Nino Tamassia

storico del diritto e politico italiano (1860-1931)

Giovanni Tamassia detto Nino (1860 – 1931), giurista e politico italiano.

Nino Tamassia

La famiglia italiana nei secoli decimoquinto e decimosesto

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  • I nobili ricchi e i plebei arricchiti avevano magnifiche dimore; gli altri dovevano contentarsi di molto meno.
    I poveri vivevano ammucchiati in poche stanze o in veri tuguri. A Genova, per esempio, per causa dello spazio ristretto, una piccola casuccia dava ricetto a tre, quattro, e sino a sei fuochi (famiglie); anche altrove non c'era niente di meglio: quel che resta in piedi ancora oggi, nei vecchi quartieri popolari delle nostre città, costituisce un documento abbastanza eloquente. (cap. I, p. 27)
  • Il salario dell'operaio non era sempre onestamente pagato: si tentava di dar meno, pagando con una moneta deprezzata, con merci, o derrate; alla tendenza del rinvilio[1] del salario, per eccedenza di mano d'opera, si opponeva uno sciopero in piena regola; l'operaio, piuttosto che lavorare a buon mercato e guadagnar la spesa, si mostrava risoluto a morire di fame: i vincoli corporatizi, fino a un certo punto, qui reggevano ancora. (cap. I, p. 28)
  • [...] i creditori scherzavano poco; l'incertezza stessa di ricuperare la somma faceva salire l'interesse a cifre elevate, e spingeva i prestatori a valersi dei loro diritti contro gl'insolventi senza pietà; anzi profittando di consuetudini feroci, lasciavano ogni scrupolo per incrudelire contro gl'insolventi, morti o vivi che fossero.
    Narra lo Stracca che un creditore, deciso di non rimaner più tale, riuscì con inganno ad applicare al collo del debitore un anello di ferro, da cui questi non poté liberarsi, se non pagando il debito; certo non meno atroce era l'altra usanza di lasciar liberi i prigionieri per debiti, affinché con catene ai piedi andassero per le chiese, eccitando la compassione, per giungere così a raggranellare il piccolo peculio, che li togliesse da quel martirio. (cap. I, pp. 29-30)
  • Nemmeno le tombe degli usurai erano sicure dalle vendette e dagli strazi. Contro i divoratori della carne della povera gente (la frase è del tempo) insorgeva il popolo: preti e frati vegliavano al capezzale del sospettato prestatore, perché questi, prima di morire, o restituisse le usure, o il mal tolto compensasse con legati pii, in espiazioni delle sue imprese. Morto l'usuraio, bisognava far i conti con la curia vescovile, la quale, forte delle sanzioni canoniche, esigeva anch'essa con avidità usuraia la restituzione degl'interessi, o un componimento gravoso agli eredi. (cap. I, pp. 30-31)
  • Nelle piazze, i frati additavano alla pubblica esecrazione i prestatori ebrei, e rievocando dottrine antiche, spiegavano a gente già persuasa che non era peccato rubare, anzi era bene riprendere quello che gli Ebrei avevano tolto ai Cristiani. (cap. I, p. 31)
  • L'indole della giurisprudenza rispecchia quella della società e della famiglia. Si litigava, dunque, perché c'erano troppi motivi per farlo; e questo stato di cose diede un singolare incremento alla pratica forense, la quale richiamava a sé tutti quelli che speravano di non sceglier male il loro mestiere, studiando le leggi, o trovando il mezzo, mercé i privilegi dei conti palatini, di diventar dottori.
    La domanda di avvocati e di giudici fu anche presto soverchiata dall'offerta: poiché l'esercizio della medicina e della giurisprudenza pareva fatto apposta per arricchire, queste arti liberali non ebbero penuria di cultori. (cap. III, p. 99)
  • Non si apriva la successione legittima, se non dopo lunghe e infruttuose ricerche dell'atto di ultima volontà; la qual cosa significa che era regola, quasi costante, la devoluzione ereditaria dei beni, per via di testamento. Di qui una conseguenza semplicissima, ma pure importante: la volontà del testatore, pure osservando i limiti che la legge imponeva al suo arbitrio, e che una tecnica furbesca (non osiamo dire giuridica) insegnava a varcare impunemente, poteva manifestarsi in tutta la sua ampiezza, dettando le norme pel passaggio dei beni, e dando così alla famiglia quella configurazione particolare che meglio andava a genio. (cap. IV, p. 123)
  • [...] nessuno ignora che il matrimonio, fra le sue forme vetuste, ebbe anche quella della compravendita.
    Chi compera è il futuro marito; chi vende è il padre o chi ha, per ragioni diverse dalla paternità, potere sulla donna; la quale, come oggetto dedotto in contratto, non c'è bisogno che si disturbi a dare il suo consenso, per un negozio giuridico concluso dagli altri. Se il prezzo della donna non è pagato subito, si promette di consegnare la donna nel termine fissato pel pagamento. (cap. V, p. 154)
  • La tenera età, o la sproporzione di questa nei due sposi, era un'altra causa di guai. I nostri vecchi avevano molta fretta di maritare le ragazze; a venti anni, anzi a sedici, pareva che, se non si fossero già sposate, si avviassero a diventare zitellone e pinzocchere; e poi, per non dare dote, o per farla guadagnare ai figli, i babbi non si curavano molto di unire una giovane ad un vecchio, o viceversa [...]. (cap. VI, p. 197)
  • Di mariti bestiali che, senza conoscere leggi romane e longobarde, bastonassero le rispettive metà non c'era penuria; ma non mancava nemmeno la riprovazione dell'opinione pubblica. Intanto, frate Cherubino esaminava chetamente i casi in cui il bastone potesse ancora conservare la sua verità correttrice; dopo tutto, per salvare l'anima, era bene gastigare il corpo. (cap. VI, p. 202)
  • La dote, per quanto assicurata in tutti i modi e con tutte le cautele dei meticolosissimi formulari, precipitava nel baratro del patrimonio del marito, d'onde era poi difficile, o impossibile, il riaverla, quando se ne fosse presentato il caso e la necessità. Anche spesso era promessa e non data, o consisteva sovente in crediti aggrovigliati, che si risolvevano in nulla; e l'uomo deluso, se per i quattrini aveva lasciato la sua libera vita, era capace di maltrattare l'infelice donna e di rimandarla a casa. (cap. VI, p. 203)

