Mariano Luigi Patrizi

medico italiano

Mariano Luigi Patrizi (1866 – 1935), medico italiano.

Il Caravaggio e la nova critica d'arte

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  • Sempre – ahimè! – alto è il numero di coloro, pur di benigno animo, pur di onesta fede, e di non angusta coltura, i quali nutrono l'idea macabro-comica che l'indagine scientifica intorno ad una individualità d'artefice si riduca a determinare col compasso due o tre diametri del cranio, a calcolarne la circonferenza col nastro metrico, come adopra l'egregio cappellaio con le teste dei clienti; a squadrare una faccia di profilo e di prospetto, a mo' dei fotografi e dei poliziotti di ultimo stampo, abbracciando nello sguardo sinottico il balenìo degli occhi, l'area del fronte, la mandibola onusta di significazioni e... i canini del soggetto illustre ed immortale. (cap. I, p. 4)
  • [...] l'Antropologia moderna – Biopsicologia – nell'applicazione estetica, si tiene anche distinta dalla filosofia dell'arte, di Ippolito Taine, che fu naturalista di bella letteratura e non di scienza; che, più che d'altro, fece conto della psicologia della razza; e, della fisiologia dell'individuo, predilesse una concezione, per dir così, bloccarda, senza esaminare partitamente le sensazioni, i moti, gli affetti, l'intelletto, la volontà dell'artefice. Tutt'al più dové pensare che, nella fisiologia individuale, le sole rappresentazioni ottiche meritassero la riflessione del critico. L'occhio però, come spero di dimostrare tra poco, non è l'unico stromento del pittore, alla stessa guisa, che l'orecchio non è il solo organo importante per sentire e per creare la musica. (cap. I, pp. 6-7)
  • I dottori dell'arte non disdegnino di calare dalle sublimi olimpiche vette dove dimorano, o lampeggianti d'interiezioni di maraviglia, o tuonanti di filosofiche lucubrazioni: e dalla storia, dalle scuole, dai tempi, dalle stelle abbassino lo sguardo al modesto organismo fisio-psichico, che della bellezza è l'unico ed immediato generatore; sentano la puntura del rimprovero, che su nessun altri che su loro dovrebbe cader diritto:
    «Conosci il cielo e non conosci l'uomo».[1]
    (cap. I, p. 9)

