Pantaleo Carabellese
filosofo italiano (1877-1948)
Pantaleo Carabellese (1877 – 1948), filosofo italiano.
Citazioni di Pantaleo Carabellese
modifica- La proposizione, posta dai filosofi, ripetuta dal volgo, ma non creduta da nessuno, che io, in quanto io, sono un soggetto e non oggetto, e che le cose che mi stan davanti (al pensiero od ai sensi, non importa) sono oggetto e non soggetti, è falsa. Io, soggetto; ma il sole, la luna, l'ulivo, oggetto. Una tale proposizione, ripetuta da tutti, non è, in realtà, creduta da nessuno. Se creduta fosse da qualcuno, questi necessariamente sarebbe un solipsista, solipsista di fatto e non soltanto di dottrina, sarebbe cioè il solo, l'unico. Solipsista di fatto, perché tutti gli enti si presentano a lui, per quanto più o meno affini con lui, così come gli si presentano il sole e la luna, e quindi come oggetto, se l'oggettività sta in questo presentarsi di enti opposti a colui al quale si presentano, e separati da lui. Ed un solipsista conseguente non deve intendere nessuno e da nessuno deve essere inteso. Unico re di un morto universo deve finire certo col rinunziare al regno per vivere nell'universo e solo così, se mai, regnare.[1]
- Noi traiamo dal pensiero la certezza che l'essere è; questo è principio inconfutabile. Ed è anche principio dell'idealismo, giacché porta con sé necessariamente l'altro, pel quale l'essere è posto nel pensiero, principio questo che caratterizza qualsiasi forma d'idealismo, che caratterizza l'idealismo stesso.[2]
Sulla vetta ierocratica del papato
modifica- Egli [papa Gregorio VII] è uno di quegli uomini che, o intensificando il sentimento loro individuale nella grande anima collettiva, in modo che questa si personifichi in quello, o correndo imperterriti alle conseguenze logiche nascoste dei principi universalmente accettati o sentiti, compiono una rivoluzione, ovvero creano ed attuano un sistema. Dall'autonomia della chiesa, voluta nella elezione dei suoi capi, se non era breve, era già ben preparato il passo alla sua supremazia, e per essa, alla supremazia del papato. Gli ostacoli trovati nella conquista della desiderata autonomia sono le vie che aprono un ben più vasto campo all'attività di Ildebrando[3]. (Parte prima, cap. I, p. 16)
- [...] la ierocrazia gregoriana, se ne guardiamo la genesi storica e psicologica che ce ne indica l'elemento determinante, si connette alle condizioni morali della società ed al partito della riforma; se invece ne guardiamo la genesi logica che deve spiegarcene il dato costitutivo ed il carattere essenziale, getta ben più lontane le sue radici ed è il coronamento logico del ritmo vibrante qual legge nello sviluppo cattolico della dottrina di Cristo. (Parte prima, cap. I, p. 21)
- [...] con la dottrina di Gregorio, si è giunti a tanto alta vetta del potere pontificio, da affermare che nel mondo umano nulla debba farsi senza il beneplacito del pontefice, cosi come, nell'universo, niente può avvenire senza o contro il sommo volere di Dio; quando tal vetta abbiamo, idealmente almeno, conquistato, può ben Gregorio esclamare: «Unicum est nomen in mundo, papae videlicet[4]». (Parte prima, cap. II, p. 43)
- La ierocrazia [...] nel suo valore sociale politico era il portato necessario del cattolicesimo e del papato, e tale fu la dottrina professata e in teoria e in pratica da Gregorio. (Parte prima, cap. II, p. 45)
- L'esercizio della sovranità religiosa del papato ebbe con Innocenzo [III] la sua esplicazione ed il suo epilogo nel campo pratico specialmente con la quarta crociata contro i Maomettani e con la guerra contro [gli] Albigesi. (Parte seconda, cap. I, p. 73)