S. Francesco d'Assisi e la sua leggenda

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  • Francesco d'Assisi, è assioma quasi volgare di tutti gli storici che di lui hanno scritto, non può essere tolto dall'età sua; e questa va studiata con pacatezza in ogni sua manifestazione. Eruditi e poeti, per amor di scienza, fervidi mistici e freddi patologi, si contendono la figura dell'umile seguace di Gesù; ma del Santo, noi non abbiamo che i contrassegni, i quali ci sono dati dai monumenti storici che di lui parlano; eppure, nessuno ha risposto pienamente ad una domanda semplicissima: codesti monumenti quale fede meritano? Quali sono le loro vere fonti? Tutto il lavorio critico, finora, mirò a determinare il valore, principale o secondario, di questo, o di quel documento storico. Qualcuno non esitò a ricomporre le fonti, giusta certi preconcetti, esiziali al vero metodo storico; ma, ripeto, manca uno studio critico, tatto dedicato all'origine della leggenda francescana, com'è fissata, nelle sue linee fondamentali, nelle due Vite di Tomaso da Celano. (cap. I, p. 2)
  • Francesco, tanto nelle imagini retoriche del Celanese, quanto nella semplicità somma dei Fioretti, sembra che conservi sempre la sua fisonomia ma, aguzzando bene lo sguardo, si avverte, con lieve fatica che spesso l'imagine del poverello d'Assisi si scompone per così esprimermi, in molti tratti, che sono tolti ad altre figure, le quali col Santo non hanno attinenza alcuna. (cap. I, p. 3)
  • La letteratura medievale ha un argomento prediletto: l'agiografia. Nella vita d'un santo, uno scrittore cerca e trova il modo di mostrare le sue belle qualità d'artista e di credente, e nulla gl'impedisce di comprendervi tutto quello ch'egli vuole: il sacro e il profano, il fantastico e il reale, purché non riesca noioso. Spesso in uno scritto agiografico, l'eroe più accarezzato è l'autore stesso, che si cela, o si manifesta, secondo le circostanze, facendo convergere sopra di sé, un poco di quella luce, ch'egli ha diffuso sul santo da lui celebrato. Ma non è qui tutto; il proprio eroe dev'essere superiore agli altri; e allora il reale è aiutato dall'imaginazione, fino al punto della credibilità, secondo le idee dei tempi. (cap. II, p. 41)
  1. toscanismo, "ribasso di prezzo".

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