Borbone di benedetta memoria, e qui pertanto il Regno di Napoli ci apre le sue braccia, col calore della sua aria, il suo verde, un che più intenso, la sua terra più ardente, la sua lingua più vivace. Siamo insomma a casa nostra. (p. 26)
  • Ma giù per l'erta mi pareva di sentire una voce che diceva: "A che ti vale fuggire? Tu sei stato raggiunto, e ormai lo sei per sempre. Da che ti nascondi e in che sei minacciato, nel tuo orgoglio forse? E come puoi sperare di nasconderti?". E altre frasi del genere, di quelle che udivano i santi prima di risolversi a esser tali. (p. 73)
  • Qualcuno [...] lamentava di recente su non so qual foglio che nei volantini da allettar turisti si tenesse modo e stile superato, non atto all'elevazione del popolo, invece di ricorrere ai più genuini e squisiti interpreti dei luoghi imboniti [...] Guardate [...] a che punto arriva il provincialismo da noi: non contenti di caldeggiare l'elevazione del popolo, se uno scopre o frequenta un certo poeta, subito vorrebbe ficcarlo anche dove non entra. (pp. 153-54)
  • [...] i turisti son razza insipiente quanto infausta. (pp. 153-54)
  • Al Palio si possono affidare le proprie sorti ed esso medesimo segna, per chi ha cuore, un'epoca dell'anima. (p. 166)
  • [...] la natura umana è tanto corrotta e tanto legata alla materia, che, come l'amante non si contenta dell'affetto che ispira, ma non riposa fino a quando non abbia rovinato ogni cosa col possesso della persona amata, così il giocatore non ha pace finché non si sia incornato al tavolo verde, o, se si vuole, finché non abbia tutto perduto. (pp. 170-71)

Incipit di alcune opere

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La pietra lunare

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"Buonasera, buonasera, da quanto tempo! Come va?" Lo zio, in maniche di camicia e con certi pantaloni incartapecoriti che gli torcevano le gambe come quelle dei cavallerizzi, reggendo la porta con una mano, coll'altra faceva grandi gesti di benvenuto e poi d'invito a entrare. Dietro di lui, come in un affresco del Ghirlandaio, si vedevano spuntare le teste degli altri componenti la famiglia: la zia, il cugino, la cugina, il piccolo figlio di costei, sul cui capo s'espandevano larghe croste di sudicio e che rideva, fra le braccia della mamma, con un'aria di furberia abortita; da ultimo la zucca morbosamente apatica del fratello della zia.
[Tommaso Landolfi, La pietra lunare, Rizzoli, Milano]

La spada

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Addormentatosi il padre le Coëdic, intorno al 1749, in uno spesso bosco, fu rapito da vento impetuoso che lo portò nei gelidi reami della Lapponia, presso un antro oscuro; per cui egli discese nelle viscere del nostro globo. Trovò qui un'immane rocca ove abitava il padre Mersenne, il fedele cartesiano, e molti altri discepoli del maestro, ritiratosi lui stesso a vivere sotterra. E qui il padre le Coëdic apprese tutto quanto desiderava, e l'origine di tutte le cose: «con che forza la calamita attiri il ferro, donde derivino i terremoti, di che sia formata la coda delle comete, perché il tuono brontoli nel luminoso seno dell'etere, quale sia la natura del sole».
[Tommaso Landolfi, La spada, Adelphi, Milano]

Racconto d'autunno

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La guerra m'aveva sospinto, all'epoca di questa storia, lontano dai miei abituali luoghi di residenza. Due formidabili eserciti stranieri si scontravano allora sul nostro suolo, conducendo una campagna cruenta e che parve infinita alla maggior parte della popolazione, la quale ne fu, come si immagina, direttamente e barbaramente danneggiata. Inoltre le esose pretese, in uomini e materiali, d'uno di questi eserciti (l'invasore, che lentamente s'andava ritirando attraverso il paese, davanti all'altro, detto liberatore), nonché spirito patriottico o compromissione politica, costrinsero numerosissime persone a cercar rifugio per lunghi mesi o anche per anni in posti selvaggi e discosti dalle grandi strade, abbandonando i propri interessi, i propri averi e le famiglie medesime. Dove, coloro che ne avevano la possibilità o se ne sentirono il genio, si organizzarono per una resistenza armata o addirittura per l'offesa, altri resisterono almeno passivamente alle imposizioni degli invasori, altri infine badarono soltanto a togliersi dal folto della mischia.
[Tommaso Landolfi, Racconto d'autunno, Adelphi, Milano]

Citazioni su Tommaso Landolfi

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  • Landolfi ripetendosi sempre non si ripete mai? […] La verità è che Landolfi e i suoi mille personaggi sono (o credono di essere) gli inventori della vita, e per questo motivo sono sempre nuovi: vivono in un clima di furore mistico, incantati da un tramonto e da una 'mezzacoda', attenti a cogliere l'improvviso e l'occasione per scoprire le leggi che governano la realtà. Per Landolfi e i suoi personaggi la vita non ha fatti-storie ma pirotecniche di colori e di fuochi e fantasmagorie di suoni e di luci. Vengono avanti nella pagina come impiegati con le mezze maniche addetti in archivio e si mettono come prestigiatori a giocare con i sentimenti e con gli ideali. Civettano e fanno le capriole, si tingono di scetticismo e di apatia stoica e all'improvviso, quando meno te lo aspetti, cominciano a raccontare le favole e offrono sogni meravigliosi, pezzi da concerto, lezioni di filosofia in prosa aulica. (Francesco Grisi)
  • [Su La pietra lunare] Qui l'organo a mille canne della prosa di Landolfi romba a tutte le raffiche, premuto su tutti i pedali nel tumulto concertato d'un incredibile uragano. (Leone Traverso)
  • Tommaso Landolfi è il solo scrittore contemporaneo che abbia dedicato una minuziosa cura, degna di un dandy romantico (quale Byron o Baudelaire), alla costruzione del proprio "personaggio": un personaggio notturno, di eccezionalità stravagante, dissipatore e inveterato giocatore; un personaggio che viene introdotto e anzi ostentato costantemente nell'opera. (Gianfranco Contini)
  1. a b Citato in Marcello Verdenelli, Prove di voce: Tommaso Landolfi, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 1997, p. 377.
  2. In Gogol' a Roma, Adelphi, Milano, 2002, pp. 290-291. ISBN 88-459-1735-5
  3. Citato in Luigi Matt, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 63, 2004; disponibile su Treccani.it.

Bibliografia

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Voci correlate

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