Quinquennio d'oro

periodo storico del Foot-Ball Club Juventus
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Citazioni sul Quinquennio d'oro, ovvero la Juventus del Quinquennio.

Foot-Ball Club Juventus 1930-1931

Citazioni

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  • [Nel 1935] Ancora una volta l'elogio della disciplina e della volontà. Ancora una volta il riconoscimento che la Juventus, parlando poco e sottovoce, come s'usa nelle buone famiglie, non perde perché non si disperde. Le vittorie, per essa sono numeri da mettere in fila e da sommare, non serbatoi di chiacchiare. È una squadra, quindi una società, che quando vince esulta, quando perde riflette. Altre delirano quando vincono, si flettono quando perdono. Il mestiere, per la Juventus, significa questo: il domani di una vittoria può chiamarsi sconfitta, ma il domani di una sconfitta deve chiamarsi rivincita... Ma la Juventus ha avuto e detto qualcosa di diverso. Ha detto che le partite si possono vincere o perdere in campo a seconda della legge variabile che presidia i giochi di palla, si tratti delle palline d'avorio o della palla di cuoio. Ma ha detto che i Campionati si vincono e si perdono, essenzialmente, nella sede sociale. Le vittorie sportive non sono soltanto fatti tecnici, o stetici. Sono fatti morali. Sotto questo punto di vista la Juventus fa bene a tenere cattedra. Bene a se stessa, bene ai suoi avversari, bene allo sport nazionale. (Bruno Roghi)
  • [Nel 2021] Carlo Carcano aveva forgiato il quinquennio d'oro juventino sugli oriundi Monti, Orsi e Cesarini. Si muoveva nel mercato porteño meglio che in quello italiano, aveva i suoi canali informativi, teneva i contatti con i consolati, scriveva ai mediatori argentini di seguire questo o quel calciatore che avesse un cognome italiano, si era abbonato a «El Gráfico» che giungeva a Torino odorando di stiva di transatlantico. Si era portato a casa gente come Luis Monti, Renato Cesarini e Raimundo Orsi, schierati a fianco di Felice Borel II, detto Farfallino per la sua leggerezza nella corsa, Combi, Rosetta e Calligaris. Quei tre oriundi gli avevano regalato la fortuna, ma anche determinato la sua sfortuna. Aveva messo in bacheca quattro scudetti consecutivi, dal 1931 al '34, e tante, troppe invidie. Era finito sotto il tiro dei burocrati fascisti. Lo chiamavano «frocio» e lo schernivano a ogni vittoria consumata ai danni delle altre compagini foraggiate dai gerarchi del potere. Lui mantenne l'eleganza e lo stile di un dandy inglese anche nel fango degli stadi finché il regime non impose alla Juventus di allontanarlo dalla panchina con l'ombra del sospetto aleggiante oltre la giustificazione ufficiale: «Motivi personali indipendenti dalla conduzione tecnica della squadra». Si capiva che dietro a quel provvedimento si celavano questioni private, la pederastia oggetto del pettegolezzo nel mondo sportivo e non solo. Gli altri finiti sotto accusa, Mario Varglien e Luisito Monti, che avrebbero attentato alle virtù del ventenne minorenne Felicino Borel, non furono puniti. Pagò per tutti l'allenatore. Pagò per la frase di Farfallino Borel: «Davanti a lui è proibito togliersi i pantaloncini». Carcano se ne andò all'ottava giornata senza voltarsi, col passo rapido, il vestito grigio, la testa tonda e stempiata, le labbra regolari, il mento prospiciente, le voci che lo rincorrevano in ogni dove. Lasciò il posto all'ingegner Benedetto Gola, dirigente accompagnatore ufficiale della squadra, e a Carlo Bigatto, soprannominato Il Dilettante, i quali riuscirono comunque a conquistare il quinto scudetto consecutivo battendo sul filo di lana l'Ambrosiana-Inter. La decisione riguardante Carcano non fu mai digerita dal presidente Edoardo Agnelli, sapendo benissimo che era l'uomo che aveva guidato la squadra verso la leggenda e che forse avrebbe consentito altri ambiziosi traguardi concludendo un decennio da favola. Ma non andò così. [...] La cacciata di Carcano rovinò la Juventus e aprì il ciclo del Bologna amato da Mussolini che vinse quattro scudetti. (Marco Ferrari)
  • Dal 1930 al 1935 i bianconeri realizzarono per primi l'impresa [...]: la conquista di cinque titoli consecutivi. Conoscevamo a memoria quella formazione, noi bambini delle elementari, noi ragazzi del ginnasio di tutta la Penisola: CombiRosettaCaligaris, VarglienMontiBertolini, MuneratiCesariniVecchinaFerrariOrsi. Poi vennero gli altri: Varglien II, Sernagiotto, Borel II, Depetrini, Serantoni e tanti di quei nomi li ritrovammo nella formazione azzurra che vinse per la prima volta il Campionato del Mondo 1934, a Roma; e qualcun altro – Foni e Rava – in quella che riconquistò il titolo quattro anni dopo, a Parigi. La leggenda nacque così, sulle ali di una serie impressionante di vittorie, della definizione di uno stile sbalorditivo che apparteneva ad un tempo alla squadra nel suo completto e alla società, dietro la quale, dentro la quale (come nelle vene del nostro corpo scorre sangue), correva un'altra leggenda, quella della famiglia Agnelli. (Antonio Ghirelli)
