Pier Augusto Stagi

giornalista italiano

Pier Augusto Stagi (1962 – vivente), giornalista sportivo italiano.

Citazioni di Pier Augusto Stagi

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il Giornale

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  Citazioni in ordine temporale.

  • [...] si porta dietro quella riservatezza che lo protegge come un'armatura dal mondo. Pacato e riflessivo, Ivan Gotti è davvero il manifesto dell'antipersonaggio che ha sempre preferito l'essere all'apparire. Il fare alle parole. [...] quel suo tono schietto da persona della Valle che preferisce il silenzio, fin quando non gli si porge una domanda perché, se lo solleciti, Ivan risponde sempre, con franchezza e senza tanti giri di parole, a costo di apparire ruvido e insensibile, cosa che non è affatto.[1]
  • È stato campione di ciclismo suo malgrado, perché ad una corsa su strada, dove è stato un fenomeno assoluto, ha sempre preferito la mountain-bike o il motocross, sport più vivi e adrenalinici, più brevi e intensi. Per il campione slovacco il ciclismo è sempre stato troppo noioso e nel suo piccolo ha provato a renderlo meno ingessato con le sue uscite, le sue improvvisazioni, le sue saganate. [...] Irriverente ed esuberante, a Peter non interessava la gerarchia del gruppo, lui era Sagan.[2]
  • È sempre stata di poche parole, riservata e schiva, Fabiana Luperini. Ha sempre preferito far parlare i risultati quando correva in quegli anni, tra i Novanta e Duemila e lei, in materia, è sempre stata piuttosto chiacchierona, vincendo [...] un'infinità di corse. È stata la Pantanina, in quegli Anni magici del Pirata che infiammava le strade del mondo e Fabiana alzava ancora di un po' l'asticella del ciclismo femminile italiani, che in quelle stagioni era ancora troppo bassa.[3]
  • [Sulla Liegi-Bastogne-Liegi] È la decana, la signora delle Classiche, la più anziana e desiderata [...][4]
  • [Su Gianbattista Baronchelli] Perse un Giro per soli 12 secondi, lo stesso tempo che dedicava alle interviste, tanto era timido e schivo.[5]

ilgiornale.it, 12 febbraio 2024.

[Su Marco Pantani]

  • Si alzava sui pedali e via di scatto ad abbreviare l'agonia di una fatica eterna alla ricerca di un traguardo infinito, con quell'incedere progressivo e ossessivo che sembrava per noi danza e armonia, per i suoi avversari sofferenza e dolore.
  • Marco conquistò tutti, anche chi di ciclismo aveva poca contezza. La sua forza è stata questa: catturare la vista e i cuori di tutti, con il suo modo di intendere il ciclismo e le corse, portando lo sport del pedale fuori dai propri confini. Era magnetico e persino ieratico in sella alla sua bicicletta, anche se lui da ragazzo di mare che amava le montagne si è sempre sentito un brutto anatroccolo, anche quando è diventato cigno. Era un centauro, metà uomo e metà bicicletta: solo su quell'arnese trovava il suo equilibrio. Pace e gioia. Solo in salita sentiva di avvicinarsi a Dio, puntando verso il cielo, con foga e compostezza. Con ferocia e leggerezza. Con rabbia e sublime bellezza. Per noi è stato tanto se non tutto in quel momento della nostra vita di sconcertante bellezza e di assoluta gratitudine sfociata in adorazione.
  • Una sorta di supereroe assoluto, capace di scalare le montagne come i più grandi campioni del passato, come i Coppi e i Bartali, i Gaul e i Bahamontes. Ha fatto capire a noi boomer [...] cosa devono essere stati quegli anni ruggenti, quell'euforia contagiosa e delirante di un'Italia unita per il ciclismo che si divideva tra Coppi e Bartali. Perché Marco è stato esattamente quella roba lì. Nessuno, dopo di lui, è stato in grado di incatenare i cuori allo stesso modo. Perché parlate solo di lui?, si lamentavano in tanti. Perché aveva un dono che si chiama carisma. Aveva una capacità innata di fascinazione che nessuno poteva vantare. Anch'io ho vinto un Giro, dicevano. Ma lui vinceva in un altro modo, portandoci in altri mondi, perché sulla scena bisognava avere quella cosa invisibile che ti fa vedere rispetto agli altri. Difficile da descrivere, facile da riconoscere.
  • Pensatela come volete, ma Marco Pantani in salita è stato di un altro pianeta. Faceva cose con una teatralità assoluta e tragica, seguendo un copione che pareva studiato a tavolino, ma era pura improvvisazione istintiva che noi tutti abbiamo imparato a conoscere e a riconoscere. Sapevamo perfettamente quando sarebbe stato il giorno, quale tappa, su quale montagna e in che punto avrebbe scatenato l'inferno. Con i suoi gesti ci aveva educato a riconoscerlo. Ora scatta. Ora parte. Si è tolto gli occhiali, tra poco getta via la bandana. Si spogliava come a liberarsi di un peso, prima di librarsi in cielo, prima di dare inizio alla sua danza carica di rilanci nell'atto di raggiungere una sublime solitudine che si sarebbe trasformata come d'incanto in estasi e in sommo godimento.

