Piercarlo Ghinzani

pilota automobilistico italiano

Piercarlo Ghinzani (1952 – vivente), ex pilota automobilistico italiano.

Piercarlo Ghinzani (1985)

Citazioni di Piercarlo Ghinzani modifica

  Citazioni in ordine temporale.

  • [«Cosa significava da pilota correre nella F1 turbo anni '80 e che tipo di monoposto erano?»] Negli anni '80 i telai erano in tubolare di ferro pannellati in alluminio. Se li guardo oggi, con occhi da maturo, vedo delle casse da morto verniciate con bei colori.[1]

La Lancia LC2 e Piercarlo Ghinzani

Intervista in autosprint.corrieredellosport.it, 20 marzo 2013.

[Sulla Lancia LC2]

  • [«I primi vagiti?»] Nell'inverno 1982, a Fiorano. C'era anche l'ingegnere Enzo Ferrari che mi disse subito: "Con il mio motore V8 ti leverai delle grandi soddisfazioni, vincerai delle gare". In effetti, capii subito che la potenza era semplicemente spaventosa. Fino a 4000 giri il motore era morto, poi col biturbo in azione passava improvvisamente da 200 cavalli di potenza a 750, fino a 8000 giri. Si avvertiva una spinta fantastica, uno schiaffo che dava adrenalina e l'orgoglio d'esserne il pilota.
  • Al tempo si usava solo il nome Lancia, ma in realtà il telaio era frutto della bravura della Dallara, il motore era Ferrari e l'assemblaggio del tutto spettava alla Lancia, col tecnico Gianni Tonti al timone. In più ci fu un fondamentale ruolo di sviluppo da parte della Pirelli grazie a Mezzanotte e Turchetti. In pista a gestirci, con la bravura di sempre, c'era Cesare Fiorio.
  • Era nata bene, specie come motore. Per il resto la crescita fu volta all'ottimizzazione dell'effetto suolo, visto che la Lc2 era a tutti gli effetti una wing car priva di minigonne. Davanti aveva il fondo piatto, mentre il profilo alare iniziava all'altezza della schiena del pilota. Molti test furono dedicati a sigillare la vettura da perturbazioni esterne e il salto di qualità si ebbe quando furono introdotte due mezzelune scavate sui fianchi, che aumentavano la depressione e attaccavano la Lc2 all'asfalto, specie in curva. Tanto che al debutto a Monza 1983 mi presentai subito con una stupefacente pole position. L'avremmo vinta, quella gara, battendo tutte le Porsche, se non ci fosse stata un'incomprensione tra Dallara e la Pirelli, che realizzò gomme basandosi su dati di carico minori a quelli reali. In poche parole, le coperture non reggevano le sollecitazioni e dechappavano. Proprio l'esplosione di uno pneumatico mi impedì la vittoria, per il conseguente danneggiamento del cofano. Peccato.
  • [«[...] la sfida alla Porsche si concretizzò, ma non fu complessivamente vinta. Perché?»] Per due motivi fondamentali. Anzitutto i tedeschi nell'endurance si muovevano con una squadra ufficiale che vantava un quarto di secolo di esperienza, mentre noi con un prototipo chiuso eravamo praticamente al debutto [...]. Noi avevamo utilizzato tre motori tra loro differenti, mentre i tedeschi continuavano a correre di fatto da decenni col solito 6 cilindri piatto. Un vero trattore, affidabilissimo, parco nei consumi, rispetto al nostro. La Lancia avrebbe avuto bisogno di uno sforzo maggiore e di più tempo a disposizione per mettere sull'asfalto tutto il suo vero potenziale. E poi c'è un altro aspetto che non va trascurato: la formula consumo. Il Gruppo C si distingueva da tutte le formule in vigore nell'endurance fino a inizio Anni '80 per privilegiare proprio l'aspetto del consumo di benzina, con quantità limitate di carburante a disposizione a imbrigliare la potenza. Il nostro motore Ferrari V8, invece, non era nato per consumare poco, ma per urlare e spingere. Sai è come se esci la sera con una ragazza bellissima, però i regolamenti gli impediscono di togliersi l'impermeabile. È chiaro che ad averla tra le mani senti di star bene, ma per certi versi avverti pure un po' di sofferenza... E, infine, [...] alla Lancia sono mancati anche i mezzi e l'esperienza della Porsche per rendere la Lc2 una vettura del tutto affidabile. Per il resto era concettualmente più avanti della 956 e della 962, le sue rivali tedesche. Io con le Porsche ci ho poi vinto al Fuji e a Kyalami, ma continuo a preferire di gran lunga le sensazioni e le soddisfazioni che mi ha regalato quella stupenda macchina un po' inespressa che è stata la Lancia Lc2 e il suo fantastico biturbo sfornato dalla Ferrari.