  • [Nel 1933] Il Napoli cade a Bologna, la Juve è già prima: "Dà tale spettacolo di forza, di freddezza, di potenza e di sicurezza – le rende omaggio la stampa – che c'è da temere, oggi decima giornata del torneo, un suo definitivo addio alla compagnia delle avversarie".
    Detto e fatto.
    L'intera Nazione stravede per la squadra di Edoardo Agnelli. Un fenomeno senza precedenti di esaltazione popolare congiunge le Alpi alla Sicilia. Un distintivo del club bianconero diventa una preziosa rarità. Un biglietto per la partita dei campioni diventa premio ambìto promesso al figlio per la promozione. Torino o un'altra città dove gioca la Juventus venne inserita negli itinerari dei viaggi di nozze. E in mare scende perfino una grande motonave battezzata Juventus fatta costruire dalla società di navigazione presieduta dal marchese Luca Ferrero di Ventimiglia. (Mario Pennacchia)
  • [Nel 1934] Hanno creato un ambiente che, come una macchina per impastare tutti i caratteri, ne farne il tipo unico mai illuso e mai disperato, mai troppo ottimista e mai troppo pessimista. Mai agitato e mai placato.
    Cadere nella macchina un Monti o un Cesarini, un Orsi o un Varglien, spiriti fieri magari protervi, ed escono ben presto come gli altri: impastati. Ricadde un Tiberti, un Ferrari, un Sernagiotto, un Ferrero o un Valinasso e ne esce fuori un momento sicuro con qualche fierezza.
    Il 'super asso' diventa solo un asso, l'aspirante a campione diventa asso; uno cava, l'altro cresce, tutto si livella. L'educazione e naturale riservo fanno il resto: se entri e nel Circolo, un tipo in guanti bianchi riceve il tuo cappello, gli stucchi dorati t'impediscono di dir parolaccie. La stretta di mano sulla tetti all'orologio, non una mano sulla spalla. Nessun ordine del giorno, ma l'ordine con l'ora per il domani, firma carcame. Mai niente di nuovo. Un giocatore entra e capisce dov'è, cosa deve imparare, il senso delle distanze, il rispetto, quel formalismo che è pure necessario se tutti gli esserci si sono basati su quello. (Carlo Bergoglio)
  • La Juventus gioca bene, vince sempre e non è né lombarda, né emiliana, né veneta, né toscana: appartiene a una regione che ha innervato l'esercito e la burocrazia nazionali: di quella regione il capoluogo è stato anche capitale d'Italia [...] Nessuna città periferica aveva contratto odii nei suoi confronti, all'epoca dei Comuni. Essa batteva ormai le decadenti squadre del Quadrilatero [piemontese] e offriva agli altri italiani la soddisfazione di umiliare le città che nel Medio Evo avevano spadroneggiato: i romagnoli andavano in visibilio quando Bologna veniva mortificata dalla Juventus così come i lombardi di parte ghibellina come pavesi e comaschi quando le milanesi venivano battute in breccia, e ancora i lombardi che avevano squadre proprie come bergamaschi, bresciani e cremonesi, e le vedevano puntualmente vendicate dalla Juventus. (Gianni Brera)
  • [Nel 1935] La Juventus, società dai dirigenti sagaci, dall'ambiente organizzato, dai giuocatori di classe, ha vinto con una squadra che è al suo tramonto, forse il suo più bel campionato. Bello perché è l'intelligenza che lo illumina. La calma, l'accortezza, il freddo calcolo, la precisione sfoderate dal più che trentatreenne Rosetta a Firenze sono l'indice della forza della squadra, la base prima dei suoi successi. È difficile, terribilmente difficile vincere un campionato in Italia. Di questa competizione noi siamo riusciti a fare una fornace ardente. Una fornace che è una meravigliosa fucina di energie fisiche e morali, ma in cui il cammino da battere non si riesce a discernerlo se non si posseggono qualità di eccezione. Una compagine mediocre, il campionato italiano non lo vincerà mai. Queste doti di eccezione, gli uomini che compongono la vecchia squadra della Juventus le possedevano, le han possedute finora nella misura necessaria. Passeran degli anni prima che questi uomini, che tante soddisfazioni han contribuito a dare all'Italia calcistica, vengano dimenticati. (Vittorio Pozzo)
  • Nessuna società è tanto aderente alla sua squadra come la Juventus: probità, tenacia, scaltrezza, soprattutto serietà. Una società e non un luogo di ritrovo: ognuno per il suo conto, tutti per la 'Juventus'. I giocatori arrivarono alla 'Juventus' col bagaglio dei loro difetti e delle loro virtù: dopo due mesi sono livellati. La 'Juventus' che non fabbrica in serie gli atleti ne fa dei giocatori di serie. (Renato Casalbore)

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