Paolo Nori

scrittore italiano

Paolo Nori (1963 – vivente), scrittore italiano.

Paolo Nori nel 2008

Citazioni di Paolo Nori

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  • [Velimir Chlebnikov] È un poeta che non è tanto conosciuto, perché su di lui grava la nomea, diciamo così, di essere un poeta difficile, un poeta per poeti. (da Velimir Chlebnikov, poeta e matematico, EaiEdu, letteratura.rai.it)
  • Si dice, di uno che ha molto viaggiato o molto studiato, che ha la mente aperta. Ecco, una persona sensibile, secondo me, è una persona che ha il sentimento aperto, che ha una forte reazione sentimentale a quello che gli succede intorno. Questa persona, se vuole vivere in una società, deve imparare prima di tutto ad essere flessibile. Perché poi quando il sentimento è aperto, poi entra di tutto. Allora, tenere tutto dentro, non si può. Che come ci sono i pensierei talmente ossessivi che se restano nella tua testa ti possono fare impazzire, così ci sono dei sentimenti talmente strazianti che se li tieni dentro ti si apre la pancia. Allora, se sei flessibile, la tua pancia diventa una specie di magazzino, dal quale entrano ed escono continuamente dei sentimenti. (da Bassotuba non c'è, Einaudi Tascabili, 2000, p. 116)

Bassotuba non c'è

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  • Una volta ho sentito per radio una maestra che diceva che i bambini, a furia di guardare la televisione, si erano quasi convinti che il mondo fosse la televisione. Che quando lei li chiamava — Pedretti! Bergamaschi! — loro non rispondevano, come se stessero guardando la televisione. Come se in nessun modo potessero interferire con le vicende che gli passavan davanti. Io quando ho sentito questa storia ho staccato la spina del televisore e l'ho portato in garage. Di corsa.
  • Non so, io e Bassotuba non ci siamo mai capiti, ho l'impressione. Io, perlomeno, le cose che mi diceva non le ho mai capite. Per esempio torno a tutto contento con un cd nuovo, John Mayall, jazz blues fusion. Lo metto su e mi dico Senti questa musica come vien dentro bene, nella mia vita. E comincio a muovermi e non posso evitarlo, sto quasi ballando. E più va avanti il disco, più dico Sì, sì, proprio così… Sbuca Bassotuba dalla cucina, dice Bellissimo. Puoi abbassare un pochino?
  • Che mi farebbe paura la gente, uscire per strada. Che mi sembrerebbe che tutti, vedendomi, pensassero Lo vedi quello lì? Quello cammina come se avesse pubblicato un romanzo che non l'ha cagato nessuno.
  • Il gatto non mangia. Gli trovo una marca che gli va bene, il giorno dopo non gli piace già più. Niente. Mi tocca buttarla via mezza, la roba per il gatto. Provo a spiegarglielo, che è un momento difficile. Oh, gli dico, non sei mica il gatto di Barilla, cosa ti credi.
  • Non so se li vedi, in giro per strada, quelli che fan finta. Che han degli occhiali che fan finta di essere dei piloti di jet. O delle scarpe anfibie che fan finta di essere dei marines. O delle camminate che fan finta che tutti li guardano. O delle pettinate che fan finta di essere molto al passo coi tempi. Che non si fermano mai un attimo, a chiedersi magari dove sono, i tempi. Che non gli viene mica in mente, magari, che la storia dei tempi potrebbe essere un'inculata. State, state, al passo coi tempi. Ve ne accorgerete. Io, mi faccio la barba. Anche se nessuno mi dice che sto bene, senza barba, neanche mia mamma. Neanche mio babbo, mi dice che sto bene. Mio babbo mi dice, quando mi vede, Lascia lì di fumare.
  • Avevo già più di trent'anni, ma l'ho capito solo allora che quando dici quello che pensi, dopo magari la gente non ti parla più insieme.
  • Io, quando ero piccolo, mi si slacciavano le scarpe continuamente. Anche a vent'anni, mi si slacciavano sempre le scarpe. Anche a venticinque, mi si slacciavano. Anche a trenta. Adesso, mi si slacciavano ancora.
  • Dopo torno a casa, a mangiare le mele, a farmi la pasta, a scrivere il mio terzo romanzo uguale al secondo. Ascolta, mi dico. Quando eri quasi un esperto di letteratura russa e sovietica, che sentivi parlare di scuole letterarie, pensavi Ma che cazzo dicono, le scuole? L'artefice è solo, pensavi, altro che scuole. Le scuole per i gregari, l'artefice è solo. Com'era Puškin? Solo. Com'era Gogol'? Solo. Com'era Dostoevskij? Solo. Com'era Tolstoj? Solo. Com'era Chlebnikov? Solo. Tu come sei? Solo. Vedi? Adesso scrivi una cosa come l'Onegin, o le Anime morte, o I demoni, o Anna Karenina, o Fantasmi.