ilgiornale.it, 27 maggio 2024.

[Sul Giro d'Italia 2024]

  • Alla fine è andata come si pensava all'inizio: Pogacar avrebbe vinto passeggiando per manifesta superiorità, alla Eddy Merckx. Contro il numero uno del ciclismo mondiale si lottava solo per le posizioni di rincalzo. Unico vero problema: gli accidenti. Non quelli che gli avrebbero tirato gli avversari ogni qual volta attaccava, ma quello che il 25enne sloveno avrebbe potuto prendere. Un raffreddore, un'allergia, una bronchite o un meteorite sulla testa: solo questo avrebbe rallentato o fermato la scontata cavalcata di questo talento del ciclismo mondiale.
  • È stato un Giro previsto e prevedibile [...], nel quale davvero c'è stato un solo uomo al comando. Gli sportivi italiani non se lo sono fatto sfuggire, l'hanno seguito e inseguito (la scena del bimbo che ricorre la maglia rosa che poi gli porge la borraccia è sublime: scena madre [...]). Era dai tempi di Marco Pantani che non si aveva un corridore capace di catalizzare in questo modo l'attenzione degli sportivi. Con lui si va sul sicuro: oggi attacca e lui attaccava. In questo ha ricordato davvero il Pirata, che gli bastava lanciare via la bandana, per far capire le proprie intenzioni. Taddeo non ha gesti di riferimento, perché lo sloveno è più imprevedibile, ma basta mettergli un numero sulla schiena, per vederlo all'opera, anche in volata.
  • Pogacar non ha battuto quindi nessuno? No, questo no, ha fatto una sfida con sé stesso e si è superato.

tuttoBICI

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  Citazioni in ordine temporale.

