Vandana Shiva

attivista e ambientalista indiana
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Vandana Shiva (1952 – vivente), attivista e ambientalista indiana.

Vandana Shiva nel 2009 a Rosheneim

Citazioni di Vandana Shiva

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  • Consideriamo la distruzione della Terra... per mano di imprese guerriere come questioni femministe.[1]
  • I brevetti sulle sementi mettono in pericolo la sopravvivenza stessa e la libertà dei contadini... e degli allevatori.[2]
  • Il principio fondamentale che ci muove è questo: l'idea che il diritto su un seme sia proprietà privata, è inaccettabile. Non si deve poter brevettare e privatizzare una pianta (o addirittura generazioni di piante) così come non si deve poterlo fare con la vita umana. L'America difende delle forme estreme di proprietà privata attraverso i brevetti. Non sono contraria alla ricerca. L'importante è che gli scienziati distinguano i ruoli. Chi fa ricerca in laboratorio non deve poi essere coinvolto nella commercializzazione di un prodotto. Uno scienziato puro non deve trasformarsi in venditore globale di sementi brevettate.[3]
  • L'argomento che i contadini si suicidano per i debiti, e non per gli Ogm, è specioso. Gli agenti della Monsanto che vendono semenze Ogm, fertilizzanti e pesticidi, sono gli stessi che fanno il credito. Il contadino prima si indebita per le semenze di cotone, poi scopre di dover comprare più fertilizzanti e pesticidi e s'indebita ancora. Il bacillo del cotone Bt perde efficacia, le dosi di pesticidi aumentano, i debiti pure. È questo ciclo di alti costi, escalation nei prodotti chimici, la trappola del debito che spinge al suicidio.[3]
  • L'India ha bisogno di recuperare valori morali prima di fare sogni da superpotenza.[4]
  • Le donne sono guardiane del futuro.[5]

Vacche sacre e mucche pazze

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  • Si sostiene da più parti che le varietà frutto del miracolo della moderna agricoltura industriale, la Rivoluzione Verde, hanno evitato la carestia grazie alle loro rese più elevate. Ma queste rese più elevate scomparirebbero se si guardasse alle rese complessive di tutti i prodotti realizzati in un'azienda agricola. Le varietà della Rivoluzione Verde hanno fatto aumentare la produzione di grano riducendo quella di paglia, e questa «spartizione» è stata ottenuta impedendo la crescita delle piante, il che ha permesso loro – tra l'altro – di tollerare dosi massicce di fertilizzante chimico. (p. 24)
  • Questo modo di concepire l'abbondanza si basa sul fatto che, fornendo cibo agli altri esseri viventi, è possibile salvaguardare le condizioni della nostra stessa sicurezza alimentare. È il riconoscimento, contenuto nell'Isho Apanishad, che l'universo è creato da Dio a vantaggio di tutti. Ogni forma individuale di vita deve imparare a procurarsi i propri vantaggi, intendendoli tuttavia come parte di un sistema in stretto rapporto con le altre specie. Bisogna evitare che una specie interferisca con i diritti delle altre. (p. 29)
  • Dobbiamo riprenderci il diritto di conservare i semi e la biodiversità. Il diritto al nutrimento e al cibo sano. Il diritto di proteggere la terra e le sue diverse specie. Dobbiamo fermare il furto delle multinazionali a danno dei poveri e della natura. La democrazia alimentare è al centro dell'agenda per la democrazia e i diritti umani, al centro del programma per la sostenibilità ecologica e la giustizia sociale. (p. 30)
  • La diversità dei suoli, del clima e delle piante ha contribuito alla diversità delle culture alimentari nel mondo. I sistemi alimentari basati sul mais dell'America centrale, quelli asiatici basati sul riso, la dieta etiope a base di telf, l'alimentazione basata sul miglio dell'Africa non sono una questione agricola ma elementi centrali della diversità culturale. Sicurezza alimentare non significa solo accesso a una quantità sufficiente di cibo ma accesso ad alimenti culturalmente appropriati. (p. 32)
  • La deregolamentazione ambientale è parte essenziale della liberalizzazione commerciale, e pertanto libero commercio e difesa dell'ambiente sono incompatibili. Per salvare le tartarughe, bisogna respingere insieme il libero scambio e le tecnologie distruttive dell'ambiente. (p. 51)
  • Una nuova lotta per la libertà dell'India è giustamente iniziata dalle «periferie» ambientali e sociali del paese, dalle coste, sotto la guida delle donne, nell'interesse dei pescatori tradizionali, dei senzaterra e dei piccoli agricoltori. Dalle «periferie» sta nascendo una nuova India – un'India costruita sui principi della sostenibilità e della giustizia, della pace e dell'armonia, della democrazia e della diversità.
    La seconda lotta per l'indipendenza è appena cominciata. (p. 63)
  • Diversità ed alta produttività vanno per mano quando si prendono in considerazione tutti i raccolti e tutti i costi degli input esterni da sommare a quello degli altri input. Il paradigma della monocoltura ha come riferimento le rese delle merci prese una alla volta, e riesce ad esternalizzare i costi degli input chimici e dell'energia. Le agricolture industriali inefficienti e dispendiose vengono così presentate come efficienti e produttive. (p. 120)
  • Non abbiamo bisogno dell'ingegneria genetica per ottenere raccolti ricchi di nutrienti: l'amaranto ha nove volte più calcio del grano e 10 volte più calcio del riso. Il suo contenuto di ferro è quattro volte quello del riso, e ha due volte in più di proteine. Il miglio finger fornisce 35 volte più calcio del riso, due volte più di ferro e cinque volte più di minerali. Il miglio barnyard contiene nove volte più minerali del riso. Prodotti nutrienti e rispettosi delle risorse come i diversi tipi di miglio e di legumi sono la strada più sicura verso la sicurezza alimentare.
    La biodiversità ha già le risposte ai problemi per risolvere i quali ci viene proposta l'ingegneria genetica. Spostarsi dalla monocoltura della mente alla biodiversità, dal paradigma dell'ingegneria a quello dell'ecologia, può aiutarci a conservare la biodiversità, rispondere ai nostri bisogni di alimenti e di nutrimento, evitare i rischi dell'inquinamento genetico. (pp. 121-2)