F1 | Piercarlo Ghinzani: quando due punti valgono una vita

Intervista di Nestore Morosini, formulapassion.it, 20 novembre 2015.

  • [...] nel 1979 tornai alla F.3 per correre il campionato europeo portando al debutto il motore Alfa Romeo 2000 realizzato dall'ingegner Carlo Chiti. Il quale mi disse che se avessi vinto nuovamente quel titolo sarei rimasto in casa Alfa Romeo. Lasciai perdere tutte le altre trattative e firmai con l'Alfa per correre con la scuderia Euroracing di Pavanello. Alla prima corsa a Vallelunga il risultato fu primo Ghinzani su March Alfa Romeo, secondo Prost su Renault, terzo Alboreto su March Toyota. Fu un grande successo per l'Alfa. Alla seconda gara di Magny Cours, mentre stavo per scendere in pista per le prove libere, si avvicinò Jean Marie Balestre, presidente FIA ma soprattutto grande protettore dei piloti francesi e in particolare di Alain Prost, che mi disse: "Tu hai molta esperienza perché hai corso anche in F2. Se vuoi correre l'europeo di F.3 sappi che non potrai prendere punti e quindi non potrai più vincerlo...". Infatti non mi permisero di fare le prove ufficiali, fui costretto a partire in ultima fila e arrivai terzo, ma non avevo più motivazioni per andare avanti con quella atmosfera... [«In altre parole il presidente della Federazione Internazionale dell'Automobile voleva far vincere il suo connazionale, il francese Alain Prost, come poi accadde puntualmente...»] Esatto, voleva far vincere Alain Prost. Mi tolsi di mezzo e Prost ebbe la strada spianata perché Alboreto era al debutto e non poteva complicargli la vita.
  • [...] in Formula 1 ebbi dei limiti determinati prima di tutto dal non conoscere la lingua inglese e poi per gli impegni che avevo nell'attività di famiglia, l'officina. Giocò molto il timore di fare il passo che avevano fatto altri piloti, per esempio Nelson Piquet: mollare tutto e andare in Inghilterra. Insomma avevo paura di non farcela e rimasi in Italia dove Enzo Osella mi portò al debutto. Poi ci fu la Ligier che avrebbe dovuto debuttare col motore Alfa Romeo, però il programma saltò perché il motore previsto non c'era più, quindi dovemmo arrabattarci col telaio e con un propulsore Megatron. Risultato, la macchina non era all'altezza della situazione. Poi l'esperienza con Benetton, ma solo per cinque o sei gare e poi la Zackspeed. Ma sempre team di serie B, sebbene ci fu anche una occasione importante: una trattativa con Frank Williams con l'intermediazione del conte Gughi Zanon, che aveva già aiutato molti piloti. Era la fine del 1984 e in quel momento la Williams, che era un team chiaramente vincente, doveva scegliere un pilota da affiancare a Keke Rosberg. Fra i papabili c'era anche Nigel Mansell. La Williams si riteneva un po' la Ferrari britannica. Nigel era inglese. Frank mi disse: "Sei veloce, sei bravo, ma ho un obbligo verso l'Inghilterra e devo mettere in macchina un pilota inglese". Alla fine mise in macchina Mansell, che era un bel pilota ed era britannico. [«[...] in quell'epoca Piercarlo Ghizani veniva considerato un pilota dal cosiddetto "piedone": allora perché tante difficoltà per importi?»] Non voglio vantarmi e chiedo scusa per la presunzione, ma quando mi sono comparato con Patrese, con Cheever, con Alboreto, con Nannini ero veloce come loro. E avevo un asso nella manica: sapevo fare le giuste regolazioni alla macchina che la rendevano più competitiva. Possedevo, insomma, un ottimo potenziale. Purtroppo i limiti che avevo erano quelli miei, di testa, nel senso che non mi ero dedicato a studiare l'inglese ed ero scarso nelle pubbliche relazioni. Ero, sì, un gran lavoratore. Un po' come Vittorio Brambilla, molto nostrano, senza tanta politica alle spalle. Questo, penso, sia stato il mio grande handicap.