- A confessione di Innocenzo [III], tra le varie cure della sua pontificia attività i due avvenimenti, il cui esito più angustiava la sua mente, erano lo scisma dell'impero, ed i bisogni di Terra Santa. E quantunque ciò dicesse quando già vedeva andare a monte le grandi speranze concepito alla partenza del numeroso esercito crociato, pure le lettere da lui dettate nei suoi primi anni di pontificato ci mostrano, come anche allora precipua sua cura era la liberazione del sepolcro di Cristo. (Parte seconda, cap. I, p. 73)
- La crociata, mentre nella sua concezione è l'esplicazione logica del sentimento religioso e rientra quindi nel campo della sovranità religiosa che compete al pontefice, nell'attuazione poi dà agio a quest'ultimo di mostrare come e fin dove l'esercizio del potere spirituale porti al dominio delle cose temporali. La lunghezza del viaggio da imprendere, i pericoli cui si andava soggetti, mettevano in grave rischio i beni che i crociati lasciavano in patria, e che gli avidi vicini avrebbero cercato di appropriarsi. A ciò dovrà por riparo la santa sede, che era l'ispiratrice della grande guerra. Perciò i crociati erano presi sotto l'apostolica protezione, e tutti i loro beni erano affidati all'apostolica sede, la quale avea il dovere di conservar integri questi ultimi fino al ritorno di colui, cui appartenevano, ovvero fino a che l'accertamento della morte di lui l'autorizzasse ad investirne gli eredi. Parecchi principi quindi, quando ebbero a temere per i loro stati, cercarono salvare il pericolante possesso col metterlo sotto la tutela pontificia, prendendo la croce, ma rimandando poi di anno in anno la loro partenza. (Parte seconda, cap. I, p. 73-74)
- A coloro che si fossero recati in terra santa non a spese proprie ma altrui, ed a quelli che non potendosi recare personalmente avessero mandato a proprie spese un numero di uomini adeguato alle loro ricchezze, Innocenzo [III] concedeva l'indulgenza plenaria dei peccati. A quelli poi che in persona ed a proprie spese avessero affrontati gl'incomodi del viaggio ed i pericoli della guerra, bisognava concedere qualcosa di più, ed Innocenzo prometteva loro «un maggior grado di beatitudine, augmentum aeternae salutis, nella retribuzione dei giusti.». Il paradiso, divenuto cosa del papa, era distribuito in misura maggiore o minore, secondo il relativo merito dei fedeli, dal papa che così assegnava quasi il posto da concedersi in esso a ciascuno. (Parte seconda, cap. I, p. 75)
- Quegli stati, come la Russia, in cui il cattolicesimo non poté raggiungere il massimo suo sviluppo e non poté quindi attingere le vette sublimi della ierocrazia, han sì conservato sempre il proprio potere sovrano di fronte alla chiesa, ma, forse per ciò appunto, l'han conservato nella sua forma antica, ritenendo cioè parte integrale e fondamento della sovranità il potere e la funzione religiosa. (Parte terza, cap. unico, p. 200)
Note
modifica- ↑ Da Critica del concreto, Libreria Pagnini, Pistoia, 1921, cap. IV, pp. 102-103.
- ↑ Da Critica del concreto, Libreria Pagnini, Pistoia, 1921, cap. II, p. 35.
- ↑ Ildebrando di Soana era il nome secolare di Gregorio VII.
- ↑ Noi crediamo col Martens che qui non si voglia significare che solo al vescovo di Roma si debba dare il nome di papa, perchè nel sec. XI già era generale l'uso di tal nome per indicare il capo supremo della Chiesa; ma si voglia invece esprimere che nulla possa paragonarsi al nome ed alla dignità pontificia [...]. [N.d. A.]
Bibliografia
modifica- Pantaleo Carabellese, Sulla vetta ierocratica del papato, Remo Sandron editore, Milano - Palermo - Napoli, 1910.
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