Giuseppe Mengoni
architetto e ingegnere italiano (1829-1877)
Giuseppe Mengoni (1829 – 1877), architetto e ingegnere italiano.
Citazioni su Giuseppe Mengoni
modifica- Il concorso bandito venticinque anni or sono per la Piazza del Duomo [di Milano] ebbe a subire il traviamento dell'opinione pubblica.
Il Mengoni, il quale, a molte qualità d'architetto, sapeva opportunamente accoppiare una grande pratica dell'ambiente sociale, non tardò a scorgere il lato debole della questione, quello dal quale era possibile arrivare al risultato di soddisfare o meglio impressionare l'opinione pubblica.
Egli che logicamente avrebbe dovuto partire dallo studio fondamentale, tanto dell'organismo topografico della città che delle esigenze da soddisfare mediante l'opportuna destinazione degli erigendi fabbricati [...] invertì e mutilò tale procedimento logico, partendo dal punto cui doveva arrivare, e cioè proponendosi o imponendosi dapprima un tema, e cercando poi di adattarvi, o meglio assoggettarvi tutte le esigenze della questione. Gli è ch'egli aveva compreso come, anziché persuadere con ragioni, fosse più facile colpire l'immaginazione e come alle aspirazioni incerte e retoricamente classiche, non potesse corrispondere che la facile e superficiale scenografia. (Luca Beltrami)
- Da quel suo modo di parlare tutto ad incisi che s'incastonavano l'uno dentro dell'altro come gli anelli di una catena, da quelle divagazioni che si accavallavano, da quel suo dialetto romagnuolo che di tanto in tanto saltava fuori, vivace e caratteristico, si sentiva in lui il poeta.
E fu veramente il poeta dell'architettura – non il poeta classico dalla forma semplice, corretta, dalle linee castigate e severe – ma il poeta romantico dagli ardimenti liberi, dalle immagini audaci, dalle antitesi arrischiate. – Qualcuno lo disse il Victor Hugo della curva. Il paragone era giusto. Solo che le sue liriche le lasciò solidificate in monumenti che restano, e uno di questi si chiama la Galleria di Milano.
- E pensare che quando fu eretta [la galleria Vittorio Emanuele II di Milano] quella immensa armatura a cinque piani – ch'era un edifizio, quasi un monumento da sé, Mengoni nel mostrarmela mi disse: L'ho fatta così solida perché non voglio disgrazie, non voglio che l'opera mia costi la vita a nessuno.
Doveva costare la vita a lui[1].
- Una sera, molto vicina a quella della catastrofe, lo incontrai a tarda ora in Galleria. In quel giorno la vulgarità borghese, gretta, piccina, astiosa, biliosa, invidiosa, la quale detesta e combatte tutto ciò che s'innalza al di sopra del suo livello, – sia genio, bellezza, ricchezza, fortuna – lo aveva addentato con maggiore accanimento. Il povero Mengoni era nervoso, inquieto, agitato; aveva la parola rapida, sussultoria, amarissima: Ti giuro, mi disse, che io vorrei che la cupola della Galleria e l'arco mi crollassero addosso e mi schiacciassero sotto di sé. Si sarebbe detto un presagio[1].
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