Saggio psico-antropologico su Giacomo Leopardi e la sua famiglia

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  • [...] si dove notare che tutta l'onda d'affetto di Monaldo verso Giacomo parve talora incresparsi per il fervore cristiano e l'intolleranza del padre. Monaldo, che primo comprese e segnalò il genio di Giacomo e che ambì per la famiglia un raggio della rinomanza di lui, chiama «inezie» lo sue prime canzoni e ne vuol vietare la diffusione qualificando «delitto» il tentativo di ristamparle[2].; manda nel 1832 articoli risentiti alla Voce della ragione contro la gioventù ribelle all'autorità paterna[3] che sembrano ispirati dalla propria esperienza; sberteggia l'Antologia di Firenze che raccoglieva gli scritti e il pensiero degli amici del figlio, e nei cinquanta paragrafi del testamento ricorda appena Giacomo per dedicare dieci messe all'anima sua[4]; e non un indizio di riconoscenza por la gloria procurata da lui alla casa, mentre dedica lunghe pagine all'altro figlio Luigi «morto con tutti i segni del predestinato»[5]. (cap. III, p. 50)
  • Per confessioni di Carlo [Leopardi] si sa che mai la madre [Adelaide Antici Leopardi] strinse al seno i figliuoli suoi; «lo sguardo era la sola sua carezza»[6]. «Quando Giacomo, Carlo e Paolina erano ancora piccoli, soleva legarli nelle loro seggioline perché non cadessero e poi li imboccava. Qualche volta il cucchiaio di minestra scottava i loro labbruzzi e i fanciulli se ne dolevano, gridando: Mamma, scotta! La risposta di Adelaide era quasi sempre questa: Offritelo a Gesù»[7]. (cap. III, p. 66)
  • Col marito [Adelaide Antici] fu contegnosa e riserbata; la differenza del suo carattere da quello di Monaldo, tutto espansione, si misura soltanto gittando l'occhio sovra la loro corrispondenza inedita. Alle lunghe lettere d'innamorato di Monaldo fa singolar contrasto la aridità e la brevità dell'epistolario della moglie, che par tema sempre di conceder troppa parte di sé all'uomo che doveva rimanere un suddito umile. (cap. III, p. 66)
  • Il broncio con la sorella Isabella Mazzagalli, durato per ben dieci anni, è un'ultima delle tante prove della scarsa sensibilità affettiva di Adelaide. A questa dote, poco lusinghiera, un'altra se ne appaiava: un'avarizia rimasta proverbiale. Si racconta che misurasse col cerchietto le uova portate come regalie dai coloni, ed è perfettamente inutile riferire qui molti altri aneddoti che confermano la verità di questo. Nel libro di preghiere di Adelaide si sono rinvenuti questi due versetti scritti di suo pugno:
    «Le ricchezze, o Signor, fa ch'io non curi
    ma era la stessa Adelaide che s'opponeva con ogni forza al matrimonio del figlio Pier Francesco colla Cleofe Ferretti, a cagione dell'esiguità della dote. (cap. III, p. 66)
  • La mente di Adelaide non fu migliore del cuore, checché ne dicano i suoi sostenitori, che portano a prova del suo potere intellettuale la restaurazione del patrimonio dei Leopardi. La dolce passione del sapere, che accese suo marito e di cui arse il figliuolo suo, non la toccò punto; la convivenza coi suoi, che erano come un cenacolo di dotti e di artisti, e la grande biblioteca domestica non esercitarono influsso o seduzione alcuna sul suo cervello. Le sue letture furono libri divoti, de' quali possedeva una collezione; i suoi scritti, alcune lettere poco obbedienti alla grammatica. Nessun desiderio di educare lo spirito con la consuetudine di persone colte, con viaggi. Non usciva di casa che una o due volte l'anno per ire ad ascoltar messa in una vicina chiesetta e si spaventava all'idea di dover passare una notte fuori di Recanati[8]. (cap. III, p. 67)
  • Giacomo aveva detto di lui, scrivendone al Giordani: «È un altro me stesso». E infatti si imporranno all'attenzione di chi legge alcune identità dì sentimenti di Carlo e Giacomo. E neppure per l'elevatezza intellettuale Carlo rimase molto lontano dal poeta. Al fratello minore non mancò che il volere per salire alle cime dell'immortalità. L'iscrizione sepolcrale di Filippo Ottonieri – nato alle opere virtuose – e alla gloria – vissuto ozioso e disutile – e morto senza fama[9], s'addice meravigliosamente alla personalità di Carlo Leopardi. Questa figura, non cinta dalla luce abbagliante del genio, noi la possiamo guardar meglio in faccia, analizzarla senza soggezione, e dalle sue somiglianze con quella del grande scrittore, trar profitto per meglio conoscere ed apprezzar questo. Anche Carlo fu pessimista, e il suo pessimismo, non ricoperto di manto poetico o filosofico, tradisce più apertamente le anomalie delle quali è intessuto. (cap. IV, pp. 70-71)