  • Condanno il sistema più dell'uomo. [...] La vicenda Armstrong dice chiaramente questo. Dice che si può essere controllati fin quanto si vuole ma la si può fare franca fin quando il sistema non va in cortocircuito. Fin quando un organo terzo (la USADA) non si mette ad indagare, a ricercare, a fare luce dove di solito è buio pesto. Dice che non solo l'Armstrong del dopo malattia – e quindi vicino all'allora presidente Uci Hein Verbruggen –, può fare quello che vuole, ma anche il secondo, quello del ritorno alle competizioni [...], qualche imbarazzo l'ha creato e lo crea anche all'attuale [...], Pat McQuaid [...]. Il numero uno del ciclismo mondiale, anziché gongolarsi per aver cancellato fuori tempo massimo il texano miracolato, dovrebbe per lo meno, se non ammettere le proprie colpe, rispondere alle [...] accuse mosse [...] da un suo ex "perito" di parte, Michael Ashenden, medico specializzato in antidoping. «[...] credo che a nessun "esperto" sia mai stato chiesto di analizzare i file del texano, anche perché a occhio erano visibili almeno due variazioni anomale che in altri casi sono state sufficienti per condannare un atleta». Ci sono poi le parole dell'ex direttore della Wada Richard Pound [...]: «Non è credibile pensare che non sapessero quello che accadeva. [...] Quella squadra aveva sempre i controlli per ultima, erano avvisati, avevano tutto il tempo che volevano a loro disposizione». E lo stesso pensa l'attuale direttore, John Fahey: «C'è stato un periodo durante il quale la cultura nel ciclismo voleva che tutti si dopassero. Non c'è alcun dubbio su questo [...]». E qui sta il punto. Non possiamo pensare e francamente tollerare, che il nuovo ciclismo riparta da qui e in questo modo. Come gli atleti, che per riabilitarsi devono perlomeno fare ammenda pubblica e ammettere i propri sbagli, lo stesso devono fare lorsignori. Riconoscere i propri limiti e magari passare la mano. [...] Il ciclismo non è cambiato e non può cambiare fin quando non si cambiano dirigenti e regole. Non è sufficiente che certe persone, per apparire migliori, si limitino ad imbiancare i sepolcri. Vanno chiamati altri imbianchini.[6]
  • Del Ghisallo ho sempre parlato poco volentieri per una pura e semplice questione di rispetto nei confronti di Fiorenzo Magni, che in questo progetto ha creduto come nessun altro, tanto da arrivare a versare di tasca propria cifre importanti fino a pochi giorni prima di lasciarci. [...] Ho sempre sostenuto, anche con il diretto interessato [...] che la location del Museo in cima a Magreglio non fosse particolarmente felice, se non altro per la difficoltà di accesso. Apparentemente è vicino a Milano, ma le strade, sempre trafficatissime, rendono il viaggio tutt'altro che agevole. Lassù c'è la storica chiesetta del ciclista: piccolina, che raccoglie in maniera semplice oggetti semplici donati con gesti altrettanto semplici. Ma pensare che qualcuno, anche solo da Milano, possa mettersi in moto per andare lassù a vedere il Museo è pura utopia. Chi va su in bicicletta, scala il mitico Ghisallo e si guarda bene dal fermarsi sudato per fare una visita al museo. Ad andarci di proposito è una sparuta minoranza. Potreste dirmi: bravo, potevi anche dirlo prima. L'ho sempre detto, tanto è vero che a Fiorenzo il mio pensiero non è mai andato giù.[7]
  • [...] in quel ciclismo Marco [Pantani] svettava per personalità e imprevedibilità. Era un artista e faceva cose che per altri erano improponibili e non per quello che alcuni di voi – maliziosamente – potrebbero pensare. Aveva talento, su questo non si discute. Era un ciclismo diverso con un protagonista atipico. Difficilmente catalogabile e riproducibile.[8]