  • [...] la Formula 1 nostra, quella di allora, era più bella perchè più umana. Alla sera se c'era da bere un bicchiere di vino con i meccanici lo facevi, oggi i piloti mi sembrano tutti dei robot. I pilotini che arrivano adesso in Formula 1, ma non solo, portano il dottore, il coach che li va a vedere in curva, il procuratore che gli cura le pierre. Ai nostri tempi, saltavi in macchina, pigiavi giù l'acceleratore e cercavi di tirarlo su il meno possibile. Oggi tutto è più sofisticato. Intanto l'età: arrivano a 16 o 17 anni a guidare le F3 o le Porsche con 400 cavalli sotto il sedere e devi comportarti con loro più come padre che come manager, perché sono quasi dei bambini. Insomma, non parli più con il pilota, ma con tutta la gente che lo segue. Riccardo Patrese ha ragione sui sorpassi che non avvengono più in staccata. Oggi aprono l'ala e via. Avrei fatto un sacco di sorpassi anch'io con l'Osella se avessi potuto aprire l'ala!
  • [«In tutta la carriera in Formula 1 hai preso due punti soltanto. E li hai presi guidando l'Osella nella corsa più difficoltosa di quel campionato, arrivando quinto a Dallas nel 1984 [...]: nel punto di uscita da una chicane appoggiavi la gomma sul muro...»] Fu una gara più di forza fisica che di guida automobilistica. C'erano 50 gradi all'ombra. Nelle prove, dopo i primi tre giri, rientrai per controllare che tutto fosse a posto e al box non trovai nessuno: erano tutti in infermeria a farsi curare perché respiravano male. La chicane di Dallas: in quel punto l'asfalto, sotto l'azione delle gomme, si sbriciolava. Quindi bisognava riuscire a appoggiarsi con tecnica non violenta contro le barriere di jersey. Ed è stata un po' la carta vincente, riuscendo ad andar via forte in accelerazione perché mi ero accorto che appoggiandomi in quel modo la macchina non prendeva un grosso colpo. Chi invece restava in traiettoria, con quell'asfalto scivolava e andava a sbattere. Così presi quei due punti e ricordo che Enzo Osella, titolare della squadra, non stava più nella pelle perché quei due punti rappresentavano i primi soldi che vedeva da quando era Formula 1. In altre parole, Osella aveva risolto il budget della stagione, sembrava fosse arrivato sulla luna. Gli dissi: guarda che non ho vinto, sono solo quinto. Ma a lui bastava, era felice.
  • [Sulla Formula 1 degli anni Ottanta] [...] oggi le macchine sono praticamente tutte uguali, invece una volta c'era libertà per i progettisti. C'erano vetture che andavano due o tre secondi più veloci al giro perché avevano soluzioni aerodinamiche spaventose. Ai miei tempi è vero che ci sono stati dei grandi campioni, ma è anche vero che hanno avuto la possiiblità di correre per delle squadre che avevano grandi ingegneri. Ricordo che fra la prima e l'ultima dello schieramento di partenza a volte c'erano anche 5 secondi al giro... C'erano pneumatici da qualifica che la Pirelli dava gratuitamente alla Osella: ogni tanto erano di gomma, altre volte erano di legno... E poi i motori turbo: una volta Nelson Piquet mi confidò che la sua Brabham aveva 1380 cavalli. Io ne avevo 850 e mi sembravano una marea. Erano davvero due categorie diverse, dove le case ufficiali aveano propulsori e tecnologie che i piccoli team se le sognavano.
  • [Nel 2015] Onestamente, con questi regolamenti, la Formula 1 è diventata una schifezza. Il rumore delle monoposto sembra quello di un tagliaerba. Per me hanno perso la testa. Un pilota deve disporre di mille cavalli con un sibilo che lo senti a 200 chilometri di distanza e le macchine devono essere belle da vedere. Tanti luminari a lavorare attorno ai regolamenti per produrre cosa? Qualcosa di assolutamente ridicolo...

Note modifica

  1. Da Andrea Ettori, Intervista a Piercarlo Ghinzani: la F1 degli anni '80, p300.it, 10 ottobre 2023.

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