Oksana Zabužko

scrittrice ucraina
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Oksana Stefanivna Zabužko (1960 – vivente), scrittrice e poetessa ucraina.

Oksana Zabužko

Citazioni di Oksana Zabužko

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Da Il totalitarismo russo e la cecità dell’Occidente

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, traduzione di Fabio Galimberti, la Repubblica, 4 maggio 2022, p. 15.

  • Qual è la scusa della Russia per quello che sta facendo in Ucraina oggi? Non solo l'Ucraina non ha attaccato la Russia, ma è perfino, secondo gli stessi libri di storia russi, una «nazione sorella». Da dove viene allora questa valanga di sadismo? Qual è la ragione degli ordini dei comandanti russi, intercettati dal Servizio di sicurezza ucraino, di «bombardarli senza pietà»?
  • Il dialogo è l'aria che la cultura occidentale respira da duemilacinquecento anni e per persone cresciute nell'atmosfera aperta dell'antica agorà è difficile immaginare che alla porta accanto esista anche un'antica cultura in cui la gente respira solo sott'acqua e nutre un banale odio per quelli che hanno polmoni invece di branchie.
  • Il totalitarismo vittorioso per quasi cinquant'anni si radicava e si espandeva senza dover sottostare a nessun giudizio legale, al punto che quando la Russia alla fine nominò come suo leader un ufficiale del Kgb, un'organizzazione che dal 1918 in poi era stata responsabile di alcuni dei crimini contro l'umanità più grandi e duraturi della storia moderna, nessuno in Occidente ne fu inorridito come probabilmente sarebbe successo se si fosse trattato di un ex ufficiale della Gestapo.

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, linkiesta.it, 16 novembre 2022.

  • [...] se davvero non avessimo avuto nella storia moderna una nostra classe politica oggi i missili russi non ci pioverebbero in testa dalla Bielorussia, ma saremmo noi a tirarli sulla Lituania, la Polonia e così via: su qualsiasi Paese contro cui Mosca ci avesse ordinato di farlo...
  • Putin ora non sta facendo altro che ripetere quello che ha imparato da giovane sui manuali, comprese le fucilazioni degli insegnanti e dei sacerdoti ucraini nei villaggi occupati! La cosa più strana, però, è che quelle élite, anche se sembrava che fossero state cancellate dalla faccia della terra (quelli che non avevano fatto in tempo a scappare all’estero) e che nel corso dei decenni erano state quasi completamente rimpiazzate dall’amministrazione coloniale russa, erano riuscite non si sa come a trasmetterci un livello di memoria culturale sufficiente per la sopravvivenza politica dell’Ucraina (una cosa che non smette di stupirmi da più di trent’anni e che per questo chiamo «miracolo ucraino») – quindi, anche se in modo indiretto, lo Stato ucraino di oggi è in gran parte un loro merito storico.
  • Nella storia dei rapporti russo-ucraini è spesso emersa nei termini dell’invidia del ricco, fecondo Sud da parte del povero e affamato Nord [...]. Tutti gli interventi di Putin di argomento ucraino grondano invidia, anche se in questo non c’è niente di originale: tra i suoi predecessori c’erano persone, a differenza di lui, piene di talento, come Michail Bulgakov, e persino dei premi Nobel, come Iosif Brodskij. Tutta la cultura russa degli ultimi tre secoli (la facciata!) ha lavorato alacremente, di generazione in generazione, all’annessione dell’Ucraina, della sua storia, della sua cultura e anche del suo popolo.