  • Ho avuto una grande fortuna: aver conosciuto Felice Gimondi. Aver guadagnato la sua stima, amicizia e fiducia. E questo mi basta. È stato il mio campione, il primo eroe a pedali che ho seguito con trepidante passione. L'uomo senza macchia e senza paura che lottava contro l'Invincibile Eddy Merckx. Non mi piaceva vincere facile, ma con Felice si vinceva, eccome se si vinceva. E di soddisfazioni ce ne siamo tolte tante. Uso il plurale perché i campioni e i tifosi sono un'unica cosa. Pedalano assieme, sognano assieme e i tifosi di Felice erano un'unica cosa: una famiglia, una religione, una fede.[9]
  • Per Gianni Mura il primo giorno di primavera è stato l'ultimo. Niente fiori, niente mare di Ischia e vino gelido con le pesche. Fine della corsa per un grandissimo giornalista che ha amato lo sport del pedale più di ogni altra cosa. Ha amato il ciclismo di memoria, più che di cronaca, nonostante fosse sempre sul pezzo, sempre sulla notizia, come pochi altri.[10]
  • Come un leone in gabbia, che non ha pace e non riesce a trovarla. [...] e dire che passava per essere uno dei più intelligenti del gruppo e, francamente, tonto non lo è mai stato. [...] Lance Armstrong è arrivato [...] a chiedersi [...] perché mai Ivan Basso si è rifatto una vita, vive bene, lavora tantissimo ed è stimato, «avendo fatto cose simili a quelle che ho fatto io». È chiaro che Armstrong fatica a ricordare quello che ha fatto. Non si è limitato a gonfiarsi le vene. Non ha barato come centinaia di atleti hanno provato a fare nella loro carriera sportiva, ma lui dal suo sport è stato protetto, avendo comprato il silenzio sia dell'Uci [...] che quello del Tour de France. Lance fatica a ricordare che è finito nei pasticci per la giustizia ordinaria americana: questa sì l'ha messo in croce. Il ciclismo l'aveva semplicemente eletto a semidio, a qualcosa di unico e intoccabile [...]. Basso, Di Luca, Riccò, Santambrogio, Petacchi e via elencando hanno invece provato a fare i furbi, sono stati presi con le mani nel sacco e per questo puniti. Il ciclismo, il mondo dello sport, non ha mai torto un capello al texano, ne ha solo preso atto: dopo. Molto dopo. A partita finita. Non è un reo confesso, ma un Re che ha confessato a scoppio ritardato, dopo aver costruito un sistema criminoso degno di un "padrino". Un sistema che l'ha protetto nel suo castello dorato prima che questo crollasse, miseramente, come quelli costruiti con la sabbia. Lance, però, non capisce, si considera un dopato come tanti, ma anche in questo è il più grande e unico. Nessuno hai mai fatto quello che ha fatto lui. Nel bene e soprattutto nel male.[11]
  • È una questione di cuore e di passione, che non si compra di certo al mercato, che non puoi ingannare, raggirare o prendere in giro, anche perché in questo caso prenderesti per il naso solo te stesso. Tanti i corridori di alto livello che, ricoperti di soldi, finiscono per essere schiacciati da facili palanche e responsabilità, aspettative altissime e attività pubbliche. Poi ci sono il cuore e la passione, che se vengono meno o non ti hanno mai sorretto, perché per tanti anni ti sei trovato a fare il corridore solo perché ti riusciva facile, beh, allora son dolori. Non è il caso di Tom Dumoulin, che la passione l'aveva, ma è venuta meno quando la pressione ha preso il sopravvento su tutto. Aveva due strade: far finta di nulla e nell'infelicità più totale portare avanti la bicicletta pensando solo al portafoglio che ha nelle vicinanze del cuore, o affidarsi al buon senso. Ha scelto il cuore.[12]
