Leone Fortis

giornalista, scrittore e critico musicale italiano

Leone Fortis (1827 – 1896), giornalista, scrittore, critico musicale e patriota italiano.

Leone Fortis ritratto da Vespasiano Bignami

Conversazioni

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  • I nostri babbi e le nostre mamme ci assicurano che Rubini – il quale, cantando, li faceva piangere – era sulla scena imbarazzatissimo delle sue braccia, di tutto lui stesso, così da piantarsi ritto e stecchito alla ribalta... come se temesse di scomporsi col più piccolo gesto – che nel Pirata quando cantava:
    Nel furor della tempesta,
    Fra le stragi del pirata
    pareva uscito da uno scatolino, tutto inamidato e azzimato — come un bel fantoccino.
    Malgrado ciò, fu Rubini. (cap. IV, p. 52)
  • Gayarre dice che quando canta una romanza d'amore, un adagio patetico, ha il bisogno di dedicarli col pensiero ad una delle spettatrici dei palchetti. – Se proprio non lo ha detto, certo lo deve aver pensato – e se non lo ha pensato, ebbe torto. (cap. VII, p. 83)
  • Per Brioschi non si può essere grandi uomini se non si sa sciogliere una equazione di terzo grado. – Per lui tutto si riduce a un teorema o a un problema – le grandi incognite dell'anima, del pensiero, delle passioni sono rappresentate da altrettante X di cui bisogna trovare il valore. Tutto sta nell'intavolare bene le operazioni – ed è in ciò che sta il difficile. – Brioschi sa, e a proprie spese, quanto costi una operazione intavolata male. (cap. VII, p. 89)
  • Ho sentito speso deplorare che l'Italia non abbia tanta abbondanza di uomini grandi come ne hanno l'Inghilterra e la Francia, e trarne argomento per elegie convenzionali.
    Chetatevi, falsi Geremia. – Vi è in Italia qualcuno che è più grande di tutti gli uomini illustri dell'êra moderna, – più liberale e più modesto di Franklin, più virtuoso di Washington, più audace di Napoleone I, più astuto di Cavour, più tenace di Bismarck. – Questo qualcuno è quel popolo, che lascia partire gli Austriaci da Venezia senza un tripudio di gioja, e lascia sfilare i pellegrini della reazione europea attraverso le sue città, e raccogliere in battaglioni serrati nella sua Roma, senza uno scoppio di collera, – e ha il talento, la saggezza, la baldanza di... starli a guardare. – Questo popolo è il nostro, è il popolo italiano. (cap. XVII, p. 211)
  • Una sera, molto vicina a quella della catastrofe, lo incontrai a tarda ora in Galleria. In quel giorno la vulgarità borghese, gretta, piccina, astiosa, biliosa, invidiosa, la quale detesta e combatte tutto ciò che s'innalza al di sopra del suo livello, – sia genio, bellezza, ricchezza, fortuna – lo aveva addentato con maggiore accanimento. Il povero Mengoni era nervoso, inquieto, agitato; aveva la parola rapida, sussultoria, amarissima: Ti giuro, mi disse, che io vorrei che la cupola della Galleria e l'arco mi crollassero addosso e mi schiacciassero sotto di sé. Si sarebbe detto un presagio[1]. (cap. XXXVI, p. 470)
  • [Giuseppe Mengoni] [...], da quel suo modo di parlare tutto ad incisi che s'incastonavano l'uno dentro dell'altro come gli anelli di una catena, da quelle divagazioni che si accavallavano, da quel suo dialetto romagnuolo che di tanto in tanto saltava fuori, vivace e caratteristico, si sentiva in lui il poeta.
    E fu veramente il poeta dell'architettura – non il poeta classico dalla forma semplice, corretta, dalle linee castigate e severe – ma il poeta romantico dagli ardimenti liberi, dalle immagini audaci, dalle antitesi arrischiate. – Qualcuno lo disse il Victor Hugo della curva. Il paragone era giusto. Solo che le sue liriche le lasciò solidificate in monumenti che restano, e uno di questi si chiama la Galleria di Milano. (cap. XXXVI, pp. 471-472)
  • E pensare che quando fu eretta [la galleria Vittorio Emanuele II di Milano] quella immensa armatura a cinque piani – ch'era un edifizio, quasi un monumento da sé, Mengoni nel mostrarmela mi disse: L'ho fatta così solida perché non voglio disgrazie, non voglio che l'opera mia costi la vita a nessuno.
    Doveva costare la vita a lui[1]. (cap. XXXVI, pp. 473-474)
  • Pio IX [nel 1848] fuggì di sera – e nessuno di quelli che lo custodivano se ne accorse. La mattina seguente – le due sentinelle della Guardia Civica erano ancora ritte e impettite, sotto gli elmi criniti, al loro posto... a vegliare gelosamente il Palazzo Pontificio – vuoto del suo ospite illustre. – Quando la comica scena fu riferita a Pio IX, disse : – Ah sì, eran le guardie del Santo Sepolcro! (cap. XLI, p. 551)
  • Nel 69[2] il generale Kanzler, sul cui valore Pio IX non si faceva alcuna illusione, sbravazzava davanti di lui. Pio IX s'impazientiva e si andava stringendo nelle spalle. Ad un tratto l'eroico Generale escì a dire, parlando di Garibaldi, che era impaziente di misurarsi con quell'avventuriere. – Pio IX non resistette più – lo misurò, a sua volta, dal capo alle piante con uno sguardo, – poi: Generale, gli disse, non siete di misura. È più grande di voi. (cap. XLI, p. 551)

Citazioni su Leone Fortis

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  • Leone Fortis; più che giornalista, era artista. Il giornalista riusciva piacevolmente efficace, appunto perché artista, artista dalla frase colorita; artista d'un periodo trapassato che può vantare tesori d'ispirazioni, di slanci, di entusiasmi. Leone Fortis fu un patriota romantico, un drammaturgo e un critico romantico, un giornalista romantico. (Raffaello Barbiera)
  1. a b Mengoni morì il 30 dicembre 1877, giorno precedente l'inaugurazione, precipitando dall'impalcatura più alta della Galleria.
  2. Nel 1869, l'anno precedente della presa di Roma.

Bibliografia

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  • Leone Fortis, Conversazioni, Seconda serie, Fratelli Treves editori, Milano, 1879.

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