  • Carlo Leopardi fu di vantaggiosa statura, a soli diciotto anni era già «alto e fatticcione[10], da metter paura a Giacomo, che lo chiamava «fratellone» e non «fratellino»[11]. (cap. IV, p. 71)
  • Ragazzo, [Carlo Leopardi] si faceva comporre i pensi[12] scolastici dal fratello; il dispetto di ogni lavoro lo accompagnò per tutta la sua esistenza. L'inerzia era la sua aspirazione. Interrogato da una signora di rispondere al quesito: – Quale occupazione preferite? – disse : «Lavorare per ottenere di essere disoccupato». (cap. IV, p. 72)
  • [Paolina Leopardi] La simpatia o solidarietà sociale le fu affatto ignota: non concesse se non rarissimamente la sua amicizia, coprì di maledizioni i suoi concittadini, dai quali, come Carlo e come Giacomo, si immaginò perseguitata. Se soccorse alla povertà, la sua elemosina scendeva bene dall'alto: il suo epistolario è tronfio del suo orgoglio di contessa e del suo ribrezzo per le classi non nobili. Era taccagna quanto la madre e quanto il fratello Carlo; alla mensa di lei i nipoti e il precettore soffrivano la fame; la tradizione recanatese ce la rappresenta a misurare le uova col cerchietto della madre. (cap. IV, pp. 81-82)
  • Del talento dei Leopardi neppure il cervello di Paolina fu defraudato. Abbiamo una lettera latina scritta da lei a dodici anni, ciò che ci mostra quanto per tempo si aprì il suo ingegno. Parecchie delle sue lettere, oltre che per l'interesse degli studi leopardiani, hanno meritato la pubblicazione, in grazia della loro fattura. Quello di Paolina era uno spirito artistico. Le andava molto a genio la maniera letteraria de' Francesi, dei quali era, come la cognata Ippolita, fanatica. (cap. IV, p. 82)
  • [Paolina Leopardi] Adorò la musica e antepose le melodie dolci della Sonnambula ai «fragori», come ella dice, del Verdi. La morte del suo Bellini le strappò un grido di dolore. (cap. IV, p. 83)
  • Sin da bambino [Pierfrancesco Leopardi] aveva mostrato salute cagionevolissima e cominciò a reggersi in piedi assai tardi. «Era sempre nelle braccia o a cavalcioni sulle spalle di Carlo. Pietruccio, soleva dir questi, è cresciuto camminando colle mie gambe»[13]. Era di statura inferiore alla media; egli confessava di «non avere una fisonomia troppo bella». Non dotto, era fine intenditore di cose d'arte e di letteratura. Aveva la facezia pungente che abbiam veduto fiorire sulle labbra di tutti i Leopardi. Pare fosse proclive alla collera. L'aggravamento della malattia, per cui morì quasi d'improvviso, scoppiò subito dopo un diverbio vivace avuto coi suoi colleghi dell'Amministrazione municipale[14]. (cap. IV, pp. 83-84)
  • C'era, nei muscoli, nei nervi e nel cervello di Giacomo [Leopardi], una dovizia di energia che si esprimeva all'esterno colla predilezione di esercizi fisici e con una personalità vigorosa. Nei giuochi e nelle finte battaglie romane, che si svolgevano entro il recinto del «paterno giardino», egli si dava la parte del leone; nelle rappresentazioni storiche si metteva sempre primo, era sempre il «trionfatore», che menava pugni sonori e ingiurie sul fratello e sugli altri ragazzi, i quali, come finti sudditi o schiavi, seguivano il suo carro. Nelle favole meravigliose, che, fanciullo di otto nove anni, aveva l'abilità di ordire e di raccontare extemporaneamente, e negli attori delle quali soleva personificare i caratteri di quelli che lo attorniavano, la parte eroica del dominatore e prepotente Filzèro[15], che ne dava a tutti e non le buscava da alcuno, la riserbava a se stesso. (cap. V, p. 88)
  • [...] a qual grado fu l'affetto di lui [Giacomo Leopardi] verso l'Italia, nel quale non si stimava secondo ad alcuno?[16] Il pessimismo avea inghiottito questo come tutti gli altri affetti. All'infuori dell'orazione agli Italiani nel 1815, tonante contro i tiranni, del progetto sfumato d'un inno alla Grecia, e delle accademiche canzoni civili della prima giovinezza, si potrà spigolare nell'opera leopardiana qualche accenno patriottico; ma i moti del '21 non lo scuotono affatto, nel 1831 quando la provincia fa conto, come notammo, sull'azione politica di lui, egli chiede che se ne scordino[17], e conviene col padre nel dar del fanatico all'eroico Broglio D'Ajano[18], caduto ad Anatolico per l'indipendenza ellenica[19]. (cap. IV, pp. 126-127)