  • Il nostro Giro è bello, ma manca la partecipazione corale dei migliori interpreti del mondo, e non solo e soltanto perché il Giro viene prima e si corre a primavera, mentre il Tour in estate: sul finire degli Anni Ottanta la nostra corsa era di pari livello, se non addirittura superiore a quella transalpina. È vero, c'era la Vuelta ad aprile ad anticipare la "corsa rosa", ma basta [...] sentire i racconti sull'allora patron del Tour Jean Marie Leblanc che piombava da noi a implorare i nostri team di varcare il confine. Per convincerli, mille attenzioni, non ultimo far trovare loro le ammiraglie già brendizzate al di là del confine. C'era però da pagare, perché i cugini monetizzavano anche la partecipazione dei team con circa 100 milioni di vecchie lire a squadra, e anche per questo molti club di casa nostra ci pensavano tre volte prima di oltrepassare il confine. Era chiaramente un altro ciclismo, con un calendario nazionale ricco e intenso, soprattutto seguito e proposto adeguatamente bene sia dalla tivù che dalla carta stampata. Però Leblanc non si perse d'animo e riuscì a far comprendere ai nostri team manager che il Tour era il Tour e Stanga, da presidente internazionale dei gruppi sportivi, ben presto riuscì a far capire al gran capo francese [...] che era necessario cassare quella fastidiosa e anacronistica "gabella". Insomma, sul finire degli Anni Ottanta il Tour non era appetibile e i cugini hanno incominciato una lenta ma inesorabile rincorsa, che ha riportato in pochi anni la Grande Boucle al centro del mondo. Come? Rendendo il loro evento planetario, appetibile e prelibato a sponsor che cominciavano ad essere multinazionali. Il Tour ha compreso, anticipato e accompagnato la globalizzazione, vendendo il prodotto alle televisioni del pianeta, interessate a irradiare un evento che aveva tutti i più forti interpreti del mondo. A noi cosa manca? I più forti interpreti. Solo questo.[13]
  • Il Tour de France [2024] in Italia? Una vergogna! Sono in tanti che hanno storto il naso, perché non si danno i soldi ai francesi, perché abbiamo il nostro Giro e le nostre corse, perché non si sperperano così i soldi pubblici, perché Firenze nel mondo è già abbondantemente conosciuta e non necessità di queste ardite iniziative: perché perché perché... Una tiritera senza fine. Priva di visione. [...] con questa logica perché ospitare la finale di Champions League? Tanto abbiamo il nostro campionato. Perché chiedere gli europei e i mondiali? Il nostro Paese possiamo promuoverlo lo stesso. Perché organizzare le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina? [...] Forse crea interesse? Forse crea nuovi flussi di turismo, nuove opportunità o no? Forse il Tour, che è e resta il terzo evento sportivo al mondo, secondo solo ai Mondiali di calcio e alle Olimpiadi che si svolgono però ogni quattro anni, ci può portare turisti e visibilità planetaria, non trovate? Forse è una bellissima cosa anche per noi italiani, che questo grande evento abbiamo visto e imparato a conoscere solo in televisione e per la prima volta ce lo troveremo lì davanti a casa o quasi. Forse, e lo credo per davvero, il Tour può fare bene anche al Giro. Può risvegliare passioni e attenzioni pubblicitarie. Il Tour ha forza, il Giro si può rinforzare.[14]