Monocolture della mente

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  • I principi della gestione scientifica portano alla distruzione dell'ecosistema forestale tropicale perché rimodellano la diversità della vita della foresta in base all'uniformità della catena di montaggio. Anziché modellare la società sulla base della foresta, come accade nelle culture locali, la vita della foresta viene regolata in base a quella della fabbrica. La gestione scientifica, praticata ormai da oltre un secolo, corrisponde a un sistema di deforestazione, che trasforma la foresta in risorsa non rinnovabile. Lo sfruttamento del legno tropicale somiglia sempre di più a quello delle miniere, e le foreste tropicali diventano miniere di legname. Secondo le previsioni della Fao, agli attuali tassi di sfruttamento, le foreste tropicali dell'Asia si esauriranno entro la fine di questo secolo. (da Monocolture della mente, par. 2, p. 23)
  • I moderni concetti di riproduzione delle piante come quello HYV riducono interi sistemi di produzione a raccolti singoli, o parti di raccolto. Le componenti di un sistema di raccolti sono allora commisurate con le componenti di un altro sistema. Dato che la strategia della Rivoluzione verde punta ad aumentare la produzione di una sola componente agricola, a costo di ridurre tutte le altre, facendo nel contempo aumentare gli inputs esterni, il confronto tra rese è per definizione falsato e fa apparire «ad alta resa» le nuove varietà, nonostante che esse non necessariamente lo siano se considerate a livello dell'intero sistema di produzione. (da Monocolture della mente, par. 5, p. 43)
  • Conservare la biodiversità è impossibile, finché essa non sia assunta come la logica stessa della produzione. Il «miglioramento» – dal punto di vista dell'impresa o da quello dell'agricoltura occidentale o della ricerca forestale – è spesso una perdita per il Terzo mondo, specie per i poveri. Non è infatti inevitabile che la produzione si contrapponga alla diversità: l'uniformità, come modello produttivo, è inevitabile solo nel contesto del controllo e del profitto. (da Biodiversità: un punto di vista del Terzo mondo, par. 2, p. 70)