Citazioni su Mariano Luigi Patrizi

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  Citazioni in ordine temporale.

  • Il Patrizi si è vôlto alle arti figurative, e principalmente ai pittori, ed in una serie di saggi studia la sensazione auditiva nei pittori, la sensibilità tattile e muscolare. le sensazioni del gusto, dell'olfatto, il tono interiore allegro o malinconico dell'artista, l'influenza delle anomalie dell'occhio fisiologico nella visione della forma e del colore, il senso del moto e dell'azione, l'emotività e i sentimenti.
    Basta enunciare il titolo di questi capitoli per mettere in luce la parzialità di questa analisi, perché accanto a questi elementi fisici e psicologici si riflettono nell'opera d'arte infiniti altri elementi di enorme importanza, quali per esempio l'educazione, la scuola, l'imitazione, la moda, il clima storico.
  • Egli vede, per esempio, che nei quadri del Fontanesi, le foglie sono immobili, i tronchi non si torcono al vento, le acque tacciono, e ne trae la conseguenza che nel Fontanesi era scarsa la facoltà auditiva, che sarebbe invece profonda in Salvator Rosa, il quale dipinse scene di natura agitata. Ma se il Patrizi avesse saputo che il Fontanesi aveva cominciato a dipingere a Reggio scene di natura sconvolta, nello stile di Salvator Rosa, e a Ginevra scene di romanticismo alpestre in quello del Calame, avrebbe probabilmente capito che quella natura apparentemente morta non era che il riflesso della nuova tendenza paesistica che cercava una natura riposata per reazione alla natura teatrale ed ossianesca dei predecessori.
  • È un peccato che il prof. Mariano Patrizi, tenace assertore di una critica d'arte fondata sull'esame dei caratteri somatici e psichici degli autori, invece di indagare i caratteri della delinquenza nella pittura del Caravaggio[20], non prenda in esame queste pitture: scoprirebbe nel pittore un intero trattato di patologia, ma, forse, sarebbe una illusione, perché questa gente è capace, fra sei mesi di dipingere in modo opposto.
  1. Da un poemetto inedito del Prati. [N.d.A.]
  2. Emilio Costa, Due lettere inedite di Monaldo Leopardi in Note Leopardiane (Parma, Battei, 1886). [N.d.A.]
  3. La Voce della Ragione, 1832, pag. 139. [N.d.A.]
  4. C. Antona-Traversi, Documenti e notizie, pag. 188. [N.d.A.]
  5. Così dice l'epigrafe mortuaria in Santa Maria di Varano, in Recanati. [N.d.A.]
  6. Teresa Teja Leopardi, Note biografiche sopra Leopardi e la sua famiglia, pag. 29. [N.d.A.]
  7. C. Antona-Traversi, Studi, pag. 51. [N.d.A.]
  8. Lettera di Paolina [Leopardi], aprile 1855, e Lettere inedite. [N.d.A.]
  9. G. Leopardi, Opere morali. [N.d.A.]
  10. Accr. di "fatticcio", grosso, robusto.
  11. Lettera di Giacomo, 5 dicembre 1817. [N.d.A.]
  12. Lavori scolastici imposti per punizione a uno studente.
  13. Teresa Teja Leopardi, Note biografiche sopra Leopardi e la sua famiglia, pag. 72. [N.d.A.]
  14. C. Antona-Traversi, Studii, pagg. 134, 136. [N.d.A.]
  15. Teresa Teja Leopardi, Note biografiche sopra Leopardi e la sua famiglia, pag. 31-33. [N.d.A.]
  16. Lettera del Viesseux, 5 gennaio 1824. [N.d.A.]
  17. Lettera al padre, 29 marzo 1831. [N.d.A.]
  18. Andrea Massimiliano Broglio D'Ajano (1788-1828).
  19. Lettera del 22 luglio 1828. [N.d.A.]
  20. M.L. Patrizi, Un pittore criminale. Michelangelo da Caravaggio, 1569-1609. Critica e biografia psicologica, [s.n], [s.d].

Bibliografia

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