tuttoBICI nº 2, 2014.

  • [...] 30 anni dal record di Francesco Moser, quello che ha di fatto proiettato lo sport e non solo il ciclismo, in una nuova dimensione. Uno sport fatto di ricerca, di preparazione, ripetute e computer (all'epoca Olivetti, il Mac era nato proprio in quei giorni), di lenticolari, carbonio e manubri a corna di bue, di telai ad asse variabile e gallerie del vento, cardiofrequenzimentri e acido lattico: insomma un ciclismo e uno sport che di fatto in quei giorni ha lasciato l'empirismo per entrare direttamente nella scienza grazie agli scienziati. [...] abbiamo celebrato, chi più chi meno, Francesco Moser e l'equipe medica della Enervit. Comunque la si voglia pensare, quel record ha qualcosa di grande e dietro a questa immane impresa c'è la figura ingombrante e discussa di Francesco Conconi, che [...] è stato in pratica ignorato, di fatto cancellato. [...] Di lui non se ne parla, si fa finta che neanche sia passato dal maso di Francesco per brindare a quel fantastico record. C'è qualcosa di irritante in tutto questo. Si racconta una storia parziale perché Conconi imbarazza, quindi si fa finta di nulla: senza imbarazzo. Come se Conconi in tutto quel lungo periodo di allenamenti test e valutazioni, ricerche e prove, sia passato di lì per caso, per salutare: solo per un'oretta.
  • Quello che mi sconcerta e fatico a comprendere è questo "disturbo bipolare" di cui soffre il giornalismo italiano. Pantani Dio o mostro? Eroe da idolatrare o simbolo del male? In questi anni abbiamo visto e ascoltato di tutto. Ma se è giusto che ognuno abbia la propria opinione, che può anche subire delle sensibili modificazioni nell'arco del tempo, lascia perlomeno basiti la disinvoltura che molti miei colleghi mostrano sull'argomento da una settimana all'altra. La commissione del Senato francese per la salute pubblica che ha indagato sui controlli del Tour del '98 rivela che Pantani era carico di Epo? Giù a massacrare il Pirata che non c'è più. C'è da celebrarlo perché in questi giorni cade il decennale della sua morte? Nessun problema: si celebra. Se è per far cassetta diciamo anche che è stato una vittima. Che l'hanno ammazzato. Anzi, alimentiamo il dubbio così ognuno di noi ha un buon motivo per indagare e scrivere altri libri. Magari strombazzando incredibili rivelazioni [...]: rilanciare una tesi o una notizia è sempre buona cosa, ma farlo sulla pelle di un ragazzo che non c'è più e sulla sua storia tragica non ci sembra assolutamente un bel modo di ricordarlo.
  • Io [...] voglio ricordarlo come il corridore che più di ogni altro mi ha esaltato. Mi ha fatto sognare. So razionalmente che probabilmente il suo sangue era "arricchito", ma so anche che non era il solo, ma è il solo che ha pagato un prezzo altissimo, spropositato, perché anche nella sconfitta lui era diverso dagli altri. Il suo orgoglio era smisurato e la sua forza era anche la sua debolezza.
  • [...] in questa terribile storia ci sono troppe verità. E le più vere vengono allegramente dimenticate. Non raccontate. Si vuole raccontare tutta un'altra storia, che ha responsabilità ben precise, nomi e cognomi, compreso quello di Marco Pantani, che cocciutamente si è consegnato e affidato alle persone sbagliate. Marco avrebbe voluto che i suoi colleghi parlassero, raccontassero con nomi e cognomi come funzionava il ciclismo in quel periodo. Non voleva essere la sola vittima sacrificale. Non voleva pagare il conto per tutti. I suoi colleghi decisero di tacere, Marco ha deciso di inseguire con orgogliosa determinazione il silenzio eterno. Una brutta storia, a tratti aspra e cattiva, che ha una sola verità. Tutto il resto sono speculazioni e prove di vanità sulla pelle del povero Marco, che avrebbe bisogno solo di rispetto. E di silenzio.
  1. Da "Io, l'amicizia con Pantani e quel Giro del 1999 che non posso sentire mio", ilgiornale.it, 28 marzo 2019.
  2. Da Sagan, le due ruote dicono addio al ciclista per forza, ilgiornale.it, 28 gennaio 2023.
  3. Da "Ho vinto tra le donne. Ora guido gli uomini", ilgiornale.it, 30 gennaio 2023.
  4. Da I ragazzi terribili e la Signora delle classiche, ilgiornale.it, 23 aprile 2023.
  5. Da Baronchelli: "70 anni scorrazzando in Apecar. Sono un uomo felice anche se Merckx per 12" mi portò via un Giro", ilgiornale.it, 6 settembre 2023.
  6. Editoriale, tuttoBICI nº 11, 2012.
  7. Editoriale, tuttoBICI nº 12, 2013.
  8. Editoriale, tuttoBICI nº 2, 2019.
  9. Editoriale, tuttoBICI nº 9, 2019.
  10. Editoriale, tuttoBICI nº 5, 2020.
  11. Editoriale, tuttoBICI nº 6, 2020.
  12. Editoriale, tuttoBICI nº 2, 2021.
  13. Editoriale, tuttoBICI nº 8, 2022.
  14. Editoriale, tuttoBICI nº 1, 2023.

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