I quattro cani di Pavlov

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  • L'avevo chiamato Delle stronzate per via che un giornalista al telefono mi aveva fatto un sacco di complimenti io la mia bastiancontrarite quando alla fine m'ha chiesto Cosa sta scrivendo, adesso? Adesso sto scrivendo delle stronzate. (p. 97)
  • Dopo quando Togliatti mi aveva detto che lei a lavorare era un momento difficile che era sempre lì lì per considerare il lavoro una cosa importante e non voleva, che se ti metti a considerare il lavoro una cosa importante dopo diventi come il cane di Pavlov io avevo pensato che aveva ragione. (p. 102)
  • È stato un periodo che mi interessavano solo le cose che avevano un rapporto diretto con le mie convinzioni, ero pieno di convinzioni, allora, e tra le mie convinzioni c'era la convinzione che le mie convinzioni fossero utili ai miei conoscenti ero sempre pronto a dare un parere anche se non richiesto ero d'un peso. [...] Ciò che non può essere detto, dev'essere taciuto. (p. 115)
  • Nuotare in un mare di merda, | ce ne vuole di forza. (p. 119)
  • E io signor Oliver, gli avrei risposto, non la prenda come una cosa personale, lei è molto simpatico, ma io già così mi dicon che scrivo delle cose monotone, se poi lei tutti i giorni quando torno a casa lei mi viene a trovare non solo poi dopo mi dicon così, mi tocca anche dargli ragione. [...] Io non so perché, avevo pensato quel giorno là, ma ho sempre l'impressione che mi prenda per il culo, il signor Oliver, quando parla con me così per ipotesi. Io ormai sono ridotto in un modo che mi faccio prendere per il culo anche dalle mie ipotesi, avevo pensato. (p. 119)
  • C'è un amico di Francesca che ha letto il mio romanzo, ha detto che è un po' il contrario dei libri d'avventura, ha detto, tipo I tre moschettieri, tu volti le pagine perché vuoi vedere che cosa succede che ogni pagina ci son dei duelli degli avvelenamenti delle agnizioni delle tragedie. Nel tuo romanzo, mi ha detto l'amico di Francesca, tu volti le pagine perché vuoi vedere se finalmente succede qualcosa. (p. 203)

I russi sono matti

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  • In quel film che ha vinto l'Orso d'argento a Berlino, Dovlatov. I libri invisibili, Dovlatov confida a un suo amico, un contrabbandiere, che, per entrare nell'Unione degli scrittori, lui, Dovlatov, dovrebbe parlare del mondo che lo circonda con un tono entusiastico, encomiastico, senza la minima ironia, e lui non ce la fa, e il suo amico lo guarda e gli dice: «Ma andiamo, io e te, a rubare una macchina, è una cosa più onesta».
  • Dice sempre Dovlatov che, in quel periodo lì, se tu, per il compleanno di un tuo amico gli regalavi un libro, dovevi regalargli un libro in samizdat, che regalare libri ufficiali, libri che avevano passato il vaglio della censura, era una cosa che veniva considerata poco educata.
    Se un libro veniva pubblicato, dice Dovlatov, voleva dire che valeva poco.
    Perché i libri che valevano tanto, sembra incredibile, i libri che dicevano delle cose importanti, sembra incredibile, facevan paura. Lo stato, il grande stato sovietico, il grande regime sovietico, la più grande potenza mondiale, aveva paura dei libri.
  • E, secondo Dovlatov, dopo essersi liberati, attraverso il samizdat, della censura esterna, gli scrittori russi avrebbero dovuto operare essi stessi una censura più forte, personale, e fermarsi prima di trasformarsi, senza averne gli strumenti, in teologi, filosofi, sociologi, storici, psicologi, filologi.
    Dovlatov non dice fanfaroni, ma si sente che un po' pensa così.
  • In dialetto parmigiano, la felicità, non c'è: non si dice, in parmigiano, Sono stato felice, si dice «A ston stè ben», son stato bene, così come non si dice, in dialetto parmigiano, Ti amo, si dice «At voj ben»>, ti voglio bene. E io, ho pensato, io, a pensarci, la mia lingua, il pozzo delle mie emozioni, io l'ho scavato a Parma, e quando dovevo lavorare con loro, con le mie emozioni, dovevo usare le parole che ho sepolto a Parma, devo tornare a Parma e buttare giù il secchio in quel pozzo lì che ho scavato a Parma non potevo fare altrimenti.
  • Quand'ero piccolo, mia nonna e mia mamma, mi chiamavano nàni, che è una parola che a me, ancora oggi, mi commuove, e che in italiano non c'è e che esprime un affetto che in italiano non si riesce a dire, secondo me.
  • Manzoni, e quelli che scrivevano in italiano nell'Ottocento, non avevano lo strumento, per farsi capire; Settembrini, nel 1870, finiva le sue lezioni sulla letteratura italiana augurandosi che l'italiano potesse diventare una lingua viva. Questo significa, come nota De Mauro, che l'italiano allora era una lingua morta, nel 1870, nove anni dopo l'unità d'Italia.
  • Il russo [...], la lingua di Puškin, è prima una lingua parlata, e poi una lingua scritta, i russi fino al IX secolo non hanno neanche l'alfabeto (la missione di evangelizzazione di Cirillo e Metodio, che inventano l'alfabeto glagolitico, che poi verrà ribattezzato, dai discepoli di Cirillo, cirillico, è dell'846), e quando i russi scrivono, adesso semplifico ma un po' è così, scrivono usando una lingua che tutti i russi parlano e che conoscono tutti.

Sanguina ancora

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  • E nei confronti dei russi, e della paura che fanno i russi, e della presunta stupidità e cattiveria dei russi, e della presunta noia e pesantezza della letteratura russa, io, lo so fin da quel giorno che ho letto Delitto e castigo e che mi si è aperta la piaga che ho qui, sotto la gabbia toracica, io lo so, che non sono cattivi, io lo so, che non sono noiosi, io lo so, che fan bene, io lo so, che la Russia, i russi, la letteratura russa, meno male che ci sono.

Incipit di La matematica è scolpita nel granito

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Comincio a scrivere questo diario alle 14 e 43 di venerdì primo settembre, quindi non parlerò di tutto quello che è successo oggi, primo giorno del festival dei poeti di Seneghe, ma solo di quel che è successo fino a adesso.

Bibliografia

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Altri progetti

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