Il viaggio più lungo

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  • A John Mearsheimer, il famoso politogo che nei giorni della strage di Buča ha pubblicato sull'«Economist» un articolo di una straordinaria ignoranza sul perché «the West is principally responsible for the Ukrainian crisis», ho promesso dentro di me, piena di rabbia, che quando l'esercito russo arriverà a casa sua a Chicago e i soldati, per poco naturale che sia, lo stupreranno, io, se sarò ancora viva, mi metterò a scrivere della «crisi di Chicago» e di come la si sarebbe potuta evitare se il professore fosse rimasto zitto... (pp. 16-17)
  • Rispetto al Reich è vero che [la Russia di Stalin] ha lasciato ai popoli soggiogati qualche chance di sopravvivenza in più, anche solo perché, come mi aveva spiegato mia nonna – che di materiale per paragonarli ne aveva più che a sufficienza – i russi, a differenza dei tedeschi, si ubriacavano e prendevano mazzette, mentre la macchina di morte dei tedeschi era impeccabile. È ovvio che se mandi avanti una fabbrica di morte è meglio se lavori male, per questo, tra l'altro, non c'è niente di più grottesco dell'attuale opposizione russa a Putin che si infuria per la corruzione e la scarsa preparazione dell'esercito russo: si infuriano perché questo esercito non è riuscito a uccidere tutti gli ucraini che aveva in mente il Quartier Generale quando ha mandato i soldati in Ucraina con regole chiare a proposito di sepolture di massa e crematori mobili per ripulire le varie Buča. I tedeschi se la sarebbero cavata molto meglio!... (pp. 17-18)
  • [Sull'invasione sovietica della Polonia] Ai soliti «l'Urss ha sconfitto il Reich nazista nella Seconda guerra mondiale» si sarebbe dovuto aggiungere, per completezza: «l'Urss ha scatenato la Seconda guerra mondiale insieme al Reich nazista senza mai assumersene la responsabilità». (p. 19)
  • Quando il primo giornalista occidentale che mi ha telefonato il 24 febbraio (alle 8 del mattino, impaziente...) mi ha chiesto con sincera curiosità che cosa pensassi, che cosa voleva Putin – mi sono messa a urlare. Percorrevo la stanza da un angolo all'altro gridando addosso a quel poveretto attraverso la cornetta, come se volessi farmi sentire da tutto l'Occidente: mi sta prendendo in giro?! Ve l'ha detto mille volte quello che vuole, guardandovi dritto negli occhi: vuole che gli ucraini non ci siano più, vuole che scompariamo, che smettiamo di esistere, come Hitler con gli ebrei, sta usando esattamente le stesse parole, «risolvere per sempre la questione ucraina», per quanto tempo farete ancora finto di non averle sentite?... Sono otto anni che vi spiega che gli ucraini e i russi sono «un solo popolo», quest'estate ha pubblicato tutto un articolo folle sull'argomento, come Stalin con la linguistica, davvero non vi è chiaro che questa è una dichiarazione di annessione del Paese, sul serio pensavate che si sarebbe fermato in Crimea?... «Un solo popolo» significa che dei due popoli deve restarne uno solo, quello russo, e se l'altro non accetta di sparire vuol dire che bisogna costringerlo a farlo, con la guerra, Dio santo, cosa c'è di non chiaro?! Sono venuti a ucciderci, ci uccidono online, in diretta, un intero popolo, e voi ve ne state lì a guardare, e mentre guardate vi meravigliate pure. Ma pensa te, chissà cosa vuole questo assassino? (p. 22)
  • Nella coscienza russa la massa, la folla è connotata in modo esclusivamente negativa, in quanto forza distruttrice. Se protesta «da sola», senza la sorveglianza della polizia, significa che si metterà a distruggere le vetrine, a incendiare le auto, a portare via dai negozi tutto quello che riuscirà a tenere in mano, più o meno come stanno facendo adesso i soldati russi nei supermercati dei villaggi ucraini occupati. (p. 48)
  • Tutta la cosiddetta storia russa è la storia dei suoi avi, di un gruppetto di cortigiani, niente di più di una vetrina, una facciata. [...] Ma dietro a quella facciata decorata ad arte c'è il deserto, il nulla: spazi enormi, poco abitati, non ancora civilizzati di un Paese malato di gigantismo, in cui ancora nel XXI secolo capita che si possa andare da un villaggio all'altro solo in barca, perché nonostante secoli di schiavitù di strade non se ne sono ancora costruite. (pp. 98-99)
  • La Russia [...] al di là di qualche operazione di facciata non si è mai modernizzata, perché a ogni tentativo di modernizzazione (liberalizzazione, democratizzazione...) cominciava immancabilmente a cadere a pezzi, il che è del tutto naturale: un impero feudale non può modernizzarsi senza essere passato dalla fase dello Stato nazionale, ma non appena sembrava che ci si stesse arrivando si capiva che i russi, in realtà, non sono un popolo, ma [...] una prigione dei popoli: un Paese-guarnigione, in cui il servizio militare non è mai stato realmente distinto dalla prigionia, e in cui l'unico folklore autentico [...] è quello carcerario, quello dei galeotti. (p. 100)
  • Ecco cos'è la guerra di oggi: la nostalgia di un cervello rinsecchito, di una forma storica ormai estinta, inadatta allo sviluppo, per la propria giovinezza. Il pianto di un vampiro affamato lasciato senza un rifornimento costante di sangue fresco, il risentimento di un mostro à la Frankenstein verso il suo creatore: mi stai dicendo che tu senza di me puoi stare benissimo, e io senza di te no?... L'ira, l'odio nei confronti di quella che invece di continuare a condividere con te la sua vitalità e il suo calore umano ti ha lasciato da solo con il tuo nulla cosmico e la tua paura di morire; la vendetta di uno zombi strappato dal seno della madre; il matricidio, seguito dal suicidio. (pp. 110-111)
  • Con la perdita di Kyjiv, la Federazione Russa, o Grande Russia, o Nuova Moscovia (questo, forse, sarebbe il nome più adatto alla situazione storica di oggi), perde il suo «passaporto cristiano»: non avendo né una sua data di battesimo, né una metropolia ecclestiastica (finché, sempre nel Seicento, non si era annessa quella di Kyjiv), mentre a livello di fede dominante, [...] è più vicina al manicheismo che al cristianesimo (e per questo in Russia oggi nessuno si sorprende di quei nuovi rituali tipo la consacrazione dei complessi missilistici, o le minacce dei sacerdoti di fare il malocchio ai fedeli disobbedienti, o ancora della cattedrale delle Forze Armate, costruita a Mosca nel 2018 con un'estetica ostentatamente anticristiana che celebra il potere temporale, e non quello spirituale, giusto per fare qualche esempio). Ed è così anche la formula della dottrina identitaria dell'Impero russo, concepita in contrapposizione al liberté, égalité, fraternité francese – «ortodossia, autocrazia, nazionalità» –, che non sta in piedi senza l'Ucraina, perché perde ben due pezzi: l'ortodossia e la nazionalità. Rimane solo l'autocrazia (la famosa verticale del potere), più la lingua russa come simbolo di sudditanza spirituale, il surrogato della «nazionalità» per tutta quell'amalgama di tribù slave, ugrofinniche e turche che avevano accettato di cedere le proprie lingue in cambio del russo per fondersi in una sola comunità moscocentrica. Ma ecco che gli ucraini gli sottraggono anche quello, con i russofoni che si rifiutano di definirsi russi e vanno a morire per il diritto di essere ucraini, sparando a quelli che sono venuti a sottrarglielo. (pp. 111-112)

Bibliografia

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  • Oksana Zabužko, Il viaggio più lungo. La cecità dell'Occidente e l'imperialismo russo nel racconto di una scrittrice ucraina, traduzione di Alessandro Achilli, Einaudi, 2022, ISBN 978-88-06-25727-9

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