Ritorno alla terra

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  • Non ho mai considerato l'automobile come un mezzo di trasporto superiore: il cammello ci permette di muoverci nel deserto e la renna ci fa attraversare i nevai. (p. 117)
  • Il miglio, che è molto più nutriente del riso e del frumento, ha bisogno solo tra i 200 e i 300 millimetri d'acqua, rispetto ai 2.500 previsti per la coltivazione del riso [...]. L'India potrebbe produrre quattro volte la quantità di cibo attuale se coltivasse in modo più esteso il miglio. (p. 177)
  • Esistono molte alternative ai fertilizzanti chimici: [...] i lombrichi; il letame bovino e il compost. I rifiuti agricoli favoriscono l'incremento graduale dei lombrichi fornendo loro una risorsa alimentare. [...] Il piccolo lombrico che lavora invisibilmente nel terreno è contemporaneamente il trattore, la fabbrica di fertilizzante e la diga. I terreni abitati dai lombrichi sono più resistenti all'acqua e contengono anche una quantità notevolmente superiore di carbonio e azoto organico. L'incessante movimento dei lombrichi crea canali che contribuiscono all'aerazione del suolo [...]. (pp. 182-183)
  • La domanda di cibi locali per ridurre i food-miles e per creare una catena alimentare più domestica ha creato una nuova dicotomia tra "biologico" e "locale". La mia opinione è che si tratti di una falsa dicotomia. Biologico significa integro e salutare, per la salute della terra e del nostro corpo. Il cibo che potrebbe essere coltivato nell'orto vicino a casa, ma che invece è importato da paesi lontani migliaia di miglia non è biologico secondo i parametri dell'ecologia. (p. 199)
  • Esisteva un vecchio conflitto tra l'agricoltura chimico-industriale e quella biologica. Ora ne sta emergendo uno nuovo tra agricoltura autenticamente biologica, che si basa su piccole fattorie biodiverse, e una pseudobiologica, basata sulle monocolture di grandi fattorie che producono per l'esportazione. L'autentica agricoltura biologica è fondata sulla biodiversità, sulle piccole fattorie familiari, sui mercati locali e sul commercio equo. (p. 200)
  • L'energia è Shakti: il potere primordiale della creazione, la forza creativa autorganizzante, autogenerante e autorinnovante dell'universo nel suo aspetto femminile. Il termine Shakti deriva dalla radice sak che significa "capacità di fare" o "avere potere". Shakti è la potenza, la forza, la personificazione dell'energia primordiale e l'origine dell'evoluzione divina e cosmica, ma è anche origine e controllo di tutte le forze e di tutte le potenzialità della natura. L'universo è un'espressione della Shakti e un'infinita riserva di energia. (p. 218)

Il caos climatico, la brutale ineguaglianza e la disintegrazione sociale stanno spingendo le comunità umane verso l'abisso. Possiamo permettere che il processo di distruzione, di disintegrazione e di sterminio continui indisturbato o possiamo risvegliare le nostre energie creative e reclamare il nostro futuro come specie e come parti della famiglia della Terra. Possiamo continuare a camminare come sonnambuli verso l'estinzione o possiamo divenire consapevoli delle nostre potenzialità e di quelle del pianeta.

  1. Citato in AA.VV., Il libro del femminismo, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2019, p. 201. ISBN 9788858022900
  2. Citato in AA.VV., Il libro dell'ecologia, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2019, p. 327. ISBN 9788858024362
  3. a b Dall'intervista di Federico Rampini, Vandana Shiva: "Io, spina nel fianco dell'industria Ogm. Vogliono screditarmi ma continuo a lottare", la Repubblica, 3 ottobre 2014.
  4. Da India spezzata, quarta di copertina.
  5. Citato in AA.VV., Il libro del femminismo, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2019, p. 200. ISBN 9788858022900

Bibliografia

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  • Vandana Shiva, Monocolture della mente: biodiversità, biotecnologia e agricoltura scientifica (1993), traduzione di Giovanna Ricoveri, Bollati Boringhieri, Torino, 1995. ISBN 88-339-0918-2
  • Vandana Shiva, Vacche sacre e mucche pazze: il furto delle riserve alimentari globali (2000), traduzione di Giovanna Ricoveri, DeriveApprodi, Roma, 2001. ISBN 88-87423-74-1
  • Vandana Shiva, India spezzata (2005), il Saggiatore, Milano, 2008. ISBN 978-88-428-1507-5 (Anteprima su Google Libri)
  • Vandana Shiva, Ritorno alla terra: la fine dell'ecoimperialismo (2008), traduzione di Giuliano Bottali e Simonetta Levantini, Fazi, Roma, 2009. ISBN 978-88-6411-029-5

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